Ma tu te li immagini Fellini e Ridley Scott che, pedinati dalla cinepresa senza tempo di Fritz Lang, leggono Marinetti sui gradini della Basilica dell’Eur? Mauro Reggio, avanguardista infilato nel pantheon degli eccellentissimi da Camillo Langone, sì. Romano doc – stufo delle “solite modelle e delle nature morte” -, stregato dai colori caldi della tradizione italiana del XX secolo, galoppa sulla tirannica tangenziale est e racconta l’urbe, dal Colosseo agli strascichi postmoderni. Il razionalismo sposa la metafisica, tra l’abbraccio rarefatto del classicismo e l’ardore del cielo, rovente. Quasi come un sodalizio tra fauves di borgata, annichiliti e catapultati nella modernità.
Mauro Reggio, partiamo dalla genesi. Come nasce il tuo progetto?
“Durante l’ultimo anno di Accademia di Belle Arti smisi di dipingere le solite modelle e nature morte per focalizzare l’attenzione solo sul paesaggio urbano. Quello che mi interessava era l’architettura dei diversi edifici di epoche e stili diversi e il loro accostamento forzato. Roma offre innumerevoli scorci con queste caratteristiche e quindi mi misi al lavoro dipingendo le varie archeologie che si relazionavano ad architetture del Barocco o al razionalismo novecentesco o alla Tangenziale Est, da molti considerata una sorta di ecomostro ma che a me da sempre ricorda il vecchio film Metropolis di Fritz Lang e suscita suggestioni surreali anche nel suo realismo ormai decadente. Per focalizzare con maggior attenzione le architetture dei soggetti scelti, da subito li ho spogliati dagli elementi per me estranei alla composizione e quindi le prospettive delle piazze e delle strade sono prive di uomini, automobili, insegne varie, cartelli pubblicitari”.
Quanto è difficile “unire le tangenziali alle rovine classiche”?
“In realtà la tangenziale che dipingo attraversa una buona parte del centro di Roma incontrando nel suo percorso diverse rovine classiche, è sufficiente trovare una buona “inquadratura”, per il resto mi affido alla magia del colore con i suggerimenti del sole e delle ombre che proietta”.
Roma è la sintesi urbana tra l’antico e le avanguardie postmoderne e desertiche?
“Credo di si perché a differenza di altre metropoli, Roma nel bene e nel male ha saputo mantenere quasi tutti gli stili architettonici dall’antichità sino alle ultime opere di Renzo Piano, Zaha Hadid, Richard Meier. Solo l’architettura del Medioevo ha subito gravi perdite e ne rimangono pochi esempi”.
Ma allora esiste un legame tra l’Eur, il pop e Blade Runner?
“Non lo so davvero. Nel film di Ridley Scott ci sono alcune sequenze dove si vede un cielo di colore arancio scuro, che trovo fantastico perché improbabile e quindi surreale, è un colore che utilizzo spesso per i cieli, in ogni tipo di tonalità, è sicuramente un colore pop perché molto forte e subito visibile. L’Eur con le sue architetture quasi tutte di un bianco accecante non mi suggerisce relazioni pop, ammenochè non abbia un cielo arancione”.
Un artista, un libro e un pezzo cui sei devoto.
“L’artista è sicuramente Antonio Sant’Elia, grandissimo architetto che non ha visto realizzarsi nessuno dei suoi progetti perché troppo all’avanguardia per i mezzi allora disponibili, il libro è l’Aleph di G.L. Borges e la canzone è Polvere di Giovanni Lindo Ferretti”.
Che aria tira oggi in Italia?
“La situazione attuale dell’arte in Italia non è molto buona se paragonata ad altre nazioni. Ci sono tanti artisti validi ma molto sottovalutati dalle istituzioni così come in altri settori della cultura. Quasi tutto dipende da iniziative personali realizzate con forze e mezzi propri”.
Un flash sui progetti futuri.
“Di progetti per il futuro ce ne sono tanti ma per ora dico solo quello che è sicuro e cioè una mostra personale nel 2018 alla Salamon Gallery di Milano”.