Il ruolo di intellettuali, riviste e case editrici quali “organizzatori di cultura” in grado di influenzare i temi dell’agenda politica è un fattore mutevole nel corso del tempo e di non sempre facile decifrazione. Un approfondimento sulle vicende italiane del secondo dopoguerra fino agli albori degli anni settanta è l’obiettivo della raccolta di saggi di Roberto Pertici “E’ inutile avere ragione – La cultura “antitotalitaria” nell’Italia della prima Repubblica”, pubblicata da Viella nel 2021.
Una galassia minoritaria ed eterogenea gravitante intorno ad ambienti liberali, cattolici, socialisti democratici e riformisti rispecchiò in modo non sempre lineare la convinzione che, archiviata l’esperienza del fascismo, il problema principale della democrazia consistesse nella lotta contro l’URSS e i suoi avamposti occidentali.
Il vario anticomunismo italiano (1936-60)
Fino ai primi anni trenta il dibattito interno al regime di Mussolini sul sistema sovietico non si fossilizzò del tutto negli stereotipi, ma in ottica concorrenziale; una nuova spinta verso la contrapposizione emerse con la guerra di Spagna, anche se in quel caso l’intervento italiano – elemento mancante nella narrazione – fu determinato da esigenze strategiche più che ideologiche.
E’ significativo che Delio Cantimori (fascista approdato alla sponda opposta, almeno sino ai fatti di Ungheria del 1956),riproponendo nella rivista fiorentina “Leonardo” l’opera del gesuita Joseph Ledit – che identificò i tratti principali dell’antropologia del dirigente comunista in un concentrato di cinismo, abnegazione e crudeltà – segnalò un atteggiamento del Vaticano più battagliero verso Mosca rispetto a quello del duce.
Le mutazioni di scenario prodotte da alcuni eventi successivi – in particolare, l’ingresso dell’Italia in guerra e la presa d’atto da parte della Santa Sede dell’impossibilità di poter giungere a compromessi con Hitler – accelerarono nell’interpretazione dell’autore la parificazione tra bolscevismo e nazismo nella strategia di Pio XII, inducendo la maggior parte del mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiastiche a giustificare l’aggressione tedesca all’Unione sovietica.
La prevalenza della lotta antifascista nel biennio 1943-45 e il grande prestigio acquisito da Stalin costrinsero l’anticomunismo sulla difensiva, ma non impedirono la sua mimetizzazione in un complesso movimento d’opinione che serbò una memoria negativa (associata a soprusi, requisizioni di viveri e rappresaglie tedesche) della guerra partigiana in una parte consistente della “zona grigia” della popolazione del nord e un’avversione spontanea dei ceti popolari e conservatori del sud, legati a un senso contadino della proprietà, della famiglia e dell’ordine diffuso soprattutto dalle comunità parrocchiali.
La natura oligarchica del regime dei partiti del Comitato di liberazione nazionale contribuì al radicamento di un anti-mito resistenziale che divenne parte integrante della polemica contro il mondo moderno del Fronte dell’Uomo qualunque, delle incursioni di settimanali (Il Candido” di Giovanni Guareschi, l’“Europeo” e “Oggi”) che denunciarono gli orrori del cosiddetto “triangolo della morte”, i comportamenti antinazionali dei comunisti sulla questione giuliana e istriano-dalmata, le sparizioni di migliaia diprigionieri italiani che non fecero più ritorno dalla Russia.
Mentre l’avversione della Chiesa e delle organizzazioni cattoliche riemerse subito (basti pensare all’azione svolta dai comitati civici di Luigi Gedda nelle elezioni del 1948), quello della Democrazia Cristiana si misurò con il possibile ostacolo della “coabitazione forzata” al governo e con i vincoli della situazione internazionale.
La crisi della cultura liberale nel primo ventennio repubblicano
In tale contesto l’analisi del pensiero di Benedetto Croce, improntata su una visione dell’uomo e della storia e sui valori dell’etica e del patriottismo quali elementi di coesione morale, èpropedeutica al rifiuto dell’equazione tra uguaglianza e uniformità e al confronto critico con il marxismo, traducendosi nell’esigenza del risveglio di una spiritualità sopita nel vecchio continente.
