Anfield Road saluta il suo capitano. Steven Gerrard, vent’anni Red, ha ceduto la fascia. Andrà via dall’Inghilterra, lo attendono gli Stati Uniti. Evangelizzerà gli States al credo che gli yankees sembrano non snobbare più, quello del football. Resta, comunque, una grandissima perdita per il calcio e soprattutto per tutto quanto di pop (poesia, cultura, passione) ci giri intorno. Ne abbiamo parlato con Ivo Germano, sociologo, docente all’Università del Molise e appassionato indagatore delle fenomenologie popolari legate al calcio.
Che cosa rimarrà di Steven Gerrard?
Rimarrà un grandissimo modello del calcio inglese. Un’icona di cosa significhi football dall’altra parte della Manica, simbolo vero di una delle squadre più popolari di tutto il Regno Unito, il Liverpool. Un modello imparagonabile agli standard di casa nostra e che sarebbe improponibile nella suburra pallonara italiana…
Perché?
Perché da noi mancano gli spazi, e non solo fisici. In Italia un calciatore che annuncia il ritiro finisce per attirare su di sè sberleffi e sfottò, polemiche e contraddizioni. Tutto il contrario di quanto, avviene ora con Steven Gerrard il cui addio è stato celebrato con solennità e rispetto da parte di tutti, al di là dei colori. Purtroppo in Italia c’è chi intende lo stadio solo come sfogatoio, c’è troppa gente a cui manca la sintassi sportiva. Da noi la tensione non si allenta mai: si è calciatori sempre, non c’è mai un minuto di pausa nè la cultura per cui, dopo la partita o alla fine di una carriera si possa andare tranquillamente a casa, a giocare alle bocce.
Il modello Gerrard, dicevamo. Cosa ha rappresentato e continuerà a rappresentare il capitano del Liverpool per il Liver Bird e per tutti i sudditi di sua maestà il Pallone?
La caratura di un destino, la forza e l’aver rappresentato il volto umano del calcio al tempo dello show-biz. Per capirlo, Steven Gerrard, dobbiamo partire da un presupposto e che, cioè, antropologicamente c’è una differenza enorme tra le squadre “cittadine” e quelle “di tutti”. In Italia esempio è il derby della Mole: i torinesi veraci tengono al Toro, la Juve è tifata ovunque, dalle Alpi a Canicattì. Ebbene a Liverpool dicono che se sei di Liverpool tifi Everton. Uno zio (e la foto è cliccatissima in rete) c’ha provato a vestirlo di Blue Toffee. Ma niente, il destino ha deciso che lui avrebbe guidato i Red. Questa fotografia racconta più di mille altre cose Gerrard.
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E poi?
E poi la storia parla perché il Liverpool, che sarà anche squadra di tutti, non è squadra banale. Non è il Manchester United o il Chelsea. Evoca una storia lunga, complessa e affascinante. E Gerrard è in questa storia a pieno titolo, come le leggende del passato, come Keegan. Anche chi non ha mai seguito più di tre minuti di calcio internazionale sa e riconoscer in lui il capitano che per vent’anni ha guidato i Reds.
Per la cultura popolare, cosa rappresenta?
Steven Gerrard rappresenta l’altra faccia della medaglia scintillante del football dello Spice Boy David Beckham. Il suo è un corpo normale, da ragazzo normale. Poco adatto a pizzi, lustrini e a far pubblicità. Non è nemmeno un calciatore fantasioso, più che al guizzo s’è sempre affidato alla forza, alla determinazione. Gerrard è un calciatore che ha costruito il suo mito pallone dopo pallone, è diventato emblema soprattutto grazie alla sua immensa forza d’animo.
La moda, quando uno lascia, è quella di annunciar subito eredi. Chi sarà il post-Gerrard?
Non c’è nessun erede. Non ci sarà mai perchè ogni epoca ha i suoi calciatori. Ogni accostamento sarebbe improprio, i ragazzi devono crescere, sbagliare e gioire con le loro gambe e le loro forze. Steven Gerrard per tutti loro, però, può essere un ottimo modello professionale. A patto che ne abbiano bisogno oggi che il calcio è sempre più invaso dalle logiche da reality e che tutti i ragazzini già conoscono le mosse da fare per arrivare dove vogliono arrivare…
Gerrard lascia Liverpool e come tanti prima di lui, come lo stesso Beckham, o i “nostri” Nesta e Di Vaio, si imbarca per un lungo viaggio verso Ovest. Sembra quasi una metafora tolkeniana…
Io ci andrei cauto a snobbarli, gli americani. Tra qualche anno Usa, Cina e India avranno un movimento calcistico degno di tale nome e credo che potranno finalmente imporre al mondo la loro via al pallone. Non si tratta più di football macchiettistico, ovviamente non sono ancora superpotenze planetarie ma queste leghe sono già a metà del guado nel loro cammino di crescita. L’Europa dovrà smetterla di credersi centro del mondo, anche nel calcio. Steven Gerrard non va a finire nel cimitero degli elefanti.
Prima di andar via avrà letto la lettera che gli ha scritto Mario Balotelli…
È stato un gesto molto bello, quello di SuperMario. Non so quanto spontaneo, però davvero apprezzabile. L’omaggio era doveroso, si accorgerà dell’importanza di aver giocato con lui tra un paio d’anni. I frutti dell’aver condiviso una stagione con Gerrard, Balotelli li raccoglierà tra qualche tempo. È uno di quei calciatori perseguitati, che ha bisogno di essere amato 24 ore su 24 per poter rendere davvero. Lo vorrei al mio Torino, sono sicuro che in granata farebbe 21 gol alla prima stagione e 25 quella dopo…