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Artefatti. La marcia di Don Livio Fanzaga, ultimo baluardo contro la realtà

by Donato Novellini
26 Febbraio 2017
in Artefatti
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Padre-Livio-FanzagaLa Gerusalemme celeste nell’Apocalisse, così titolava la tesi di dottorato in teologia del giovane Padre Livio Fangaza, prefigurante già quella particolare visionarietà, che lo renderà noto personaggio in seguito. Correva l’anno 1966, gli esiti aperturisti del Concilio Vaticano Secondo incontravano lo zeitgeist sessantottino, in quel subbuglio sincretico del quale, per altro, il futuro direttore di Radio Maria non fu immune; nato a Dalmine nel ’40, epicentro industriale ed operaio lombardo, Livio Fanzaga incontrò la vocazione grazie alla carismatica catechesi “sociale” di Don Milani. Presente? Tutta quell’apostasia sostanziale, camuffata con slogan mondani e ridipinta di sovversivo Cristianesimo originario, ben sintetizzata dall’aforistico: “Passionisti della comunicativa, non portano Dio agli altri per ricavare sé stessi, ma sé stessi agli altri per ricavare Dio”. Ah, le origini! Non le ripigli più, con l’equivoco di impiccianti paramenti, candele, messali in latino, barocchismi… tutta forma “ascensionista” da sacrificare nel nome dei collettivistici tempi nuovi; i quali passeranno poi in un soffio, consegnando quell’esperienza ai quarti d’ora di celebrità. Barba ed eskimo, scioperi e filippiche, poi panfilo ormeggiato a Portofino, da riscoprire e magari ostentare. Dio non s’è fatto più vicino, nel frattempo, mentre la società non ha cessato di sprofondare nel materialismo più sordido. Bei risultati, tempo perso a cianciare di salari e Vietnam, quando a far predica mistica restavano solo vecchi preti di campagna. Parafrasando Mao, grande era la confusione sotto il cielo, e poco ci mancò che il contestatore Livio – pare al fianco di Mario Capanna nei cortei antiamericani – finisse per diventare un modaiolo cattocomunista, dato che prete operaio già lo era di fatto, più che per etichetta. Immaginate? Santino progressista da mettere al fianco di Don Ciotti, l’erede pauperista di Don Gallo o tipo ecumenista da festival della letteratura come Enzo Bianchi, insomma uno stimatissimo – dall’intellighenzia progressista – pastore di arcobaleni. Ma si sa, le strade del Signore non solo sono infinite, ma pure imprevedibili.

Così, complice l’astuta attività di recupero pecorelle smarrite, portata avanti da Comunione e Liberazione in quegli anni, nonché l’attività missionaria in Africa, Padre Livio ebbe l’occasione di riconsiderare le sacre priorità. Il mondo tornò pian piano ad essere quella valle di lacrime, quel transito frugale prima di paradiso, inferno, purgatorio e limbo, dipende dalla condotta, come da tradizione cattolica. “Là dove non c’era più nulla da dire, ma da esser detti”, citando dal beniano Sono apparso alla Madonna, funzionale qui a sottolineare il potenziale “rivelatorio” della manifestazione divina: ri-velare, ovvero vedere una trasfigurazione attraverso la fede, oltre il sipario apposto dall’imponderabile, quindi non più con gli occhi (“gli occhi hanno visto la vista”), miseri sensi umani. Giuseppe Desa da Copertino, frate asino, è in questo senso l’esemplificazione perfetta di beata cecità, financo ignoranza, quale preludio estatico al Regno dei Cieli. Venne poi Medjugorje e la devozione prese forma compiuta, perpetuando così le folkloriche processioni popolari, già riscontrate a Lourdes. Quindi ecco Paolo Brosio, le accumulazioni kitsch di madonnine piene d’acqua miracolosa, i souvenir della speranza, la manichea lotta del bene contro il male. Ma soprattutto, dal 1987, la direzione di Radio Maria, salmodiante frequenza alternativa – e senza pubblicità, giacché è un ininterrotto spot alla Vergine – al conformismo piacione dell’etere. Stat crux dum volvitur orbis, altroché finte simpatie, alle 8.00 del mattino, di loquaci speaker, per altro tutti uguali. Ora, ironizzare sul monotematico palinsesto, coroncina della misericordia, poi giaculatorie e adorazioni, sulla conduzione sovente stucchevole o sulle penitenziali telefonate del pubblico, sarebbe davvero segno di viltà intellettuale. Troppo facile. Più interessante forse, cercare di comprendere un fenomeno mediatico da un milione e mezzo di ascoltatori giornalieri.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=gQmqPqN5VYk[/youtube]

