La recensione di un album musicale può essere di difficoltà variabile, in base all’autore e al genere. Ci sono gruppi che suonano sempre nello stesso modo e dicono sempre le stesse cose, mentre ce ne sono altri capaci di innovare sé stessi in un continuo movimento, con invidiabile dinamismo, cambiando genere ad ogni traccia e proponendo testi difficili che stimolano l’ascoltatore.
Gli Zetazeroalfa fanno parte di quest’ultima categoria. Chi li conosce sa che, sin dall’inizio della loro militanza canora, hanno saputo stupire e convincere, passando da canzoni come Tango Core ad altre con ritmi Ska, passando per sonorità OI!, hard rock e punk. Li avevamo lasciati sette anni fa con il capolavoro di Disperato Amore, per ritrovarli oggi con un album di rottura, “Morimondo”, che prende il nome da una località milanese dove sorge un’abbazia medievale. In copertina c’è un cavallo, quello con cui nella canzone che dà il titolo all’abum si cavalca verso il destino. Cavallo da corsa o da guerra. Stando al ritmo western probabilmente entrambi.
Dove vogliono farci galoppare gli Zetazeroalfa? Il brano “Cresci Bene Giovinezza”, un vero e proprio inno generazionale, sembra un invito all’orgoglio, ad alzare la testa, come recita il ritornello, a non farsi abbindolare da una modernità che vorrebbe tutti accucciati e pronti ad obbedire. Un’esortazione a difendersi, pensando forse agli eroi alati di “Ghereghereghez“, cantata anche in “A difesa della torre”. “E’ la torre che tu difendi che ti difenderà”, dice il ritornello. La torre come comunità, come rifugio sicuro, casa accogliente dove altrove non ne esistono più. Bando al piagnisteo, sembrano dirci gli Zetazeroalfa, c’è una casa da difendere ed è l’Italia. “Quando dici Italia dici il nome mio”, dichiara la canzone “Il nome mio”, “sorgi contro il fatalismo”. E dunque, “Marcia oppure crepa”, dalle sonorità tipiche del grande rock anni ’70/’80.
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Già solo questi brani basterebbero per rendere l’album un successo, ma il gruppo ha deciso di fare le cose in grande, giocando un po’ fra un genere musicale e l’altro. E dunque, non si può non citare “Luci Blu”, dove si canta l’amore perduto, che riaffiora mentre il volto è illuminato dalle sirene della polizia, in una notte piovosa. Una canzone graditissima, che fa molto Ultima Frontiera e per questo fa sorgere molte nostalgie militanti. I cori sono di Bronson e Blind Justice. Ci sono poi altre collaborazioni, che denotano la volontà degli Zza di crescere e far conoscere altri talenti. Per questo troviamo I Fantasmi del Passato con “Per la Siria!, per Assad“, grande inno alla lotta intrapresa dal leader mediorientale per difendere la sua gente. I Drittacore invece hanno donato all’album il brano “Sotto bandiere nere“, un rap che farebbe invidia a molti pseudo rapper piagnucolanti nostrani, sia per abilità artistica che per contenuti. Va ricordato infatti che non basta parlare su una musica per fare un rap e i Drittacore dimostrano di saperlo molto bene.
Infine, va fatta una breve considerazione sui brani strumentali proposti nell’album. L’atmosfera di “Habanera” che apre il lavoro, si contrappone magnificamente al piano di Lebensessenz in “La Grande Visione“, a cui segue il brano elettronico “Kosmos” (dunque un richiamo all’Ordine contro il Caos). Ma anche Kosmos non finisce come ci si aspetterebbe, perché dopo qualche minuto di silenzio arriva un’atmosfera Jazz, e ci si immagina in un locale semideserto a bere l’ultimo rum con un buon sigaro, pensando all’orizzonte. “Serendepico amore, c’è troppo rumore, lontano da te”. Zen serendepico Zen.