Letteralmente significa “anticamera” ed indica quel luogo in cui si influenzano gli eletti dal popolo. All’atto pratico, il termine lobby sta a significare gruppo di pressione che intercetta i processi decisionali delle istituzioni. Quella del lobbista è una professione ancora giovane – e non troppo ben considerata – nel nostro Paese. In Italia infatti, a differenza degli altri Paesi, lobbista è sinonimo di trafficante. Massimo Micucci, che di professione appunto è lobbista, sull’argomento ha scritto proprio un libro (a quattro mani con Santo Primavera) dal titolo eloquente: Trafficante sarà Lei!
Iniziamo da qui: se dovesse spiegare cosa fa un lobbista?
Il lobbista rappresenta interessi nei confronti dei decisori pubblici, siano essi istituzioni o grandi corporation. Il processo di decision-making è sempre più complesso e il compito del lobbista è di aiutare a rappresentare al meglio gli interessi di un’azienda o di un’area di aziende.
Quando è nata questa figura?
È una figura antichissima: esistevano lobbisti nel Rinascimento che rappresentavano interessi di cavalieri spagnoli nei territori d’oltremare. Le corporazioni dei mestieri erano un esempio di lobby, con cui gruppi di individui segnalavano ai decisori le istanze dei componenti della società. Oggi si parla di lobby riferendosi all’esempio statunitense, in cui accade che nella lobby (sala d’aspetto, ndr) del Congresso o dell’albergo antistante i lobbisti attendono i parlamentari.
Si tratta di una professione che noi abbiamo “importato”?
Ciò che mancava in Italia fino a quindici anni fa era un esplicito riferimento ad una rappresentanza di interessi indicata con il termine lobby. Da questo punto di vista, siamo stati con Reti – e con le nuove società che sono subentrate – coloro i quali hanno sdoganato il termine.
Perché il lobbista è visto come un trafficante?
La vera ragione è che il potere si protegge dai cittadini. In Italia siamo portati ad individuare chi intermedia come una cattiva persona e questo è sbagliato. Il motivo principale per cui si additano come trafficanti quelli che sono rappresentanti sta nella volontà di chi detiene il potere di farne di esso qualcosa di segreto. Questa discriminazione verso le lobby rischia di essere accentuata dall’introduzione del reato di traffico di influenze.
Di cosa si tratta?
Per spiegarlo si rimanda alla Convenzione europea sulla lotta alla corruzione, dove si indicano questi traffici come reato. Non tutti i Paesi europei hanno adottato questa decisione: la legislazione britannica prevede il solo reato di corruzione, con gradazioni diverse a seconda del caso.
Importante è la distinzione tra traffico di influenze e di influenze illecite.
Quando si legifera troppo si generano incertezze. Influenzare la decisione pubblica è un diritto, organizzarsi per farlo è un vantaggio per la democrazia e per i decisori. La differenza sta nell’ottenimento di un vantaggio dovuto, determinato da un’influenza lecita o illecita. Mi sembra una tipologia di reato immaginata per aprire tante indagini e non chiuderne nessuna.
La differenza tra influenza e corruzione?
Le faccio un esempio: se un gruppo di studenti prende con sé a studiare il più bravo della classe in vista del compito sfrutta il rapporto che ha in modo non illecito per avvantaggiarsene. Se, invece, lo stesso gruppo di studenti copia il compito in classe si ha un atteggiamento illecito. La differenza tra influenza e corruzione sta nel risultato finale, ossia l’arricchimento, lecito o illecito.
Perché abbiamo bisogno dei lobbisti?
Perché la società sta diventando sempre più complessa e la decisione politica, a fronte di una grave crisi della rappresentanza, è il complicato risultato di diverse reti di responsabilità. Abbiamo bisogno di instaurare un dialogo col potere, per avvicinarlo ai cittadini.
* Trafficante sarà lei! Bonanno Editore, 2013, pp. 80, € 10.