
Pubblichiamo il dialogo-intervista tra lo scrittore Andrea Di Consoli e Francesca Immacolata Chaouqui, già membro della commissione di studio e indirizzo sull’organizzazione delle strutture economico-amministrative del Vaticano, condannata a 10 mesi con pena sospesa per la fuga di notizie e documenti riservati dalla Santa Sede
Da qualche giorno è nelle librerie “Nel nome di Pietro” (Sperling&Kupfer), l’esplosivo libro di Francesca Immacolata Chaouqui sulla sua esperienza alla Cosea, la Pontificia commissione referente di studio e indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa.
Dottoressa Chaouqui, anzitutto come va il suo lavoro? E’ stato difficile tornare alla normalità professionale dopo la tempesta di Vatileaks 2?
“Da un punto di vista professionale non è stato difficile, anche perché devo ammettere che la notorietà è stata un aiuto. Oggi ho un’agenzia di relazioni pubbliche che si chiama ViewPointStrategy, e ho molti clienti sia del passato, che hanno sempre creduto in me, sia nuovi. Nessuno ha smesso di darmi lavoro per quello che è successo, anche perché chi mi conosce sa come sono fatta e come sono andate veramente le cose”.

Leggendo il suo libro non si capisce bene perché un giovane talento delle relazioni esterne sentisse così forte il bisogno di entrare in una commissione vaticana d’indirizzo economico-finanziario. Sentiva di avere competenze adeguate per un simile ruolo?
“Sì, e francamente non ho nulla da rimproverarmi. Sono entrata in Cosea per le mie competenze sul sistema mediatico. Infatti pensavo che il mio compito si fermasse a questo, perché la riforma del sistema della comunicazione del Vaticano passava anche attraverso la nostra commissione. Ci tengo a dire che l’attuale assetto del VMC (Vatican Media Committee) l’ho pensato in parte io. Poi, com’è risaputo, durante la mia esperienza in Cosea sono emersi aspetti che non potevo far finta di non vedere”.
Alla luce di quel che è accaduto, secondo lei Papa Francesco ha sbagliato a nominarla in una Commissione che doveva porre ordine al proverbiale disordine finanziario della Santa Sede? E lei è stata ingenua a vivere questo incarico come una missione di vita o di morte?
“Sicuramente sono stata ingenua io a pensare che solo per il fatto di avere in tasca una nomina pontificia sarei stata in grado di contribuire al riordino delle finanze vaticane. Per quanto riguarda Papa Francesco, non parlerei di ingenuità, ma di desiderio troppo forte di curare e razionalizzare le finanze della Chiesa. Un desiderio talmente forte da indurlo a cercare persone esterne, lontane dalle beghe e dalla incrostazioni interne. Consideri poi che tutto è avvenuto troppo in fretta: il Papa viene eletto a marzo 2013, noi a luglio”.
Non sarebbe stato più produttivo assumere all’interno della Cosea un ruolo più sobrio e gradualista, anziché farsi trascinare dal furore irrazionale di Monsignor Balda? Ma soprattutto, da dove nasceva questo profondo “giustizialismo” del prelato spagnolo?
“In monsignor Balda è profondamente ancorato il concetto di etica. Balda era uno che se lo avessero messo in una camera piena d’oro, non avrebbe preso niente. Ci ha creduto davvero, sentiva la necessità di fare qualcosa, di fare ordine nelle finanze vaticane, e questa necessità era diventata una ragione di vita, un’ossessione, anche una distrazione rispetto a tanti tormenti personali. Balda voleva davvero riformarla, la Chiesa, e questo non lo negherò mai”.
Dal suo libro si evince una certa delusione, sia pure discreta, nei confronti di Papa Francesco, che ha avallato la vostra estromissione dalla Commissione, nonostante foste alle prese con un duro lavoro di “due diligence” della malagestione finanziaria della Chiesa. Secondo lei il Papa non sapeva o ha preferito non sapere la verità sulle irregolarità nella gestione economico-finanziaria del Vaticano?
“Il Papa ha sempre saputo la verità. Se c’è una cosa che Papa Francesco ha sempre saputo è la verità”.
Non pensa di essere stata troppo dura con Balda nel suo libro? In fondo gli addebita tutte le responsabilità della fuga dei documenti della Commissione.
“Nel libro ho solo fatto un’analisi oggettiva dei fatti. Purtroppo monsignor Balda ha responsabilità oggettive, e io non posso che prenderne atto. Se lo avessi trattato diversamente non avrei aderito alla verità”.
