“Il Silenzio delle parole” è un romanzo di formazione che ha l’originalità di innestare nel racconto biografico di un’ esperienza corale degli anni 80, quella del FdG romano, la narrazione della contestuale epifania del Postumano, impersonato da una creatura – chiamata con il numero di serie 1994 – prodotta in laboratorio con un procedimento di clonazione.
Come l’Iliade, anche il romanzo di Peppe Iellamo è un canto al coraggio e all’amicizia, alla bellezza e alla grazia, in cui però non c’è l’ intervento salvifico di un dio.
E infatti nello scontro con i nuovi titani, la bellezza e la poesia sono destinate a soccombere: la stessa grazia è disarmata di fronte alle creature dell’abisso della Tecnica.
E non rimangono allora che l’amicizia e il coraggio a fare fronte contro la dissoluzione dell’umano, a difendere quella scintilla del divino che rende l’ esistenza di ciascuno di noi qualcosa di unico e irripetibile. A opporsi al furto dell’anima che è insito nella pretesa della Tecnica di poter riprodurre l’uomo in laboratorio, di rendere brevettabile il vivente.
C’è forse da chiedersi, però, cosa sia rimasto di quell’esperienza politica che fa da sfondo al racconto, di quella comunità militante dissoltasi da tempo in una diaspora esistenziale, che ha visto spesso l’amico di ieri, il compagno di lotta di quella che per noi era la meglio gioventù, trasformarsi poi, sotto un piano schmittiano, nel nemico politico di oggi.
Eterno coraggio
La risposta ce la dà Iellamo: rimane la gratuità dell’amicizia, i momenti eterni degli atti di coraggio, l’aver vissuto con spirito guascone la sfida contro un mondo conformista, l’aver gridato siamo qui per rendere forti i vecchi sogni, per far sì che il mondo non perda coraggio. E il pregio del romanzo è che non c’è nostalgismo né vittimismo, ma la semplice umanità di una gioventù che aveva una sensibilità diversa da quella della maggioranza dei coetanei; insomma un controcanto al romanzo di Valentina Mira.
Ed è questa esperienza umana, unica e forse irripetibile per chi non è stato travolto dal riflusso degli anni Ottanta né dal Nulla del pensiero debole dei decenni successivi, che costituisce l’antidoto alle suggestioni di quelle potenze visibili e invisibili che operano instancabilmente per riscrivere la grammatica umana e per realizzare uno statuto antropologico disancorato dall’ordinamento naturale.
Insomma, un libro da leggere, perché profondamente, irriducibilmente umano.
“Il silenzio delle parole”, di Giuseppe Iellamo, Settimo sigillo, 2024