In Italia tutto cambia perché nulla cambi, si potrebbe dire parafrasando Tomasi di Lampedusa. Cambiano le stagioni e i governi ma la nostra politica estera rimane ancorata alla usuale retorica mai seguita dai fatti e all’acquiescenza alle vecchie e consunte alleanze coltivate dagli esangui governi precedenti. Quello che accade oggi è illuminante sulla marginalità in cui il Paese è precipitato nell’ultimo decennio.
Il caso che ci interessa sono i nostri rapporti con la Russia, l’Iran e Israele. “Saremo fautori di un’apertura verso la Russia e ci faremo promotori di una revisione delle sanzioni”, aveva annunciato con enfasi il neo-premier Giuseppe Conte presentando il suo programma in Senato accolto da appalusi scroscianti della maggioranza, soprattutto della Lega.
Ed ecco invece dove siamo miseramente approdati poche settimane dopo questi proclami mentre il ministro degli Interni Matteo Salvini faceva la voce grossa con le Ong straniere in mare (forse qualcuna anche un po’ sospetta) e molto meno in politica estera. Al Consiglio europeo del 28 giugno, in contemporanea con il fallimento Ue sul dossier immigrazione, sono state rinnovate di altri sei mesi le sanzioni imposte alla Russia nel 2014 in seguito alla crisi dell’Ucraina.
Dalla Lega però non è venuta un parola al riguardo, neppure un vagito. Gli affari con la Russia li fanno i tedeschi, con il Nordstream 2 (mentre l’Italia dovette rinunciare al Southstream con Mosca), ma li fanno anche anche protagonisti meno tracciabili come Israele e l’Austria del bellimbusto Sebastian Kurz _ colui che minaccia di chiudere il Brennero _il capo di una sorta di paradiso fiscale alle porte di casa nostra.
Il governo austriaco vuole prendere a pedate gli immigranti illegali e respingerli in Italia ma accoglie con un ben sorvegliato segreto bancario e passaporti fiammanti gli oligarchi russi e tutti coloro che devono riciclare denaro ed evadere il fisco. I cittadini austriaci sono legalmente autorizzati a mantenere “conti bancari anonimi e strutture legali in Liechtenstein”, altro paradiso fiscale dove i servizi finanziari costituiscono un quarto del Pil. “L’amico fraterno di Israele” Salvini, come lui stesso si definisce, non ha fatto una mossa per spingere il nostro governo a dire qualche cosa di contrario alle sanzioni verso Mosca. Neppure un’astensione.
Ci pensano infatti gli israeliani ad accogliere gli oligarchi russi sotto sanzioni del dipartimento al Tesoro americano come Roman Abramovich (di origini ebraiche), patron del Chelsea e accreditato di una fortuna di 9 miliardi di dollari da Forbes, che ormai è diventato cittadino dello stato ebraico. Non è certo il primo caso e non sarà l’ultimo perché gli oligarchi di Mosca sono da qualche decennio di casa in Israele e lì si sono rifugiati quando si trovavano nei guai: una vicenda che tempo fa era diventata in Israele persino un serial televisivo di successo.
Adesso sono gli accordi tra Putin e il premier israeliano Benjamin Netanyahu a portare gli oligarchi di origine ebraica sulle spiagge di Tel Aviv. Messo sanzioni il leader del Cremlino è assediato dalla grandi famiglie che gli chiedono una via di uscita alla black list americana. Tra questi c’è anche Oleg Deripaska, azionista di Rusal (alluminio) e Glencore (gigante energetico e minerario), passaporto cipriota ma anche, guarda caso, cittadino austriaco “honoris causa”.
Netanyahu, ospite d’onore sulla Piazza Rossa il 9 maggio scorso per l’anniversario dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, ha offerto a Putin un escamotage: da Israele gli oligarchi protetti dal Cremlino possono girare capitali e fare operazioni su tutte le piazze del mondo, contando sul ramificato network internazionale della finanza ebraica. Certo Netanyahu avrà chiesto in cambio alla Russia di fermare l’Iran e gli Hezbollah in Siria ma questi fa parte di un copione sul quale Mosca e Tel Aviv dialogano e dibattono animatamente da tempo, comprese le forniture di missili russi S-400 a Iran e Turchia.
L’importante è che i bravi ragazzi come Salvini stiano al loro posto seguendo il canovaccio e piegando la testa. Qualche cosa verrà in tasca anche a loro, forse. Vedremo come si comporteranno i nostri governanti al momento di discutere come opporsi alle sanzioni Usa all’Iran, un aspetto sul quale, teoricamente, tuti gli europei sono d’accordo dopo che gli Stati Uniti che sono usciti dall’accordo sul nucleare firmato con Teheran dalla comunità internazionale nel 2015. Qualche indicazione verrà tra breve dall’incontro Putin-Trump. Ma il tempo stringe: da novembre fare operazioni finanziarie con l’Iran diventerà un rompicapo perché le banche occidentali che lavorano con Teheran sanno sanzionate dal Tesoro Usa.
Una cosa è interessante da sottolineare: l’Italia in Iran ha firmato commesse per 27 miliardi di dollari, ben più di quanto si perda con le sanzioni alla Russia. E Salvini, nonostante le nostre imprese _ anche piccole medie _ facciano affidamento sul promettente mercato iraniano, non ha ancora proferito verbo sulla questione, forse perché è “un amico fraterno di Israele” e i bravi ragazzi non disturbano il manovratore.