Le date hanno una certa importanza nella vita eroica di Azucena Villaflor, la fondatrice delle madri di Plaza de Mayo, l’associazione delle donne argentine (non solo madri, in realtà, ma anche sorelle, mogli, figlie e nonne) che tanto ha contribuito a far venire a galla l’orribile verità sui desaparecidos del Paese sudamericano. Proprio trentasei anni fa, il 30 aprile del 1977, sfilarono per la prima volta nel luogo-simbolo di Buenos Aires e dell’Argentina.
Ma andiamo con ordine: la prima data che incontriamo è quella del 30 novembre 1976. Sono passati otto mesi dal colpo di stato militare, che in Argentina ha posto fine a un periodo di gravi turbolenze politiche e sociali, e la nazione è guidata con mano ferma dal generale Videla. Azucena Villaflor sale le scale del Ministero dell’Interno, con il cuore in gola: da pochi giorni il figlio Nestor è misteriosamente scomparso di casa con la fidanzata Raquel e dalle mezze parole dei vicini tutto fa pensare che sia stato prelevato dalla polizia o dall’esercito.
Azucena ha 52 anni, è una donna tranquilla, una madre di famiglia, ma di certo non una sprovveduta: lavora dall’età di 16 anni in un’azienda di elettrodomestici, proviene da una famiglia peronista impegnata in politica (lo zio è stato militante giustizialista della prima ora), e il marito, Pedro De Vicenti, è stato delegato sindacale. Anche il figlio è militante della Juventud Peronista. Quel 30 novembre, al Ministero, viene trattata con sufficienza e non riesce a ottenere risposte. In compenso incontra altre madri che cercano i figli scomparsi e pian piano capisce che il problema non riguarda solo Nestor e Raquel. Le donne si scambiano il numero di telefono, cominciano a incontrarsi in parrocchia. E naturalmente continuano a cercare senza posa i congiunti scomparsi nel nulla.
La seconda data importante di questa storia è appunto il 30 aprile del 1977. A sei mesi esatti dalla sparizione del figlio, Azucena Villaflor e altre tredici madri si radunano per chiedere notizie dei desaparecidos in Plaza de Mayo, davanti alla Casa Rosada, la sede del Governo. Le leggi speciali impediscono di fermarsi lì davanti, allora le quattordici donne cominciano a circolare intorno all’obelisco posto nel centro della piazza. Una marcia silenziosa. Sul capo molte di loro portano un fazzoletto, che simboleggia il pannolino in cui, molti anni prima, avvolgevano i loro figli. La decisione di uscire allo scoperto, nel luogo simbolo del potere argentino, è stata proprio di Azucena, che in una delle tante riunioni semi clandestine in parrocchia aveva esortato le compagne a compiere un gesto clamoroso: «Dobbiamo andare in Plaza de Mayo, perché è lì che nel corso degli anni si sono svolte le più grandi manifestazioni e sono avvenuti i fatti politici e sociali più importanti».
La prima uscita pubblica di quelle che saranno poi chiamate le “Madri di Plaza de Mayo” tutto sommato passa inosservata: è sabato, in giro c’è poca gente e nel palazzo del governo pure. Ma la settimana dopo il piccolo gruppo di donne torna davanti alla Casa Rosada di venerdì pomeriggio e in seguito lo farà ogni settimana, al giovedì, alle tre e mezza in punto. Già in occasione della seconda marcia altre donne si aggiungono al gruppetto e in breve la ronda delle madri con il fazzoletto in testa diventa uno dei simboli più visibili della protesta contro la giunta militare e i suoi metodi intollerabili.
Già, perché durante il cosiddetto “Processo di riorganizzazione nazionale” buona parte dei militari argentini si macchierà di orribili delitti dapprima contro presunti terroristi (gli estremisti marxisti dell’Erp e i montoneros peronisti), poi contro gli oppositori politici e sindacali e infine coinvolgendo in questa spirale di odio e violenza persino i cittadini comuni, gente che magari all’inizio aveva guardato con una certa simpatia all’iniziale ritorno dell’ordine portato dal golpe. Ancor oggi, a distanza di tanti anni, il bilancio di quel periodo di follia è incerto: una commissione parlamentare ha documentato la sparizione di almeno 11 mila persone, ma secondo le organizzazioni umanitarie e le Madri di Plaza de Mayo i desaparecidos argentini sarebbero circa 30 mila.
«Fu Azucena a lanciare il nostro proclama – ricorda Nora Cortinas, una delle madri – che diceva “Tutte per tutte e sono tutti nostri figli”. Voleva dire che la nostra lotta non era individuale, ma collettiva. Noi non eravamo solo madri dei nostri figli, ma di tutti i desaparecidos».
La terza data fondamentale è il 10 dicembre del 1977. Quel giorno l’organizzazione delle madri di Plaza de Mayo pubblica su un giornale il lungo elenco dei nomi dei figli scomparsi. La notte stessa Azucena Villaflor scompare dalla sua casa di Avellaneda, sobborgo a sud di Buenos Aires. Diventa lei stessa una desaparecida e con lei spariscono altre due madri, Esther Ballestrino e Maria Ponce, e la suora francese Leonie Duquet, che stava aiutando l’associazione. Molto tempo dopo si saprà che Azucena è stata sequestrata dagli “squadroni della morte” su indicazione di Alfredo Astiz, un giovane ufficiale della Marina argentina che si era infiltrato alle riunioni delle “Madri” fingendosi parente di un desaparecido.
La Villaflor viene portata alla famigerata Escuela de Mecànica della Marina (ESMA), dove è stato allestito un centro di detenzione clandestino, e in seguito eliminata attraverso il sistema dei “voli della morte”: i prigionieri venivano fatti salire di nascosto su aerei militari e poi gettati vivi nell’Oceano Atlantico. Spesso il mare riportava a riva i resti delle anonime vittime, che poi venivano seppellite in fosse comuni.
La fondatrice delle madri di Plaza de Mayo non c’è più, ma le altre non mollano e la protesta contro il regime continua, anche se ci vorranno ancora anni per abbattere la dittatura militare. Che in realtà imploderà sotto il peso della crisi economica, della brutalità repressiva e della guerra persa con la Gran Bretagna nel tentativo di riprendersi le isole Falkland/Malvinas.
L’8 luglio del 2005, grazie all’esame del Dna, i resti di Azucena Villaflor vengono identificati tra le tante spoglie anonime seppellite nel cimitero di General Lavalle. E l’8 dicembre del 2005 – siamo all’ultima data significativa nella storia di Azucena Villaflor – le sue ceneri, insieme a quelle delle amiche Esther Ballestrino e Maria Ponce, vengono sepolte in Plaza de Mayo. Questa la dichiarazione dei figli delle tre donne, quelli sopravvissuti, perché i fratelli desaparecidos non hanno mai fatto ritorno a casa: «Le nostre madri hanno lottato instancabilmente e dato la vita per i loro figli, non hanno potuto vincere la morte ma erano tanto ostinate da poter vincere l’oblio. E sono tornate. Sono tornate con il mare, come a voler dimostrare ancora una volta la tenacia che le aveva caratterizzate in vita. La presenza dei loro resti è testimonianza del fatto che non si può far sparire l’evidenza. Sono tornate con l’amore incondizionato che solo le madri hanno per i loro figli, per continuare a lottare per loro. E per noi».