Alla fine del 2018 è stato pubblicato un libro che, nel catalogo di un editore significativo come Marsilio rappresenta un caso eclatante e dimostra lungimiranza e coraggio in questo momento storico che è caratterizzato da un prevalere della ideologia sui fatti reali con una specie di regressione mentale al passato, specie qui in Italia dove sembra essere tornati nell’immediato dopoguerra. Il “fascismo è alle porte”, quindi un riaccendersi di ostilità e odi poco comprensibili alla luce della ragione.
Il libro è La repubblica dei vinti (p.350, euro 18) e lo ha firmato Sergio Tau, per oltre 40 anni regista radiofonico e televisivo “precario” della RAI. Che ha così assolto un compito che si proponeva dal 1997 quando su Radio 2 mandò in onda venti puntate de La voce dei vinti dove parlarono cinquanta reduci, uomini e donne, della Repubblica Sociale. Nei venti anni seguenti Tau ha continuato a raccogliere altre testimonianze sentendo rappresentanti di tutti i reparti militari e di tutti i fronti di guerra 1943-5 in cui combatterono. Il risultato è questo straordinario volume, pieno di eroismi ma anche pieni di orrori e atrocità come solo può avvenire in una guerra civile, una guerra fratricida.
Una trasmissione del genere con il clima di psicosi antifascista che oggi ci pervade credo sarebbe impossibile e Tau rischierebbe una incriminazione di “apologia di fascismo” e messa al bando dai mass media, mentre allora, appena venti anni fa, non accadde praticamente nulla.
Ecco l’opinione di Tau: “Il programma radiofonico voleva far raccontare agli intervistati perché dopo l’8 settembre avevano voluto rimanere o diventare soldati a fianco dell’ “alleato tedesco” per combattere gli eserciti nemici che stavano occupando l’Italia. Benché politicamente lontano da loro, mi erano tornati in mente i loro volti e le loro buffe divise, visti da bambino, quando in pochi erano partiti dal mio paese fra le montagne dell’Alto Adige, mentre in molti erano quelli della comunità tedesca che, arruolati nell’esercito del Terzo Reich, sfoggiavano uniformi più sobrie ed eleganti. Gli italiani arruolati, fra i quali mi sono ricordato di Livio Zanetti (futuro direttore dell’Espresso, e rincontrato molti anni dopo in Rai) erano guardati con aria di sufficienza dalla comunità di lingua tedesca, un po’perché per vent’anni avevano subito l’italianizzazione forzata voluta dal Fascio, ma soprattutto perché dopo l’armistizio, come tutti gli italiani, erano diventati “traditori”.
Per questo e per il ricordo che a 50 anni di distanza gli intervistati ancora avevano dei Tribunali del Popolo, le Voci dei Vinti non raccontarono molto di quella che allora si cominciava a chiamare “guerra civile”. Sono sicuro che non sarebbero andate in onda se ci fossero state le testimonianze sulla guerra civile che ho raccolto negli ultimi vent’anni e che sono parte integrante del libro pubblicato dalla Marsilio”.
Giorgio Pisanò pubblicò a dispense nel 1965, a vent’anni dalla fine della guerra, ben tre volumi dedicati alla Storie della guerra civile in Italia, ma soltanto quando lo storico Claudio Pavone, comunista ed ex partigiano, ebbe il coraggio di intitolare così nel 1991 un suo libro, il termine sempre respinto è stato ufficialmente accettato. Perché questa ipocrisia di fronte a un realtà tanto palese? Ci piace autoingannarci, come continuare a credere che la seconda guerra mondiale l’abbiano vinta?
“Prova a chiedere agli studenti della Media Superiore quali erano le alleanze della grandi Nazioni durante la seconda guerra mondiale, e avrai la risposta”.
Nel 1997, grazie anche a Sergio Valzania, futuro direttore di Radio RAI, sei riuscito a mandare in onda Le voci dei vinti, con i commenti di Giano Accame e proprio di Claudio Pavone. Sette anni dopo nel 2003 Giampaolo Pansa pubblicava Il sangue dei vinti e molti altri libri successivi sino all’ultimo dedicato al calvario delle ausiliarie della RSI. Quel che successe nel 1943-5 e subito dopo, e come la pensassero i “vinti”, dovrebbe essere non chiaro, ma chiarissimo. Eppure a livello istituzionale o comunque ufficiale tutto ciò non pare essere stato percepito e recepito. Secondo te per quale motivo?
“Perché 130.000 partigiani (che divennero 650.000 nel dopoguerra, quando si trattò di riscuotere la pensione da partigiano) rappresentano la parte “buona” dell’Italia, mentre il mezzo milione di vinti sono la minoranza “cattiva” che, come minimo, va ignorata”.
