Nell’era delle tecnologie può capitare che una partita di rugby delle categorie giovanili faccia notizia. Oggi le maglie non sono più di lana come una volta, e si fa pure fatica a percepire l’odore del prato.
Italia-Irlanda del Sei Nazioni under 20, al di là della vittoria degli irlandesi per 15 a 47, tecnicamente superiori, fa notizia perché si è trattato di una vera e propria battaglia nel fango, esattamente come ai vecchi tempi.
La partita si è disputata a Biella allo stadio Lamarmora sotto intitolato a Vittorio Pozzo, dopo che nei giorni precedenti la nota città laniera del Piemonte era stata ricoperta da una coltre di neve. Spalato a tempo di record il rettangolo di gioco, il misto neve-acqua ha però fatto il resto. Oddio: campo sì, rugby forse, possibilmente, probabilmente, dipende.
Il Lamarmora-Pozzo ha così finito per diventare un campo da leggenda, da mito, da Guinness dei primati. Detiene un record mondiale: quello del fango. Si è impantanato, si è affossato, è sprofondato, fino a raggiungere livelli da paludi del Mississippi, con gradi di pericolo degno della protezione civile se non del soccorso alpino. I giocatori hanno rischiato di scomparire sotto due spanne di melma.
Il fango ha i suoi vantaggi: favorisce la produzione di maschere per la bellezza della pelle (soprattutto quella lentigginosa degli irlandesi dal pelo rosso) appesantisce il gioco favorendo la manovra degli avanti, diminuisce la velocità attutendo la forza degli impatti, chiarisce – sporcando – chi non si sottrae dalla lotta da chi la evita, spesso migliora profili ed estetica della maggiore parte dei giocatori, assolve gli arbitri dall’obbligo di riconoscere i giocatori delle due squadre, non permette di ballare il tango, incrementa il numero delle chiamate per la manutenzione delle lavatrici, a meno che i giocatori non siano così pignoli da effettuare il primo lavaggio direttamente nelle docce degli spogliatoi. Ma in questo caso il fango incrementa il numero delle chiamate per la manutenzione delle docce degli spogliatoi.
Insomma, è vero che il fango riporta il rugby al suo aspetto primitivo e più epico, valoroso e letterario.
Osservando lo spettacolo – in salvo – dalla tribuna, uno spettatore ha assistito al lavoro di chi cercava di compattare il terreno maciullato, poi alla rinascita dell’”habitat naturale del mitologico Spirito del Lamarmora, che come il suo omologo scozzese Nessie ama il rugby e si nasconde dietro una leggendaria discrezione”, quindi all’invocazione “con un mantra” del Grande Spirito, entità mitologica che vive sepolta da tempi immemorabili tra le stratificazioni geologiche del campo, nutrendosi occasionalmente dei palloni perduti nelle mischie.
Così, chi passa da Biella e volge il suo sguardo al campo Lamarmora-Pozzo, adesso finalmente conosce la storia di uno sport che non c’è più anche se c’è stato per ottanta minuti, il mito del vero match, il rito del fango, e l’eterna resistenza del rugby.
@MarioBocchio