Questo Europeo ci lascia ben più dell’amaro in gola. Ben più di una speranza svanita e sprecata dalla mejo gioventù. Siamo arrivati in semifinale grazie a un orgoglioso guizzo contro i tedeschi – ma la partita con la Germania, lo dicono gli annales, è sempre stata cosa a parte – per poi ripiombare, contro gli iberici dal rinfrescato tiki taka post-guardioliano, nel disordine più totale e nel turbinio di amnesie traumatizzanti. Troppo gravi per essere giustificate con un semplice eccesso di individualismo, come abbiamo provato, già a fatica a onor del vero, a fare dopo il ruzzolone contro la Repubblica Ceca. No, qui tocca sedersi e provare, nel limite del possibile, a rimettere assieme i cocci.
Di Biagio non è adatto
Spiace dirlo, tanto. Incensato alla vigilia come l’Alcibiade degli Azzurrini, non ne indovina una, eccezion fatta per le scelte ovvie e obbligate. La semifinale ne è l’esempio e a nulla serve dire che abbiamo centrato il nostro obiettivo. La difesa dei titani si fa infilare con troppa facilità (per non parlare Donnarumma, distratto o forse anche un filino sopravvalutato?), con Caldara spesso chiamato a reggere da solo la baracca. Il filtro in mediana, poi, semplicemente non c’è mai stato. L’idea di un centrocampo a tre ‘liquido’, con le incursioni di Pellegrini – unica vera stella della competizione – e il capitan Benassi iper-offensivo nei fatti perennemente a ridosso dell’attacco, è deleteria. Le falcate degli uomini di Celades disarmano la vaporosa linea del centrocampo e danno sempre vita a un dominio sulla trequarti. A coprire l’intera zona e a fare da frangiflutti Gagliardini, nervoso e appannato (oggi chiede perdono con un mea culpa sui social), non ce la fa e si becca due gialli in meno di dieci minuti. Di lì l’imbarcata. Solo davanti, forse, le colpe del tecnico lasciano spazio alle colpe dei singoli giocatori.
Petagna è lì per caso. Ma i suoi cavalieri?
Più di tutti e tutto, non abbiamo un ‘nove‘. Petagna si incarta, macchinoso, e non segue neanche l’esempio del suo superiore Pellè, che, con tutti i limiti, fa salire la squadra. Nulla: sportellate da panzer, velleità bomberistiche, pochissime occasioni create. E Cerri non pare molto meglio. Il torto, però, non è mai di un solo peccatore: decisamente sottotono anche tutti i campioncini dalla trequarti in poi. Proprio coloro da cui chiunque si aspettava il sopraffino salto di qualità. Per cancellare Berardi sono bastate le prime partite, Bernardeschi – oltre all’indiscusso merito per la rete del momentaneo pareggio – è evanescente e monotono, follemente innamorato del pallone. Chiesa (inspiegabilmente tenuto ai margini nei primi incontri) fa quel che può ma predica nel deserto delle rocce spagnole, granitiche di fronte alle giocate nello stretto e alle vane accelerazioni spezzate sul nascere. Su quell’out convince davvero solo il rabbioso Barreca.
I media ci avevano già pronosticato la vittoria
E arriviamo al problema dei problemi. Ci siamo incollati alla tv con l’inscalfibile convinzione che avremmo vinto. Gli analisti erano un unanime coretto apologetico verso questa generazione di Under 21, che non solo avrebbe avuto già in tasca questo Europeo, ma anche il Mondiale del 2022. Qualcosa è andato storto già da ora, le crepe ci sono. Ciò non toglie che da tempo non si vedeva un Under così, pieno di giocatori già tutti affermati, tra competizioni europee e nazionale maggiore. Ma non esiste un’equazione che poi assicuri i risultati. Già, i risultati: alla fine pensiamo solo a quello, dimenticandoci, come oggi evidenzia Filippo Maria Ricci, che la forza spagnola sta nel non essere ossessionati dal resultadismo.
E la vita sta passando su noi, di orizzonti non ne vedo mai
Ne approfitta il tempo e ruba come hai fatto tu,
il resto di una gioventù che ormai non ho più…