Sono dunque esistiti e continuano a esistere, per usare un termine di Marco Tarchi, degli “esuli in patria”? Dopo 75 anni, tre generazioni, invece che una attenuazione dell’ostracismo, diciamo pure della damnatio memoriae che giunge ancora sino all’odio irragionevole, sembra che la situazione sia peggiorata, eppure i veri reduci, fascisti e partigiani, che la guerra la fecero veramente, sono pressoché scomparsi, e i superstiti hanno 90 anni e più. I loro eredi sono peggio dei padri e dei nonni?
“Sono un’altra cosa”.
Dopo tutto questo tuo grande lavoro di raccolta di dati e testimonianze, che è durato anche dopo il 1997, che idea ti sei fatto di quei “vinti”? Per i “vincitori” sono soltanto fucilatori, massacratori, violentatori, rastrellatori, torturatori. Era quella la peggiore delle guerre, una guerra ideologica tra fratelli. Chi aderì alla RSI fu soltanto chi era stato indottrinato dal fascismo? Erano soltanto i balilla che andarono a Salò, come ha intitolato un suo libro Mazzantini?
“Tutti, “Vinti” e “Vincitori”, erano stati balilla. Ma i primi, pur non amando i tedeschi e dando per certa la sconfitta, per l’onore (parola ormai desueta) d’Italia, non ritennero giusto il tradimento dell’8 settembre. Poco tempo dopo l’andata in onda delle Voci dei vinti, Andrea Camilleri in un’intervista per il programma Tv mio e di Giano Accame, Le intelligenze scomode del 900, ci parlò dell’adesione ufficiale di Pirandello al PNF “dopo l’omicidio Matteotti […]quindi in una situazione tesissima nella quale la barca del fascismo cominciò ad essere abbandonata dai più tiepidi sostenitori.
[…]In quel momento il partito pareva perdente in Italia quindi non c’era, a ragionare terra terra, nulla da ottenere da quel partito se non una presa di posizione ideale.[…]Se Pirandello lo fa in quel momento è per una sorta di scatto di orgoglio, va controcorrente coscientemente volendo essere controcorrente.[…]Io personalmente trovo in questo scatto, proprio di orgoglio, che fa Pirandello anche la lontana radice della spinta che muoverà molti giovani ad andare a Salò, nella Repubblica di Salò. […] Non è vero che gli italiani corrono in aiuto sempre del vincitore. Fortunatamente per noi, qualche volta, corrono in aiuto del perdente”.
La tua trasmissione suscitò inizialmente echi polemici: Il Manifesto scrisse contro, deputati di Rifondazione Comunista fecero interrogazioni e interpellanze, ma alla fine, racconti nella postfazione de La repubblica dei vinti, “non successe niente” e continuasti indisturbato. Secondo te come mai dopo vent’anni in un breve servizio sull’anniversario della morte di Mussolini il 28 aprile scorso, realizzato a Predappio, e con la stessa accusa che ti si mosse, che cioè “non c’era contraddittorio”, ha causato un pandemonio nella RAI, dove si è mosso l’amministratore delegato che si è detto “irritato” e addirittura il caporedattore di RAI Regione per l’Emilia che lo mise in onda è stato costretto a dimettersi?.
“Il consiglio d’amministrazione della tua e mia Rai di quegli anni era quello dei Professori. Non saprei come definire quello attuale. Per ovviare al “non-contradditorio”, Sergio Valzania mi propose di contrapporre alla fine di ogni puntata il parere di due intellettuali di opposte tendenze: Giano Accame e Claudio Pavone. Cosa che impedì alla stampa di infierire. Ci provò solo Radio Popolare, chiedendomi perché uno come me che – con registi illustri come Elio Petri, i fratelli Taviani, Cito Maselli, Valerio Zurlini e altri – aveva filmato per il PCI i funerali di Togliatti, non era riuscito a impedire ai suoi “repubblichini” di parlare come dei nonni. Io cercai invano di spiegare che il più giovane dei miei intervistati aveva settant’anni”.
Ricordi nel libro anche la trasmissione tua e di Italo Moscati per Rai 1, La ciociara e le altre. Le donne “fasciste”, vere o presunte, ebbero sorti terribili, come quella della ragazza di Trasacco, che aveva seguito i tedeschi a Nord, e che al ritorno venne denudata e appesa per i piedi (come Claretta Petacci) ad un olmo e uccisa a colpi di scure dai suoi compaesani che non pagarono per questo “femminicidio”. O quella ausiliaria violentata con una pistola carica e poi impazzita. Questi fatti ancora oggi è difficile ricordarli, farli ammettere, spesso si negano, e l’ANPI ha addirittura protestato e si è opposta ad una targa in ricordo di una ragazzina fucilata dai partigiani in quanto “fascista”. Una trasmissione del genere sarebbe riproponibile oggi? Perché questo rifiuto della verità? Le violenze sulle donne si denunciano e si condannano solo quando chi le subisce sono “partigiane e antifasciste”? Anche qui prevale l’odio ideologico?
