Presentato fuori concorso all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, The Palace, ultima regìa di Roman Polanski, esce in questi giorni nelle sale francesi, quasi in coincidenza con l’apertura del Festival del Cinema di Cannes. Ma se l’uscita del film è molto in sordina (82 sale in tutto il territorio francese, di cui solo una nella capitale), non si può dire altrettanto per quanto riguarda le critiche apparse sulla stampa quotidiana d’Oltralpe. Non solo è stato giudicato unanimemente un ratage (fiasco) e un brutto film, (in Italia, invece, la critica si è divisa), ma The Palace, il suo regista (ebreo polacco, ma francese di nascita e d’elezione), il suo cosceneggiatore Jerzy Skolimowski e il suo produttore Luca Barbareschi (anche lui di origine ebraica) sono stati attaccati, in maniera a dir poco forsennata, da due quotidiani come il liberal “Le Monde” e il conservatore “Le Figaro”. Secondo queste due autorevoli testate, la colpa più grande di Polanski, al di là della preponderante mediocrità del film, è da identificare nei suoi antichi trascorsi (1977, quasi mezzo secolo orsono) di stupratore, considerati come una vera e propria provocazione in tempi di #MeToo (vedi l’attuale edizione del Festival di Cannes). Polemiche assurde, che peraltro non hanno investito il precedente film di Polanski prodotto da Barbareschi (L’ufficiale e la spia, 2019, dedicato alla figura dell’ufficiale franco-ebraico, ingiustamente accusato di spionaggio, Alfred Dreyfus), destinate, a differenza di Polanski e dei suoi collaboratori, a non entrare nella Storia. Né con la maiuscola, né con la minuscola.