La scelta dell’unità politica dei cattolici provocò tensioni e malumori di un fronte composito che iniziò a esercitare pressioni su De Gasperi, abile a utilizzare il pericolo comunista per limitare l’autonomia degli alleati e a sgretolare le formazioni di destra, ma anche ad imprimere al centrismo un’idealità ispirata al pensiero di stampo cattolico di Charles de Montalembert e poggiante sui legami alle consuetudini e alle buone usanze.
Ciononostante le enormi difficoltà pratiche del campo liberale a uscire da una dimensione elitaria e a dialogare con i ceti medi soffocarono le presunte capacità – sostenute da frange dell’azionismo post-gobettiano – ad aprirsi verso quegli ambienti da parte del movimento operaio.
L’eterogeneità di schieramenti e posizioni è confermata dall’esperienza dei giovani intellettuali e giornalisti che fondarono intorno a Mario Pannunzio la rivista “Il Mondo”. Estremamente diffidenti verso i partiti di massa, essi considerarono l’antifascismo un momento importante ma non conclusivo della lotta per la democrazia, formularono un giudizio sulle lotte risorgimentali e sul processo di costruzione dello Stato unitario alternativo a quello delle altre forze del Comitato di liberazione nazionale e rappresentarono in parte le istanze di un’area che contribuì in modo secondario all’elaborazione della Costituzione, non senza criticarne il modello programmatico e la portata politico-ideologica.
La fuoriuscita di un gruppo di sinistra che costituì il partito radicale precedette una querelle, rivelatrice delle riserve mentali ad insistere sulle contraddizioni del comunismo, che tale nucleo imbastì nel 1957 con l’entourage del “Mulino”, a proposito della necessità di superare il fascismo quale pericolo immanente. La questione coinvolse Nicola Matteucci, uno dei fondatori della rivista e casa editrice bolognese, che biasimò coloro i quali diffusero allarmi ingiustificati sullo Stato di polizia e sull’affossamento delle libertà e respinse le accuse che attribuirono al centrismo la responsabilità di aver inaugurato un processo involutivo del sistema democratico.
A ridosso della contestata esperienza del governo Tambroni, infatti, l’antifascismo tornò in auge con toni crescenti di recriminazione, enfatizzando progressivamente le tematiche della resistenza tradita e rivendicando al Pci e ai partiti di sinistra il ruolo esclusivo di padri fondatori e numi tutelari della Repubblica.
Percorsi della cultura anti-progressista
Partendo dal carattere di estraneità del totalitarismo a qualsiasi legame spirituale, il collaboratore del “Mulino” Augusto Del Noce pose l’attenzione sulla funzione liberale del cattolicesimo politico e sulla sua compatibilità con il socialismo non marxista.
Nell’atmosfera di mobilitazione in cui le culture neo-illuministica e neo-positivistica veicolarono una visione della storia come complotto gestito da “forze dominanti” e l’esigenza di soddisfare bisogni, istinti e pulsioni soggettive alla stregua di diritti che scavalcavano ogni vincolo sociale, le riflessioni del filosofo piemontese si concentrarono sul superamento della società tecnologica (“trionfo dello spirito borghese”), possibile solo attraverso la restaurazione di una dimensione religiosa, dell’autorità morale dei valori e sul contrasto alle varianti del marxismo.
Gli affondi contro il cattolicesimo progressista, allineato alla condanna della società capitalistica e a una serie di atteggiamenti tipici del pensiero rivoluzionario (l’ammissione delle sole pedagogie permissive, la repulsione del passato e della tradizione in quanto condizionamenti oppressivi, la negazione del principio di autorità e l’“eclissi del sacro”) furono accompagnati dalla bocciatura della formula di governo dell’apertura a sinistra, i cui progetti di riforma avevano preso forma – nonostante tutto – anche grazie al contributo d’ispirazione liberale.