“All’odio si aggiungeva la totale mancanza di rispetto per la dignità della donna. Claudio Pavone mi raccontò di una proposta, non accettata dal CNL, di sottoporre le partigiane a visita medica settimanale come quella imposta alle poverette che lavoravano nei bordelli”.
In sostanza, non c’è stata non dico una “storicizzazione” della guerra civile, ma neppure una vera e propria “pacificazione nazionale” invocata dopo la guerra e dopo l’amnistia Togliatti, che in fondo ha riguardato soltanto le organizzazioni dei reduci delle formazioni militari. E’ tanto difficile raggiungerla nel 2019?
“È impossibile, se i mezzi sono quelli dell’attuale ministro degli interni”.
Quel che vien sempre citata è la necessità di una “memoria condivisa”. Ma come raggiungerla se la situazione è ancora questa? I “repubblichini” e le loro famiglie come è possibile che la accettino se sono sempre “esuli in patria”, additati al pubblico ludibrio?
“Nel 2016 un reduce novantenne della San Marco”, già membro della controbanda, a settant’anni dai fatti mi ha chiesto di essere citato nel libro con uno pseudonimo. Non per lui, che vive in America, ma per i suoi figli”.
Secondo te le istituzioni che passi dovrebbero fare, dopo quelli timidi ma significativi compiuti dal presidente Ciampi, che però non ha avuto il coraggio di andare più oltre? Anche se si può capire quali siano gli ostacoli per compierli, basti pensare alle reazioni che si ebbero alle quasi ovvie parole dell’allora presidente della Camera Luciano Violante… Giampaolo Pansa propose anni fa invece che di “memoria condivisa”, una “memoria accettata”: io accetto la tua e tu accetti la mia, e basta così, visto che non è possibile una reciproca condivisione sullo stesso piano, ma anche un gesto simbolico da parte del capo dello Stato, come portare una corona di fuori a Piazzale Loreto… Ma ti immagini le urla per la “Costituzione antifascista tradita”!
“Immagina cosa succederebbe se contestualmente l’ANPI portasse una corona di fiori per i partigiani giustiziati sulla stessa piazza!”.
Il 25 aprile è una festa nazionale che accomuna tutti gli italiani? o non sarebbe meglio valorizzare di più il 2 giugno nascita della repubblica, in cui tutti bene o male si riconoscono, compresi gli ex RSI che al referendum istituzionale votarono appunto per la repubblica corteggiati addirittura dal PCI?
“Il 2 giugno ha un senso. Circa il 25 aprile, ricordo che Luciano Luberti, “il boia di Albenga”, mi diceva di maledire il suo compleanno perché cadeva proprio quel giorno”.
Però un film assai curioso come Io sono tornato, che immagina Mussolini rivivere al giorno d’oggi, mi pare emblematico. E’ scomparso rapidissimamente dalle sale cinematografiche perché, mi pare evidente, invece di ottenere un effetto di “denuncia” del fascismo ha rappresentato invece una denuncia nei confronti della politica e dei mass media italiani, e il pubblico mostrava di apprezzarlo, mentre i critici sui giornali storcevano il naso. Insomma, Mussolini come cartina di tornasole dei nostri difetti di oggi (e di sempre). Non tutto il fascismo viene a nuocere, il che è un messaggio molto pericoloso per il conformismo odierno.
“Credo che il messaggio, indipendentemente dal film, che non ho visto, sia già da tempo arrivato a molti”.
Nel 2000 e poi nel 2002 per Rai Educational insieme a Giano Accame realizzasti due serie su Le intelligenze scomode del 900: 23 profili di personalità eterodosse, controcorrente, politicamente scorrette, più un ventiquatrresimo dedicato a Mishima non andato in onda su Rai 3 perché Feltrinelli non concesse non ricordo più che benestare. Forse è retorico chiederti, dopo le tue precedenti risposte, se oggi sarebbe possibile riproporre queste straordinarie serie…
“Il solo nome di Giano Accame, più che quelli dei 23 protagonisti, basterebbe a scartare una riedizione del programma. La sola ipotesi verrebbe deprecata per quieto vivere dai fascisti dichiarati, da quelli nascosti e da quelli che per fascisti non vogliono essere scambiati”.