E allora proviamo a dire qualche verità. A un certo punto lei fa un riferimento alla lobby dei gay in Vaticano. Dunque esiste, questa lobby?
“Non lo dico solo io, lo ha detto anche Papa Benedetto XVI. Purtroppo ci sono delle correnti e dei gruppi che hanno come obiettivo quello di proteggersi tra di loro, perché magari condividono qualcosa, hanno dei segreti che li accomunano”.
C’è un passaggio nel libro che è molto forte. Lei sostiene che alla Cosea arrivavano continuamente dossier anonimi, anche fotografici, su abitudini e comportamenti di uomini di Chiesa. Perché non ne parla più dettagliatamente?
“Se io raccontassi queste cose non farei il bene della Chiesa. Ho fatto riferimento a questi dossier per far capire come dall’esterno si tentasse di utilizzare e strumentalizzare Cosea per cose interne. Io e Balda queste cose le vedevamo per primi perché eravamo gli unici due componenti della commissione che vivevano a Roma. In alcuni casi abbiamo avvisato il Pontefice, in altri abbiamo deciso di non dire niente”.
Ma dove si trovano ora questi materiali? Sono stati distrutti?
“No, no. Questi materiali li ho io”.
Ho capito. Nel libro fa anche un riferimento al caso Orlandi. Cito testualmente: “C’è il file di Emanuela Orlandi e capisco il finale di una storia che deve rimanere sepolta”. Cosa significa questa frase ermetica e sibillina?
“Nel libro ci sono delle cose che aiutano a ricostruire la mia verità, e ce ne sono altre che ho inserito solo per far capire il contesto nel quale ho lavorato. Se rivelassi alcune cose non aiuterei nessuno, non farei il bene della Chiesa. Ma non è il mio ruolo. Non sono io a dover dire certe cose”.
Sì, però lei dimostra di sapere la verità sul caso Orlandi. Perché non la dice?
“Non volendo, ho letto delle cose. Ho letto molte cose, sì. E se fossi io a decidere se rivelarle o no, parlerei. Ma è una mia precisa impostazione: parlo solo di ciò che è di mia competenza. Anche perché non ero tenuta a vedere quei documenti sul caso Orlandi”.
Nel suo libro si parla di interessi finanziari enormi. Secondo lei la buriana mediatica sulla vicenda Balda-Chaouqui ha aiutato a nascondere e coprire questi interessi?
“Hanno trovato un’Eva da distruggere, e questa cosa doveva servire da parafulmine affinché non si parlasse del contenuto dei documenti”.
Nel libro lei è molto chiara nel ricostruire il suo ruolo nella Commissione e il periodo trascorso a Santa Marta, nonché la sua grande confidenza col Papa. C’è però un tema sul quale non dice nemmeno una parola, e sul quale è da sempre reticente: la sua vicinanza o meno a qualche servizio segreto. Ha mai fatto parte di un servizio segreto?
“Io faccio parte della Federazione dei relatori pubblici, e noi tutti aderiamo a un codice etico che ci vieta di far parte di servizi segreti. Comunque no, non appartengo a nessun servizio segreto”.
Ma come mai in passato, quando glielo chiedevano, lei preferiva non rispondere?
“Mi scusi, ma se lei facesse parte di un servizio segreto, lo direbbe?”.
No.
“E allora?”.
Parliamo di suo figlio.
“Aspetti. Mi faccia aggiungere solo una cosa. Quando ci insediammo in Cosea, io e Balda facemmo il grande errore di non fidarci della Gendarmeria Vaticana. Pensavamo fosse un ente dal quale guardarci. Invece fu un errore. Se ci fossimo fidati di loro le cose sarebbero andate diversamente. Abbiamo fatto il grande errore di non fidarci del comandante Domenico Giani, che non a caso è oggi uno dei più preziosi collaboratori del Papa”.
Come sta suo figlio? E come gli racconterà un giorno il suo sogno di aiutare il Papa venuto “dall’altro mondo” a fare pulizia nelle casse vaticane?
“Mio figlio è un guerriero, ha nel suo dna il destino di combattere. E’ cristiano, e avrà come legge il Vangelo. La prima cosa che gli insegnerò e di combattere per il bene, qualsiasi cosa comporti”.
Ha più sentito Papa Francesco dopo la tempesta?
“Mi dispiace, ma a questa domanda non rispondo”.