Da pochi giorni si è aperta alle Scuderie del Quirinale una mostra dedicata al bimillenario di Ovidio.
Gioielli e affreschi antichi, alcuni di forma fallica e dedicati alle varie posizioni dell’accoppiamento, si alternano a quadri e sculture dal Medio Evo in poi. Alti e tragici miti, dalla morte di Adone alla caduta di Fetonte e a quella di Icaro, ad Atteone che – trasformandosi in cervo – viene sbranato dai suoi stessi cani. Poi meravigliosi e rarissimi codici. Consiglio di visitarla: con questa mostra la nostra Patria si è lavata gli sputi dalla faccia, quelli che portava per l’ignavia mostrata verso uno dei più grandi Poeti mai vissuti, e proprio nostro, abruzzese di Sulmona.
L’Italia gli sputi dalla faccia per Ovidio se li è lavati due volte. L’altra con un volume, un evento per la cultura mondiale, ramificato com’è non solo nel mondo latino e greco, ma nella storia culturale italiana, francese, inglese, tedesca. È La dotta lira. Ovidio e la musica (Marsilio, pp. 427, euro 22).
L’autore – i lettori del nostro giornale lo conoscono bene – è uno dei più grandi nostri uomini di cultura, ma anche dei più amabili e simpatici amici, e dei più corrosivi nemici, che l’Italia possegga: Paolo Isotta.
È un evento non solo per la sua altissima qualità letteraria, intellettuale e filosofica, ma perché è il primo mai dedicato al rapporto fra il Poeta di Sulmona e la musica. Isotta spiega che Le metamorfosi e I Fasti sono il più ampio catalogo mitologico che mai la poesia abbia tentato. Nemmeno Omero e Virgilio hanno influenzato le arti della figura quanto il Poeta di Sulmona.
Ma aveva pensato qualcuno che lo stesso vale per la musica? Nessuno: prima di Paolino. Lui si è messo a considerare il fenomeno storicamente. E si è accorto che, almeno dall’Orfeo di Poliziano (Mantova, 1480) alla Dafne di Strauss, 1938 (la ninfa che, ghermita da Febo, si trasforma in alloro), un filo ininterrotto lega Ovidio all’opera lirica (che nasce in suo onore: Dafne, Firenze, 1598). Alla sinfonia, al poema sinfonico, al “melologo”, alla cantata, al concerto, alla sonata.
Isotta scova cinque secoli di musica, che stavano lì, davanti agli occhi di tutti, ma attendevano qualcuno capace di vedere il filo che li lega. Monteverdi, Cavalli, Scarlatti, Pergolesi, Porpora, Händel, Gluck, Dittersdorf, Haydn, Berlioz, Liszt, Offenbach, Suppè, fino al trionfo di Strauss, sono i principali nomi toccati. E dico il trionfo di Strauss giacché questo sommo compositore, incurante di avanguardia, espressionismo, impegno politico, attraversa il mondo classico e Ovidio dall’Arianna a Nasso del 1916 a L’amore di Danae del 1942.
La Dafne è l’oggetto del mirabolante ultimo capitolo del libro perché Isotta lega questo capolavoro alle origini del teatro musicale e spiega che solo allo stile sinfonico moderno è dato addirittura simboleggiare con le sue architetture il processo della metamorfosi da uno stato all’altro dell’esistenza.
Ciò che Ovidio fa coi suoi versi e che la musica non è pronta prima della fine dell’epoca classica e romantica. E per un altro motivo l’ultimo capitolo è dedicato a Dafne. Isotta si è accorto che più di trent’anni prima, in Alcyone, il Comandante Gabriele d’Annunzio ha rifuso in versi lo stesso mito, e con un virtuosismo e una profondità nella riflessione e rimeditazione sul mito che lo rendono pari allo stesso compositore.
Avreste mai pensato che Strauss e d’Annunzio, i quali personalmente si odiavano, siano due fratelli nell’arte, e tutti e due figli di Ovidio? Doveva arrivare un napoletano a mostrarlo.
Questo non è un libro di un musicologo né scritto per musicologi. È un libro di storia della cultura e della poesia.
È un libro sull’Europa dal Medio Evo in poi e sul suo rapporto con Ovidio. C’è la maestria di un filologo grecista e latinista, oltre che storico della musica.
Ma, di tutti quelli di Paolino, il più piano stilisticamente. Alla fine, la Dotta lira, è un’opera letteraria, e quasi di narrativa, del quale i personaggi non sono solo le grandi figure della mitologia, Arianna, Medea, Apollo, Ercole, Giove, Giunone, Mercurio, Proserpina, Marte, Orfeo…. Sono anche i poeti che hanno preparati i testi per i compositori traendoli da Ovidio.
Sono i musicisti. Sono i pubblici d’Europa per cinque secoli. E personaggio è lo stesso Paolino, nel più letterario dei suoi libri. Nel più dotto, ma anche nel più piacevole. Affrettatevi per goderlo e per farne incetta – in libreria – per le Strenne di Natale.
Lui mi ha detto: “I latinisti e i musicologi mi chiameranno concordemente un dilettante. Ma a sessantotto anni, ti immagini quanto me ne fotto…”.
*da Il Fatto Quotidiano del 3 novembre 2018