Il 21 dicembre 2016, i Musei Vaticani presenteranno il completo restauro del Braccio Nuovo, che sarà poi riaperto al pubblico il 22 dicembre. Realizzato tra il 1816 e il 1822, questo supremo esempio di architettura neoclassica nasce per volontà di Papa Pio VII Chiaramonti, con lo scopo di ospitare la magnifica raccolta di sculture classiche – in maggioranza di grandi dimensioni – formatasi grazie alla lungimirante politica di acquisizioni sostenuta dai pontefici.
L’incarico venne affidato a due protagonisti della scena artistica capitolina: il romano di origine tedesca Raffaele Stern, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici, nonché del restauro dell’anello esterno del Colosseo, e Antonio Canova, artefice del recupero delle opere trafugate in Italia da Napoleone. Un’altra “aggiunta” fu quella del Braccio Nuovo nel Museo dei Musei, i nostri Vaticani, che surclassano senza sé e senza ma quel Louvre quintessenziale “museo di rapina”, dove la boria del Bonaparte aveva fatto “ricollocare” le opere a noi rubate e poi in buona parte rientrate (si parla di una cifra intorno all’80% per quanto concerne le restituzioni, ma dati certi non se ne hanno), in seguito alle decisioni del Congresso di Vienna.
Le colpe di Napoleone
Il Braccio Nuovo fu la risposta di Pio VII al gran furto operato per mano francese che, nella puntuale italica mancanza di autostima, viene celebrato proprio in questi giorni a Roma in una mostra dove si parla del “sogno” di Napoleone e non, come sarebbe giusto, di inqualificabile danno al nostro Paese. Tanto fu drammatico lo scempio operato in terra italiana – ricordiamo il saccheggio della Certosa di Padula, le cannonate alla Venaria Reale e il rogo del Bucintoro a Venezia, ma lista lista di questi crimini culturali è purtroppo assai lunga – che la Chiesa non si limitò a rispondere alle razzie napoleoniche con questa nuova sezione dei Vaticani, ma anche ponendo in essere la più avanzata, per l’epoca, forma di tutela in ambito di Beni Culturali: l’Editto del Cardinal Pacca dell’aprile 1820.
Un eccellente restauro
I lunghi e complessi lavori hanno preso il via nel 2009 e il restauro delle sculture è stato diretto dal Reparto Antichità Greche e Romane, coordinato dal simpatico e valente direttore del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei di Guy Devreux. Eccellente è a dir poco il risultato ottenuto dalla équipe di tecnici e studiosi dei Vaticani, così abili nel riuscire persino a mantenere le patine delle integrazioni ottocentesche presenti in varie statue. Una operazione di restauro altamente complessa, ma affrontata con serissima ricerca: il confronto con le carte d’archivio e le fonti bibliografiche, che ha richiesto un lungo studio propedeutico.
Varcando l’ingresso del Braccio Nuovo si rimane folgorati. Settanta metri, illuminati da dodici lucernari; un tripudio di marmi e stucchi che suscita, per dirla con Antonio Paolucci, il quale sta per lasciare la guida dei Musei Pontifici dopo nove anni tra molte luci e qualche piccola ombra: “Armonioso stupore”. I Vaticani sono l’epitome di Roma, se nella Città Eterna bastano pochi metri per passare da una magnificenza a un’altra, spesso di epoche diverse; nel Museo dei Musei è sufficiente qualche passo. Ecco allora che per accedere al Braccio Nuovo, bisogna passare dal Museo Chiaramonti, anch’esso ideato dal Canova. Pochi attimi che consentono di spostarsi da una museografia decisamente “antica”, in tutto e per tutto similare a quella del Palazzo Nuovo dei Capitolini, a una abbacinante irruzione di modernità, tuttora potentemente attuale. Quel Braccio Nuovo attestatosi quale canone architettonico neoclassico del periodo della Restaurazione, imprescindibile sin dalla sua istituzione; lo ha dimostrato Louis Kahn (1901 – 1974), autore a inizio anni ’70 della sede del Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas), con quella luce zenitale a illuminare una sezione espositiva sviluppata in lunghezza che ha fatto scuola nella museografia contemporanea. Peccato che ci avevano già pensato a Roma secoli prima, seguendo alcune soluzioni iniziali elaborate Oltralpe. Non ci dispiace utilizzare toni così roboanti, ciò non ci fa sentire meno scientifici, giacché neppure il superlativo è un grado linguistico che riesce a riassumere l’Arca della Bellezza che si trova nei Vaticani, ove si passa dalle civiltà precolombiane, all’arte contemporanea, passando per l’Oriente.
Ora è finalmente possibile riammirare i tanti capolavori ritornati a risplendere del loro passato, tra tutti l’Augusto di Prima Porta (I sec. d. C.). Al centro della Galleria, di fronte al celebre gruppo del Nilo, ha trovato una nuova collocazione il busto di Papa Pio VII firmato da Canova. Anzi, il Grande Canova, grazie al quale abbiamo riottenuto dalla Francia buona parte del maltolto. Impresa immensa la sua, giustamente celebrata proprio nel Chiaramonti in una lunetta di Francesco Hayez, anche egli veneto come Canova.
Rientrino dalla Francia i gioielli artistici trafugati dall’Italia
Poco ci influenza il timore reverenziale di tanti, che all’Italia non pensano mai, che non l’amano; differentemente da Canova. L’apertura del Braccio Nuovo e la mostra sui furti napoleonici devono spronarci a completare il compito del Genio di Possagno, e che dalla Francia ritorni ciò che è nostro! Magari in un grande museo in comproprietà tra i due Stati, ma che a Roma deve stare. Sarebbe un modo, ci riflettiamo da anni, per sanare definitivamente questa ferita. Sia chiaro, parliamo anche del Fondo Borghese. Acquistato da Napoleone? Dove sono gli atti di vendita, le prove d’archivio, le ricevute del pagamento effettuato? Non ci sono. Camillo Borghese aveva così tanta voglia di liberarsi di parte della sua raccolta, che, non appena essa venne trasferita al Louvre, cominciò in modo assiduo a ricomprare marmi antichi? Per carità, un po’ di onestà intellettuale.
Il Braccio Nuovo è il memento a non dimenticare che dal 1815 vi è un qualcosa di incompiuto. Il Congresso di Vienna è l’appiglio giuridico, la coscienza dell’Uomo di Cultura la sua possibilità di attuazione. Non per niente, lo scrittore André Malraux, quando fu ministro, si era posto il problema sulle opere italiane rimaste in Francia, ma fu ovviamente messo a tacere. Noi, nella follia di una modernità contorta, abbiamo chiamato “liberatore” chi ci ha preso a cannonate e ci ha rubato, mentre in Inghilterra veniva apostrofato come: “il Grande Ladro d’Europa”.
Camminando tra le statue del Braccio Nuovo, si cerchi di tenere a mente che quello che i nostri occhi commossi dal Bello possono guardare è merito di un uomo, un Grande Italiano, quel Canova che nella sua impresa ci ricorda un motto inglese che mai riusciamo a far nostro: “Who dares wins”.