Caro direttore,
ecco sette buoni motivi per non celebrare il 25 aprile.
Perché non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse.
Perché è una festa contro gli italiani del giorno prima, ovvero non considera che gli italiani fino allora non erano stati certo antifascisti.
Perché non rende onore al nemico, anzi nega dignità e memoria a tutti costoro, anche a chi ha dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta.
E poi perché l’antifascismo finisce quando finisce l’antagonista da cui prende il nome. E il fascismo è morto e sepolto da una vita e non può sopravvivergli chi è nato con l’esclusiva missione di abbatterlo.
Perché quando una festa aumenta l’enfasi col passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora regge sull’ipocrisia, è usata retoricamente e politicamente.
Perché è solo celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze nazionali. Si prenda il centenario della prima guerra mondiale: è ricordata anche nel suo aspetto tragico e catastrofico, nei suoi errori e nei suoi orrori, mentre il 25 aprile è solo celebrativa, non ricorda le pagine nere, sporche o sanguinose che l’hanno accompagnata né distingue tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura in Italia.
E in ultimo perché celebrando sempre e solo il 25 aprile, rimasta l’unica festa civile osservata in Italia, si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi 70 anni. Troppo poco per l’Italia e per la sua civiltà. (da Il Tempo)