È quella rondine che non fa primavera. È il bello, molto bello, non bellissimo e il dannato con il volto infantilmente pulito. È colui che per pochi impercettibili istanti – quelli impiegati per aggiustare lo stile e il tiro – arriva secondo e non infila la vittoria. È intorno al podio con l’amara consapevolezza di un trionfo in tasca. È il boccone indigesto dell’Academy Awards. È l’emblema contemporaneo di un’affermazione di “Beniana” memoria: “Siamo quel che ci manca”, è tutti gli Oscar non vinti in una mancanza che decreta un’eccellenza.
È il prodigio ufficioso e una profezia attoriale nella pellicola del regista Lasse Hallström: What’s Eating Gilbert Grape – Buon compleanno Mr. Grape. È il giovanissimo Leonardo DiCaprio nel ruolo di un disabile: Arnie Grape. Il film figura una storia delicata, una drammaticità edulcorata dalle continue incursioni dell’attore sul pluviometro della città, una ventata di garbata ironia a tutta la storia. DiCaprio è alle prese con la prima mancanza: nomination all’Oscar come attore non protagonista. È in Titanic che le statuette giocano un’impertinente rincorsa con l’attore, la pellicola di James Cameron ne vince ben undici al pari di Ben Hur. Oscar per tutto e tutti con un’eccezione all’eccezionale. Il film è per l’attore una sorta di croce e delizia, in virtù di un ripetuto, quanto erroneo luogo comune: maggiori sono gli incassi, peggiori le prestazioni. È quel piccolo storcimento di naso a opera di molti, davanti al successo di botteghino. Spesso si afferma il luogo comune, a volte arriva l’eccezione alla regola. Con “The Beach” del “trainspottiano” Danny Boyle, gli Academy non fanno nemmeno capolino. La critica e il pubblico bocciano il film. La spiaggia di Boyle è un luogo mentale, un viaggio iniziatico e di ricerca. L’isola è l’uomo nel e contro la natura. La fuga in un altrove, ne disegna una più ovvia: quella da se stessi.
L’incontro con Martin Scorsese: la follia di Howard Hughes
L’incontro decisivo di “Noodle” (testa dura) è quello con il regista Martin Scorsese. L’attore attraversa istrionicamente diversi ruoli, tutti sotto quell’ala protettrice un tempo appartenuta a Robert De Niro. Il primo appuntamento in “Gangs of New York”, diviene relazione importante nel Bio-Pic “Aviator”. La pellicola racconta la vita del magnate statunitense, aviatore, eccentrico ed eccessivo Howard Hughes. Nuovamente alle prese con un disagio, questa volta di origine psichiatrica – Hughes è un germofobico ossessivo – DiCaprio appare nel film un Arnie che ha raggiunto la maturità e la perfezione, portando a compimento la follia in maniera magistrale. Il film vince cinque premi Oscar, l’attore, se stesso.
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Dopo due anni, il sodalizio artistico si festeggia in “Departed”, il bene e il male in un ritmo furioso, mediante il montaggio sapiente di Thelma Schoonmaker. Le due facce dell’esistenza convivono, si confondono ed esistono nell’angoscia del cattivo e del buono: Matt Damon e Leonardo DiCaprio. La pellicola e il suo ritmo incalzante minano il respiro, le certezze e i confini tra la luce e le tenebre dell’animo umano. In questo incedere veloce, ognuno paga la propria colpa, innata o guadagnata, e non ci sono sopravvissuti. Il film porta a Scorsese quattro statuette: film, sceneggiatura, regia e montaggio.
Qualche anno dopo, con “Shutter Island”, sotto la stessa ala protettrice, l’attore torna al tema della follia. Una pellicola sull’inganno: quello operato dal regista e l’altro quello più umano, la rimozione come raggiro dell’uomo su se stesso. È un thriller tutto di psiche, segue i percorsi impervi delle fragilità mentali con tinte fosche e toni noir. DiCaprio è un Arnie, passato per Hughes e approdato all’ultimo e definitivo giro di volta della insania mentale. Se in Departed erano i confini tra bene e male ad essere scomparsi, qui pazzia e lucidità, realtà e immaginazione si confondono e confondono. Regia e interpretazione magistrale per zero statuette.
Nel 2011 l’incontro memorabile è tra un repubblicano e un democratico: Clint Eastwood verso Noodle. La storia è quella di J. Edgar, fondatore dell’F.B.I., la pellicola predilige l’aspetto umano a quello politico. Un uomo modernamente vecchia maniera, un contemporaneo classico, l’inventore delle impronte digitali al passo con i tempi, ma totalmente fuori dal tempo. L’interpretazione attoriale pecca in un dato estetico: un trucco eccessivamente marcato nell’invecchiamento che sfocia a tratti in una maschera caricaturale. (Peccato).
Fortunatissimo l’appuntamento con Quentin Tarantino nei meravigliosi fotogrammi di Django Unchained. La sontuosa e originale celebrazione di un certo cinema e il biasimo di un determinato periodo storico. Il tutto farcito da un’ironia irriverente, dettata da una colonna sonora che va dal pop, allo spaghetti western di Django, sino al soul gospel. Leonardo DiCaprio è Calvin J. Candie, il crudele proprietario della piantagione che troneggia sulla pellicola mediante uno strepitoso monologo. L’attore è totalmente nel personaggio tanto da ferirsi realmente una mano, il regista lascia correre e scorrere il sangue. Nella valigia delle mancanze, l’attore mette una candidatura al Golden Globe come migliore attore non protagonista.
Il ritorno a colui che ha contribuito a renderlo un importante interprete, arriva nel 2013 con “The Wolf of Wall Street”. La storia è quella della veloce scalata e ancor più rapida caduta del broker Jordan Belfort. Un uomo si muove lestamente tra gli eccessi in una totale assenza di moralità: è il lupo che corre da solo in mezzo agli altri lupi. Il ritmo è scatenato e delirante, DiCaprio è il trasformista dell’animo umano: da un tranquillo borghese a creatura dannata, dionisiaca e perennemente in stato di alterazione. Nessuna condanna in un mondo al sapor di anestetico: droga, sesso, soldi. Ennesima candidatura per un attore in piena sintonia con il regista in un’interpretazione irriverente e versatile. È l’importante preparazione alla pellicola successiva.
Aspettando Revenant: da Birdman a Bearman
È Hugh Glass, il Redivivo in uscita domani, 14 gennaio, nelle sale italiane. È la vivace speranza del regista Alejandro González Iñárritu. È già una certezza: Golden Globe come migliore attore drammatico. Un’ennesima occasione che lo vedrà vincere o mancare quella impudente statuetta. Riconoscimento privo del potere di spostare, anche solo di un millimetro, un dettaglio qualsiasi nella sua maestria attoriale. Nella pellicola del regista messicano, si mormora di un DiCaprio in stato di grazia. Un lavoro svolto al freddo di Alberta, Canada, tra le ore diciassette e le venti, alla ricerca della luce ideale. Da Birdman a Bearman in un nome: il Noodle, la testa dura che non fa primavera, ma festeggia in ogni film il lavoro dell’attore.