Non è il migliore di Clint Eastwood regista, ma “Il corriere”, da alcuni giorni nelle sale cinematografiche italiane, è un film di grande qualità che si innesta alla perfezione nel solco del cinema classico americano. Al termine delle quasi due ore di proiezione, ciò che rimane in testa allo spettatore sono la nitida figura del protagonista (reduce di guerra, solitario, individualista, antieroe), che nessuno avrebbe potuto interpretare meglio dello stesso Clint; i grandi spazi del territorio Usa, già celebrati in decine di road-movies a stelle e strisce; i valori tradizionali che emergono con delicatezza ma in modo inequivocabile.
La storia
La trama è semplice e lineare: Earl Stone, ultraottantenne floricoltore rovinato dall’economia ai tempi di internet e Amazon, si presta a diventare corriere di droga per conto di un cartello messicano facendo su e giù da El Paso all’Illinois, attraverso il Midwest più profondo. Chi mai sospetterebbe di un nonnetto che rispetta i limiti di velocità, dorme nei motel e trasporta sacchi di noci di pecam? Alla vicenda del narcotraffico si sovrappongono i problemi privati di Earl, che è stato pessimo marito e pessimo padre, votato al lavoro e ai fatti suoi. E che grazie ai soldi ottenuti con la droga riesce a riavvicinarsi alla famiglia, mentre l’ex moglie sta morendo di cancro. Il finale è inesorabilmente prevedibile.
Oltre alla grande recitazione di Eastwood, se possibile ancor più essenziale e asciutta del solito; e alla direzione senza fronzoli ma potente ed efficace come insegna la grande scuola americana, “Il corriere” si segnala come un altro film in controtendenza rispetto ai canoni del piagnisteo politicamente corretto di Hollywood. Un “Gran Torino” in tono minore ma con il solito marchio di qualità del vecchio Clint, che a fine maggio compirà 89 anni: potrebbe esser stata la sua ultima interpretazione, speriamo non sia la sua ultima regia.
L’ho visto il 14 febbraio per San Valentino con mia moglie e ci è molto piaciuto, senza nulla togliere a Gran Torino devo dire che è stata veramente un’ottima interpretazione del grande Clint