I cenni all’imponente lavoro di ricerca dello storico Renzo De Felice, culminato nella biografia su Mussolini, indirizzano l’attenzione sull’opportunità di indagare il fenomeno del fascismo,da collocare storicamente perché superato, soffermandosi sulle motivazioni culturali e sulle dinamiche sociali che si svilupparono al suo interno, confutando gli utilizzi politici e strumentali.
Agli antipodi rispetto ai giudizi prevalenti della cultura azionista che lo presentarono come malattia morale radicata nella debolezza costitutiva della nazione, Del Noce intercetta da un lato la sua spinta rivoluzionaria che, intrisa di tratti volontaristici, riuscì a saldarsi con alcune suggestioni vitalistiche del pensiero del primo novecento e con l’attualismo gentiliano; dall’altro sottolinea le sue peculiarità di reazione al socialismo, di cui fece propri una serie di elementi miscelandoli con un tipo di nazionalismo che riuscì a conquistare le masse.
L’autore attribuisce grande rilevanza al contributo che Alfredo Cattabiani, fondatore delle Edizioni dell’Albero e poi direttore della casa editrice Rusconi, fornì al dibattito sul potere pervasivo dei media, sul carattere inautentico della cultura universitaria, sui limiti della democrazia rappresentativa e delle tecnocrazie e sul peso opprimente del capitalismo.
La rivoluzione spirituale evidenziò la centralità del recupero della dimensione umana, del senso dell’eternità e del tempo, della vita terrena e di Dio, nutrendosi del pensiero controrivoluzionario di De Maistre e di quello di figure decisamente scomode (Pierre Drieu La Rochelle, Georges Bernanos) e perseguì l’obiettivo di contrastare la società tecnologica, espressione di una forma di totalitarismo imposto con sottili tecniche di persuasione psicologica.
Sullo sfondo delle derive estremistiche del ‘68 e dell’utilizzo talvolta fazioso di istanze promosse dal Concilio Vaticano II (contestazione “dal basso” della gerarchia e della tradizione della Chiesa), Pertici illustra infine la parabola di Gabrio Lombardi, presidente del Movimento laureati dell’Azione Cattolica e del comitato promotore per l’abrogazione della legge sul divorzio.
L’importanza della coscienza in quanto retaggio della formazione gesuita, le esperienze della guerra e della resistenza tra i militari internati in Germania, le origini cristiane dei concetti di laicità e libertà, la lotta contro l’assemblearismo – falsa espressione democratica negli organismi rappresentativi degli atenei –costituiscono parte integrante di un itinerario che si concluse con una battaglia dettata non da motivazioni religiose ma sociologico-morali, strettamente connesse ai potenziali rischi a cui andava incontro la società permissiva: quella a favore dell’indissolubilità del matrimonio concordatario e civile, con la sola eccezione delle“unioni registrate”.
Conclusioni
Il lavoro di Pertici, non di semplice lettura per il taglio accademico, svela nella premessa le ragioni del titolo (preso in prestito da un vecchio libro del socialdemocratico Paolo Treves) e offre sicuramente parecchi spunti di dibattito.
Trasferite nella realtà contemporanea e nelle dinamiche proprie dei moderni think tank, le osservazioni che indicano nell’ultimo trentennio un’occasione mancata per la “risurrezione” della cultura antitotalitaria aprono scenari problematici perché, a partire dalla caduta del muro di Berlino, la sua declinazione prevalentec onsolidatasi nei paesi occidentali – quella di stampo liberale e atlantista – si è affermata a pieno titolo quale unica ideologia rimasta.
Mussolini e tutto il fascismo non di destra ammiravano la URSS di Stalin, purtroppo. Ciò spiega perchè per non pochi, giovani soprattutto, il salto nel ’45, o prima, sia avvenuto in una sorta di logica di continuità ideologica. La destra non fu mai il fascismo, solo fecero un pezzo di strada assieme…