È impossibile, per me, scrivere di Gandolfini e del suo personaggio Tony Soprano senza citare la mia esperienza personale di spettatore. Ricordo che la prima volta che mi sono imbattuto in una puntata dei Soprano, fu messa seriamente in discussione la mia incostanza nel seguire qualsiasi evento seriale televisivo. La mia pigrizia catodica si piegò a delle gustose maratone notturne che mi spegnevano all’alba sazio delle vicissitudini pop-mafiose della famiglia italoamericana. Il personaggio di Tony fu incarnato da James Gandolfini al punto da non poter considerare il corpo e la gestualità dell’attore come gli elementi chiave che hanno reso celebre il personaggio.
L’intera serie si pone come un continuo paradosso, nel dipanarsi fra la serie scientifica di ossimori, di contraddizioni, che fin dalla fisicità dei protagonisti si può notare. Lo stesso Tony che dovrebbe rappresentare il male assoluto, il boss senza pietà, è invece simpatico e perfino buffo, prendendo vita dalle movenze a volte goffe che aveva Gandolfini. Il viso dell’attore è di una normalità e di una familiarità che conferiscono al boss Tony quell’umanità, quella fragilità, che rendono Tony Soprano un personaggio così vero e affascinante. Gandolfini rriesce bene a estetizzare un’etica di contrapposizioni interiori: il boss in psicanalisi, il killer che è contemporaneamente un tenero padre, l‘impenitente playboy italiano che fa della propria famiglia la ragione di vita. Il suo girovagare per casa in accappatoio bianco è un culto dei tv serial dipendenti. Pizza in una mano e birra nell’altra.
È paradossale che i Soprano non abbiano avuto il successo che meritavano in Italia, soprattutto è strano considerando che è il serial più “italiano” fra quelli americani trasmessi nell‘ultimo decennio dalle nostre tv. Il fascino della serie è racchiuso nel personaggio di Tony, che col passare delle puntate si rivela come catalizzatore dell‘intera trama che dalle strade del New Jersey finisce per concentrarsi quasi interamente sull‘anima tormentata di Tony, offuscando lentamente gli altri personaggi e la storia stessa.
I Soprano sono in realtà la storia di un rapporto problematico di Tony con se stesso e con le persone che ama, prima che il racconto di una lotta mafiosa fra famiglie italoamericane. Tony e il resto del mondo, ma dal suo punto di vista. Tony e il rapporto ambiguo con la moglie, che finisce per tradire ripetutamente pur amandola follemente, unico rifugio di un inquieto come lui. Tony e la sua psicoterapeuta, che dovrebbe curare i suoi attacchi di panico ma finisce per farlo innamorare. Tony e i suoi figli, che vuole salvare da se stesso prima che dal mondo. Tony e sua madre, che non è mai riuscita a farlo sentire amato.
Il Boss, nella serie, è spesso vittima di allucinazioni a causa degli psicofarmaci che assume per gli attacchi di panico, dei veri sogni a occhi aperti. In preda a un cocktail di pillole la mente lo trasporta fuori di casa, nel giardino dei vicini. Qui incontra una bellissima donna, che gli racconta di essersi trasferita da Avellino, paese natale di Tony. Il Boss la invita a cena, durante la quale ascolta sognante i racconti sulle bellezze della lontana terra campana d’origine, da cui anche lei dice di provenire, Penelope moderna che narra dell’Itaca all’eroe triste Tony. Per un destino strano James, partendo proprio dall’Italia, forse la sua Itaca, paese natio della sua famiglia, è potuto tornare alla vera casa. In accappatoio bianco, naturalmente.