Il tatuaggio Dux non lo cancellerà (come potrebbe?) ma di sicuro fa troppe concessioni al politicamente corretto, si pente del saluto romano sotto la curva della Lazio, ammette “errori”, difende la posizione di Sky e chiede un’altra possibilità di riscatto lavorativo. Paolo DI Canio, campione di Lazio e West Ham, massimo esperto di calcio inglese in Italia, dopo il congelamento da parte della tv di Murdoch della sua trasmissione sulla Premier, ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera per spiegare le sue ragioni. La sua adesione ad una visione di destra sociale non è in discussione, risulta però evidente come gli spazi mainstream per personalità non allineate, eretiche, siano sempre a rischio e soggetti a surreali dinamiche orwelliane. Con un paese corroso da disoccupazione e degrado civile, senza legge elettorale, con governi distanti dal popolo, continua a fare notizia un tatuaggio. Povera Italia.
La trasmissione saltata
“Era ancora estate, indossavo una polo. C’è da girare un video promozionale. Se fossi stato in giacca e cravatta non sarebbe successo. Così va la vita. Non me l’aspettavo. Sono un’altra persona. Non ho fatto nulla, almeno questa volta. A causa di qualcosa ormai lontano nel tempo ho perso un lavoro che facevo con entusiasmo. Il giorno in cui vengo sospeso sono in redazione a Sky. Alle 20 c’era la presentazione del palinsesto, i colleghi la chiamano la sera del tappeto rosso. Io e Leonardo, l’ex calciatore brasiliano, eravamo tra gli ospiti. Vedevo facce strane intorno a me. Vado in albergo per prepararmi. Entro nella hall, suona il telefono. Ci sono rimasto non male, peggio. Ho urlato. Non so neppure cosa sono i social network. Orgoglio ferito. Mi sono sentito un appestato. Avrei voluto reagire d’istinto”.
Comprensione per la decisione di Sky
Di Canio, cedendo al politicamente corretto, dopo esser stato discriminato per un “tatuaggio” arriva a difendere la posizione di Sky: “Il giovane Di Canio le avrebbe risposto in altro modo. Ma ormai ho quasi cinquant’anni. Ho imparato a mettermi dalla parte degli altri, a ragionare con loro. C’è tanta gente che ha ogni diritto a sentirsi ferita dall’esibizione, per quanto non voluta, di quei tatuaggi. E un’azienda importante come Sky ha diritto a non vedersi associata a una simbologia che non condivide. Ma non era stata una mia scelta. E ancora oggi ne pago le conseguenze”.
Non rinnega le sue idee di destra sociale, ma si pente del saluto romano
“Non rinnego le mie idee. E la gente cambia. Io sono cambiato, non da ieri. Il derby con la Roma. Il saluto romano sotto la curva Nord. È la cosa di cui mi più mi pento nella mia carriera. Quello è un ambito sportivo, è stupido fare un gesto politico che magari può essere condiviso da alcuni spettatori e amareggiarne molti altri. Non avrei mai dovuto farlo. Lo sport deve restare fuori da certe cose”.
Di Canio si è definito fascista
“Preferirei evitare le etichette. Ho sempre spiegato come la penso, non è un mistero. Ma se mi chiede delle leggi razziali, dell’antisemitismo, dell’appoggio al nazismo, quelle sono cose che mi fanno ribrezzo. Può essere. Ma sempre con queste distinzioni. E oggi mi rendo conto che per le persone che hanno subito certe cose sulla loro pelle, non può bastare. Ho creduto in una destra sociale, ho seguito le varie svolte da Fiuggi in poi. Non ho mai preso una tessera. Sono 17 anni che non voto. Mussolini? C’è un prima e un dopo. Alcune cose le aveva fatte bene. Quando segue Hitler sulle leggi razziali finisce tutto”.
L’infanzia da ribelle di destra nel quartiere rosso
“Sono nato e cresciuto al Quarticciolo, un quartiere da sempre rosso e romanista. Nel mio gruppo c’erano cinquanta tifosi della Roma e 4-5 laziali. Mi è sempre piaciuto essere minoranza. Anni Ottanta, ci si divideva anche per il modo di vestire. Le Clark e la kefiah erano di sinistra, il giubbotto di pelle Scott e gli stivali di destra. Ammiravo Giorgio Almirante e la sua capacità oratoria. Nel 1987, quando giocavo nelle giovanili della Lazio, cominciai a frequentare in curva il gruppo degli Irriducibili, che aveva preso una certa impronta politica”.
I tatuaggi restano
“Sarebbe una ipocrisia. Una amica di sinistra mi ha detto che per me sono ormai legati a un’idea romantica e idealista della giovinezza. Forse non è neppure così. Quel che mi porto addosso è il simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori”.