 

Radio Maria, partita negli anni ’80 da una piccola parrocchia del comasco, è cresciuta negli anni, diventando il principale punto di riferimento per i fedeli. Certo più della movimentista e in fondo barzotta Famiglia Cristiana, il cui primato di vendite – per altro basato su una distribuzione nelle parrocchie piuttosto “indotta”, per non dire coercitiva – è ormai un ricordo lontano. Sintonizzarsi sulla stazione mariana, invece, è un gesto volontario e privato: nel segreto della radio la Madonna ti vede, Bergoglio no. A chi non è capitato di imbattersi – per caso o per interferenza divina – su quelle frequenze? Magari dopo una serata in discoteca, soppesando così la propria condotta dissoluta, assai disdicevole? Fermezza decisamente retrò e sensi di colpa, che pagano in termini di consenso. La linea editoriale, talvolta vivacizzata da ospiti prestigiosi, che ironicamente potremmo definire precopernicana – “la terra è piatta e l’800 non esiste” (BJLFP) – copre un vuoto di mercato, puntando tutto sull’immobilismo spirituale dell’offerta; ripetitiva come la messa tridentina, fatalista come la pioggia dopo aver lavato la macchina. A maggior ragione se rapportata all’impazzito affanno dello stare al passo coi tempi, all’isterico blaterare nel vuoto degli ottimisti intrattenitori, la martellante opera di proselitismo di Radio Maria risulta d’inscalfibile alterità. “La mia mente se ne va, lo sento”, come il programmatore HAL 9000, di 2001: Odissea nello spazio, così è per l’incauto ascoltatore, finito in una sorta di catarsi annichilente. “Preghiamo”. Poi certo, diffidenza da parte delle gerarchie ecclesiastiche, stracciamento di vesti dell’establishment giornalistico, nei confronti di posizioni giudicate apocalittiche ed inaccettabili, come nel caso del terremoto quale punizione divina, della reazione anti-evoluzionista o delle posizioni assunte nei confronti dei diritti civili. La realtà è tutto un complotto contro la fede.

In un mondo di scettici e dubbiosi, qui si ostenta con candore l’assolutismo della Verità: Satana, celato dietro gli slogan progressisti della contemporaneità (e forse pure in dischi che nascondono messaggi blasfemi, se fatti girare al contrario), sarà serpe schiacciata dal candido piede della Vergine; in attesa di ciò, penitenza e lotta senza quartiere ai falsi profeti del relativismo. Anatemi e moniti, articolati con abilità oratoria da Padre Livio, diretti al mondo moderno, in grado di far breccia in menti semplici, tipo donne pie, solitari disadattati, soggetti problematici, persone anziane o ammalate. Praticamente una buona fetta di popolazione, scarsamente tracciabile sui nuovi media, nonostante una pagina Facebook con un milione e mezzo di seguaci. Resta la convinzione, all’ascolto, d’essere entrati in un fortilizio d’atarassia, in un presepio dialettico, difeso con caparbietà dallo stoico Fangaza. “Il mio stoicismo è una necessità organica. Ho bisogno di corazzarmi contro la vita”, scriveva Fernando Pessoa; ecco, Radio Maria sembra proprio un’armatura di parole, in guerra contro un mondo che parla tutt’altro linguaggio, con quell’ebbra esaltazione catastrofista, tipica dei pessimisti e dei visionari. Radio Maria c’è sempre, noi peccatori quasi mai, ma è bello saperla presente, a maggior ragione dopo un paio di Negroni cocktails.

@barbadilloit

Donato Novellini

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Tags: bergogliocarmelo benedon fanzagadon liviolivio fanzagamedjugoriepaolo brosioradio maria

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