Trimalcione, il liberto del romanzo latino “Satyricon”, a un certo punto della cena fa irrompere la larva mechanica, lo scheletro d’argento semovente, e fa traboccare dalla morte il riso. Un’invenzione artistica quella di Petronio che è un barocco memento mori. “Arte e morte” è binomio scomodo, eppure l’arte è il mezzo più bello per restituire la morte alla vita, di certo il più duraturo. Di questo è convinto l’artista, musicista compositore e performer teatrale, Raffaele Schiavo che ha elaborato e messo in pratica il metodo Voxechology (applicato con successo in alcune esperienze di hospice, è stato presentato alla Guidhall University di Londra). Ecologia della voce e studio dell’eco vocalica sono per l’artista siciliano mezzi per riorganizzare le relazioni sociali su basi musicali. Se la polifonia è varietà di suoni che si fa armonia, perché non restituire all’armonia l’uomo sociale disarticolato e prigioniero della propria individualità? La polifonia come metafora sociale. Dall’osservazione della sequenza vocalica Schiavo deriva la convinzione e poi la pratica che le composizioni musicali siano architetture relazionali: la parola contestualizzata dalla musica. Cornici di senso in formula estetica: così si possono definire le composizioni musicali di Raffaele Schiavo.
Le melodie dalla cassa armonica emergono fino alla coscienza, l’archetipo fisico conduce all’archetipo artistico ossia al rito. Più le parole riacquistano la pienezza del suono, più si elevano alla dimensione spiritualista il cui approdo è il nonsense, il mantra. Controllo della respirazione, ripetizione di suoni nel mantra conducono- per dirla con Mercea Eliade- alla distruzione del linguaggio e nella mistica la distruzione è condizione per altre esperienze. L’esperienza della morte. “ asato ma triste Gamaya, Tamaso ma Jyotir Gamaya, mrtyor mamrtam Gamaya” (Dall’irreale mi porta alla vera essenza, dal buio mi ha portato alla luce, dalla morte guidami all’immortalità) L’immortalità, limite e vaghezza umana, è promessa delle religioni: dal Paradiso alle Reincarnazioni la materia si assorbe nella dimensione dell’anima. Raffaele Schiavo parte dal presupposto edonistico ed estetico per cui la vita contenendo la morte trova bellezza eterna nel “qui”, nel tempo ciclico della nostra esistenza. La vita è una composizione: la prima nota contiene già l’ultima. Ecco perché la morte è il tema del progetto di Raffaele Schiavo. La vita contiene il paradosso della morte. Accettare l’ossimoro esistenziale vuol dire- secondo il musicista- dotarsi dei mezzi per migliorare se stessi e rigenerare la vita sociale. La polifonia filosofica e divertita di Raffaele Schiavo è ridere della morte (nelle sue performance teatrali attinge ai grandi dell’extra–vagare: Ettore Petrolini, Carmelo Bene, Dario Fo), trovare nel lutto la follia, liberare il movimento mentre la morte esige la rigidità, esorcizzare la paura della morte, individuale e sociale. Pentagrammi barocchi si alternano a spartiti medioevali e rinascimentali: geometrie musicali e contaminazioni e rimandi ecolalici di quelle tradizioni musicali restituiscono il senso di un’unità estetica che vuole farsi etica. Umana. Il barocchismo ante litteram di Trimalcione che fa del convivio àgape finale. E così l’immaginario sonoro di Raffaele Schiavo diventa realtà quando presta la sua arte di suoni armonici naturali a esperienze di fine vita. All’anziana Giustina che può danzare la morte magari con gli stessi movimenti bislacchi dello scheletro di Petronio “messa sopra il letto, a danzare sulle ginocchia e cantare”.