Chef Rubio è il personaggio televisivo del momento. Un po’ spaccone, molto tatuato, davvero simpatico e disponibile, nella serie televisiva “Unti e bisunti” gira le principali città italiane alla ricerca dei segreti gastronomici custoditi nel cibo di strada nostrano, massmediaticamente noto come “street food”. Pizza fritta con friarelli e provola, i carnacuttari di Napoli; gli arancini e le polpette di cavallo in Sicilia; i fritti alla romana che si possono gustare a Trastevere: la trasmissione di DMax, canale del digitale terrestre, ha il merito di riscoprire gli antichi sapori delle nostre città che nulla hanno da invidiare all’ormai “globalisticamente” affermato, e forse anche un po’ imposto, “hamburger & cocacola”. I risultati stanno premiando “Unti e bisunti”: oltre al tripudio mediatico riscontrato con l’apposito hashtag su twitter, una delle prime puntate ha avuto picchi che hanno superato il 7.70% di share.
Allora Gabriele, la nuova serie dedicata alla gastronomia che ti vede protagonista sta andando molto bene: cosa ne pensi di questo successo iniziale e del continuo affermarsi di show dedicati ai fornelli?
Ero sicuro che quello che stavamo girando fosse un buon prodotto. Naturalmente speravo che la serie “Unti e bisunti” venisse apprezzata, ma devo dire che questo successo iniziale non me l’aspettavo: vedere le persone che tra di loro si danno i “gomitini” quando ti incontrano, pensando di non essere viste, oppure il tassinaro che ti ferma per strada fa molto piacere anche se, sinceramente, un po’ mi inquieta. La mia speranza è che il programma sia servito a qualcosa, ovvero ad avvicinare le persone alla gastronomia.
Per chi gioca a rugby, già lo eri un volto noto: come sono nate queste tue passioni della palla ovale e della cucina?
L’amore per il rugby è nato per questioni molto pratiche: mi è stato consigliato di praticarlo da piccolo, poiché avevo una scoliosi. Da rimedio terapeutico a passione sportiva il passo è stato breve. È uno sport che si è rivelato fondamentale nella mia vita perché mi ha dato tanto a livello di sicurezza personale, mi ha fatto viaggiare molto e mi ha fatto dono di numerose conoscenze umane, tutte molto preziose. La cucina è stata sempre parte integrante della mia vita: sia con mia madre, che con le zie e poi con le mamme degli amici, mi ha sempre incuriosito quello che organizzavano ai fornelli. Mi chiedevo soprattutto cosa caratterizzasse uno stesso piatto, cucinato in maniera diversa nella stessa città; la curiosità mi ha fatto poi estendere il confronto tra le diverse regioni italiane.
Hai girato gran parte del mondo sviluppando la tua professione di chef: qual è il paese che ti ha arricchito di più come chef e dove, invece, ti sei sentito di più a tuo agio come uomo?
Da ogni paese che ho avuto la fortuna di visitare ho cercato di trarre qualche arricchimento nell’ambito professionale. A livello umano devo dire che in Nuova Zelanda mi sono sentito veramente a mio agio. Ho apprezzato molto, inoltre, la quiete che ho respirato in grandi città come New York e Tokyo: mi piaceva molto l’idea di essere un emerito Sig. Nessuno nel perfetto caos metropolitano dove, paradossalmente, ogni istante è ideale per isolarsi nel proprio silenzio e nessuno ti ostacola in questo.
Dove hai mangiato il terzo tempo più buono al termine di una partita nella tua carriera da rugbista?
Il terzo tempo in Sicilia ha regalato sempre grosse emozioni, soprattutto al termine di gare molto combattute, più o meno correttamente. Gli arancini erano un ottimo modo per riconciliarsi con l’avversario. Indimenticabili rimangono pure i rinfreschi post-partita a Benevento, dove ho giocato spesso con le giovanili: venivamo trattati in maniera ottima dalle madri degli avversari che portavano da casa ogni ben di Dio.
Con la serie televisiva proponi dei piatti storici a base di carne, cucinando parti poco conosciute come le interiora o il cervello: cosa ne pensi del filone vegetariano che si sta affermando nella cucina italiana e internazionale e come ti poni di fronte alle istanze di chi trova ingiusto mangiare un altro essere vivente?
Ti confido che speravo mi facessi una domanda di questo tipo. Voglio premettere che odio ogni tipo di estremismo perché, in quanto tale, lo reputo malato. Con la serie “Unti e bisunti” sono diventato un’icona, a mia insaputa, di un gruppo che si chiama “Vegano stammi lontano”. Non ti nego che sono disposto a ripensare il mio massiccio consumo di carne, consapevole del fatto che può generare un eccesso di tossine o di radicali liberi, ma reputo indispensabile l’apporto proteico che deriva dalla carne nell’alimentazione. Nella mia cucina che propongo con “Unti e bisunti” cerco di esaltare l’animale, di elevare la sua funzione di alimento che storicamente ha sempre svolto in ogni civiltà e in ogni popolo, costituendo parte fondante della cultura e della gastronomia. In quella romana/romanesca, ad esempio, provo a esaltare il cosiddetto “quinto quarto” (ovvero le interiora commestibili dell’animale, le parti che storicamente venivano scartate dopo che quelle migliori, come le due anteriori e le due posteriori, venivano vendute ai signori più agiati, ndr). L’obiettivo della trasmissione vuole essere proprio questo: smuovere gli animi e far crescere lo spettatore; stavolta con “Unti e bisunti” abbiamo proposto la cucina italiana, ma il fine è quello di “globalizzare”, in senso positivo, la gastronomia, far sapere alle persone che per le strade di Palermo storicamente si mangia il “pani ca’ meusa” (il panino con la milza), mentre a Londra c’è il “fish ‘n chips” e in Vietnam il “Bahn mi”. Comunque sono molto curioso di entrare in contatto con il mondo e l’alimentazione vegetariana.
Ci vuoi dire che saresti disposto a condurre una trasmissione sull’alimentazione vegana e/o vegetariana?
Perché no. Mi metterei a disposizione per analizzare il decorso di una famiglia che si nutre e alimenta i propri figli senza carne per confrontare i valori nutrizionali, lo stato dell’organismo, della pelle e, più in generale, lo stato psicofisico. Sono curioso di sapere se ci sono nutrizionisti che raccomandano di alimentarsi esclusivamente di legumi e verdure: ne dubito. E in ogni caso, cosa sono le verdure, se non anch’esse delle cellule o degli organismi viventi? Temo che dietro ci sia un business, con l’obiettivo di creare appositamente un filone e una moda gastronomica.
Per concludere, vuoi regalare una ricetta agli amici di Barbadillo?
Fa un callo che se crepa! – esclama Gabriele dopo attimi di riflessione – ci vorrebbe proprio una bella vellutata fredda, di fave e piselli, adatta anche agli amici vegetariani; la possiamo arricchire con yogurt e aneto.
“Ah già, l’aneto… scusa Gabriele, ma che è l’aneto?” chiedo timidamente allo chef.
L’aneto non è nient’altro che una pianta aromatica ottima per rinfrescare il sapore, ma non vi sbagliate: quando inizialmente lo chiedevo al mio fornitore, mi portava la finocchiella selvatica che con l’aneto “nun c’entra gnente”!
La “Crema Barbadillo” è servita, buon appetito.