L’immagine dell’Arma dei Carabinieri è stata offuscata negli ultimi giorni da due fatti di indubbia gravità. Il primo è la confessione, con relativa chiamata in correo dei colleghi, resa da uno dei militi indagati per il pestaggio subito da Stefano Cucchi. L’altro è la pesante condanna con rito abbreviato di uno dei due carabinieri accusati di avere violentato due studentesse statunitensi che compivano un periodo di studi a Firenze (l’altro ha preferito il rito ordinario ed è stato rinviato a giudizio).
Dei due episodi è difficile stabilire quale sia il più inquietante: se il primo ha avuto ampio riscontro nelle prime pagine, per la sua eco mediatica, il secondo preoccupa per le sue modalità. Infierire su di un fermato, nonostante la gracilità della sua corporatura e le sue condizioni di astenia legate alla tossicodipendenza, non è un comportamento accettabile, anche se si può comprendere, non giustificare, l’esasperazione di uomini impegnati in quella fatica di Sisifo che è la lotta allo spaccio, insultati e spesso sbeffeggiati dai delinquenti che sono riusciti faticosamente a cogliere in flagrante e che la Magistratura spesso rimette in libertà dopo qualche giorno. Chi ha vissuto gli anni di piombo comunque sa che odiosi abusi polizieschi sono stati commessi almeno a partire da Acca Larentia da parte delle forze dell’ordine ai danni di giovani di destra, e questo aiuta a capire l’atteggiamento tenuto nei confronti della vicenda da una giornalista come Flavia Perina, non solo oggi, sulle colonne della “Stampa”, ma nove anni fa, quando dirigeva il “Secolo d’Italia”. Eppure paragonare implicitamente uno spacciatore come il povero Ciappi a detenuti politici ha scarso significato, così come lo hanno i paragoni con il caso Regeni prospettati a sinistra. Occorre aggiungere, comunque, un altro aspetto della questione: anche un Carabiniere ha diritto alla presunzione d’innocenza, per cui sarà la magistratura nei vari gradi di giudizio, e non cineasti e gazzettieri, ad accertare la dinamica dei fatti e l’effettivo rapporto di causa-effetto fra l’esecrabile pestaggio e la morte di Cucchi.
Il motivo per cui lo stupro presunto delle due studentesse statunitensi costituisce un segnale d’allarme altrettanto se non più inquietante è un altro e risiede nella dinamica dei fatti. I due militi, in servizio su una volante, erano stati chiamati a sedare una rissa alle quattro del mattino in un locale fiorentino nei pressi del piazzale Michelangelo. Per l’occasione avevano conosciuto le due americane e, violando la consegna, si erano offerti di accompagnarle a casa sulla vettura di servizio, offerta che le studentesse avevano accettato. Il rapporto carnale, ammesso da entrambi, è stato consumato una volta che Carabinieri e studentesse erano arrivati a destinazione. Le due statunitensi erano in stato d’ebbrezza, e questa è una non notizia. Anche per reazione al paraproibizionismo di molti Stati americani, in cui si può guidare l’auto a sedici anni ma comprare una birra solo a ventuno, gli studenti e soprattutto le studentesse d’oltreoceano eccedono notoriamente con l’alcol una volta arrivate in Italia. Digitando sul motore di ricerca google la stringa “americane ubriache a Firenze” si ottengono in 0,41 secondi 176.ooo risultati. Questo non è una giustificazione per i carabinieri, semmai una circostanza aggravante; ma comunque deciderà la Magistratura se i due hanno usato violenza o si sono limitati ad approfittare, fatto di per sé già grave, di due ragazzine su cui si sarebbe tentati di replicare il giudizio che Frank Sinatra dava delle fans di Elvis Presley. Nel frattempo bene ha fatto l’Arma a radiare le due mele marce, se non altro perché “l’uniforme non si porta mai sbottonata” e non serve per fare flanella.
Ma al di là dello stupro vero o presunto, è l’atteggiamento dei due militi a suscitare una severa riflessione su quello che una volta si chiamava il “morale della truppa” nell’Arma. Che due carabinieri, uno dei quali non più giovanissimo, abbiano potuto utilizzare una volante come taxi per scarrozzare due ragazze appena “imbroccate” e che nell’orario di servizio, quando i cittadini potevano aver bisogno di un intervento urgente del 112, abbiano imitato il duca di Labretto nell’episodio di Cloridano e Medoro dell’Orlando Furioso, è un segnale allarmante che induce a riflettere sui meccanismi di selezione, di formazione, di gestione del personale nell’Arma. Le pecore nere, si dirà, sono sempre esistite: è vero. Eppure resta il timore che a partire dagli anni ’80, un po’ per effetto della smilitarizzazione giuridica della PS, un po’ per l’allentamento dei filtri selettivi, sia in atto una sorta di smilitarizzazione psicologica di certi appartenenti all’Arma, che il discutibilissimo via libera della Consulta alla sindacalizzazione delle Forze Armate potrebbe aggravare. Ma la forza della Benemerita risiede proprio nel fatto che la stragrande maggioranza dei suoi uomini porta le stellette non solo sul bavero, ma nel cuore, considera indossare l’uniforme che fu di Salvo d’Acquisto un fatto etico prima che estetico. Altrimenti l’Arma rischierebbe di risultare solo un costoso doppione della Polizia di Stato, non una delle poche istituzioni che sopravvivono nella stima degli italiani.