Zero a zero. La Svezia dei randellatori agguanta il Mondiale e ci riporta a quella mancata qualificazione di sessant’anni fa. C’è chi grida al Caporetto-bis, chi (Tavecchio) ha parlato di Apocalisse e chi segnala che è il calcio è lo specchio del paese. Ma la verità in pillole ce l’ha il ct della Ternana Pochesci: siamo tutti pariolini, una volta menavamo e vincevamo, ora ci menano e piangiamo. La notte del fallimento che si consuma a Milano – Pirlo, dal suo divano in pelle, ha ragione da vendere: il tifo, per quanto generoso, non fa mai gol – sarà pure solo la ciliegina velenosa di un sistema marcio, ma ci fa trarre, di per sé, non poche conclusioni.
Le colpe dei singoli
Messe per un attimo le sciagurate cantonate di Ventura e le uscite a vuoto di Zenga, da Gabbiadini ci si aspetta decisamente di più: prodigio a metà in Premier, si aggira cadaverico alle spalle di Immobile (che corre anche per lui), senza trovare, in più di un’ora, il guizzo decisivo. Molle. Se, poi, all’andata la vittima sacrificale del 3-5-2 è stata Verratti, impiegato come mezz’ala per la ripartenza veloce e non come metronomo affidabile e scarpino nevralgico della mediana, a fare le spese del modulo sbilenco oggi è Jorginho, sarrista abituato al confort di Allan, assorbito dalla gabbia scandinava, con Parolo (sì, Parolo gioca novanta minuti anche stasera) e Florenzi (inadeguato da interno di centrocampo) che lo abbandonano in più di una occasione. L’italo-brasiliano, nullo per sua natura in fase difensiva – servirebbe il mastino De Rossi, che scalpita e sbraita ma è legato alla panchina – brilla con un paio di verticali per Immobile, ma rende la metà di ciò che potrebbe.
Si può ripartire da qualcosa?
Salvare qualcuno, in modo deciso, è faticoso. Si salva l’onore di Buffon, tra fiumi di lacrime, disperato come la sua corsa per il calcio d’angolo all’ultimo secondo. Si salva Immobile, che sputa sangue anche senza l’acciaccato Belotti. Si salva la voglia di morire per la maglia azzurra di Florenzi. Si salva Bonucci che zoppica e scaraventa la maschera a terra, sotto la guardia vigile di Barzagli, forse il migliore in assoluto (e allora il problema è molto più ampio del mancato funzionamento dei vivai). Si salva l’inno di Mameli a perdifiato a cinque minuti dalla fine. Ma è troppo poco, davvero. Così poco che non riusciamo a vedere i segnacoli da cui riprendere il cammino.