Non fu una cerimonia molto riuscita, la vernice della mostra sulla storia del Movimento sociale inaugurata in via della Scrofa il 20 ottobre scorso. La sala bella e nuova ma troppo piccola, le madrine che avrebbero dovuto tagliare il nastro giunte in ordine sparso, il catalogo, ricco e ben fatto, come l’ottimo video, ma arrivato in ritardo dalla tipografia. E arrivato invece puntuale, giusto in tempo per monopolizzare l’attenzione dei cameramen, un folcloristico manipolo di contestatori, pretesi custodi della purezza della destra, che pretendeva d’impadronirsi del microfono. A non farmi rimpiangere il disagio della trasferta romana l’incontro con Gaetano Rasi, ultima occasione per parlare con uno straordinario testimone della nostra storia.
Arrivato poco prima dell’inizio della cerimonia, Rasi volle sedersi accanto a me, facendo un non facile slalom, vista l’età e la corporatura, fra le righe troppo strette di poltroncine predisposte per l’occasione. Ci si teneva in contatto, ma non lo vedevo da 10 anni, dal convegno “Per una nuova Costituzione” che aveva organizzato con l’Istituto Biggini a Lerici, nella splendida cornice di villa Marigola, e in cui mi aveva voluto come relatore, nonostante non sia un costituzionalista. Mi salutò come se non ci si fosse mai persi di vista e, con una provvidenziale deroga alle norme del galateo, mi attaccò un bottone che si protrasse anche a cerimonia finita.
Non parlammo della congiuntura politica italiana, troppo deprimente per entrambi, ma, con la memoria presbite dell’ottuagenario, cominciò a parlarmi della sua adolescenza trascorsa a Padova, dove aveva sede durante la Repubblica Sociale il ministero dell’Educazione Nazionale; vi lavoravano infatti suo padre e anche il padre di Aldo Moro, un maestro elementare che Carlo Alberto Biggini, successore di Bottai alla Minerva e poi ministro nella Rsi, aveva nominato ispettore, anche se era sprovvisto di laurea (e il figlio, mi confidò, non volle che, quando diventò a sua volta ministro della Pubblica Istruzione, lo venisse a trovare a viale Trastevere). Erano stati momenti drammatici, soprattutto per il terribile bombardamento della stazione, in cui trovarono la morte tre parenti del giovane Rasi e in cui rischiò di morire anche lui, diciassettenne, facendo scudo della sua persona alla sorella minore. Il bombardamento, mi spiegò, era stato provocato dalla segnalazione di una trasmittente partigiana, che comunicò agli Alleati la presenza di un convoglio ferroviario tedesco carico di munizioni. La radio trasmetteva probabilmente dai locali dell’università: i partigiani, come in tante altre occasioni, non si erano posti il problema delle vittime civili che avrebbero provocato con quel genere di comunicazioni.
Per Carlo Alberto Biggini il professor Rasi nutriva una profonda ammirazione: non a caso negli ultimi anni della sua vita avrebbe presieduto l’istituto intitolatogli. E proprio riguardo all’ex ministro e al modo con cui, anche in frangenti estremamente critici, cercava di tutelare l’italianità dei territori della Rsi, mi raccontò un aneddoto, anzi qualcosa più di un aneddoto, riferitogli dal suo segretario.
Era l’estate del 1944 e Friedrich Rainer, il Commissario supremo del Reich nella “Zona di operazioni Litorale adriatico”, direttamente occupata dai tedeschi, aveva imposto di far cominciare l’anno scolastico il 15 settembre, come in Germania, nelle sei province poste sotto il controllo militare germanico: Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana. Appena lo seppe Biggini si precipitò da lui e gli intimò di recedere da quel progetto, in cui scorgeva un tentativo di affermare la sovranità di Berlino su un territorio che considerava sempre italiano.
“Voi tedeschi siete solo degli alleati, questo è territorio della Repubblica Sociale Italiana – gli urlò in faccia. – L’anno scolastico in queste province deve cominciare il 1^ ottobre: se vi opponete, oggi stesso parlerò a Mussolini, che telefonerà a Hitler!” E, visto che Rainer, che per altro era nativo della Carinzia, si ostinava a parlargli in tedesco, rincarò la dose: “E parli italiano, lo conosce meglio di me! Qui siamo in Italia e in Italia si parla l’italiano.” Né Rasi né io facemmo commenti su quell’episodio, ma entrambi pensammo che ogni confronto con i nostri politici, che senza truppe d’occupazione sul loro territorio fanno di tutto perché nei nostri politecnici e persino nelle nostre scuole superiori si tengano lezioni in lingua straniera, sarebbe stato quanto meno impietoso. Subito dopo Rasi mi regalò, con un’affettuosa e immeritata dedica, il primo e purtroppo temo ultimo volume della sua Storia del progetto politico alternativo dal Msi ad An, edito da Solfanelli, che costituisce in certo qual modo il suo testamento spirituale. E così ci congedammo, con un arrivederci smentito dal destino.
Molte altre cose potrei dire sul Rasi studioso, politico, economista, persino ministro mancato: nominato in quota AN titolare del dicastero del Commercio estero e delle politiche comunitarie nel governo tecnico Dini, si dimise il giorno stesso, appena il suo partito tolse il consenso al ministero. Ma lascio il compito ad altri, che meglio di me l’hanno conosciuto condividendone il percorso. Preferisco ricordare Gaetano Rasi, ministro per un giorno, galantuomo per tutta la vita, come ci lasciammo un mese fa: col sorriso sulle labbra perché un ministro italiano aveva saputo tener testa all’arroganza di un alto commissario tedesco.
GAETANO RASI (1927). Economista. docente universitario, parlamentare, giornalista, scrittore