L’anno prossimo ricorrerà il 150° anniversario della nascita di Gabriele d’Annunzio, un uomo che ha fatto «della propria vita un’opera d’arte». Dalla biografia del Vate scritta da Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli italiani, è nato lo spettacolo di Edoardo Sylos Labini: “Gabriele d’Annunzio, tra amori e battaglie”, in scena al teatro Nazionale Roma. Lo spettacolo rimarrà a Roma, poi si sposterà al teatro Gobetti (1-3 marzo), quindi al Manzoni di Milano, dal 20 al 24 marzo, per chiudere il 3 aprile al Rossetti di Trieste. Ecco le domande che abbiamo rivolto a Sylos Labini, autore dello spettacolo e interprete nel ruolo di D’Annunzio.
Chi era per lei D’Annunzio?
Un uomo che ha imposto i suoi sogni al popolo italiano, ma che è stato anche capace di vendere se stesso per fare cultura. È l’inventore dell’industria culturale in Italia.
Potrebbe esistere oggi un Vate?
No, perché D’Annunzio era una rock star, in tutto ciò che faceva diventava il numero uno. Nell’Italia del dopoguerra mi viene in mente soltanto Berlusconi, una personalità che tutto quello che ha fatto, lo ha fatto sempre da protagonista. Ma parliamo di due persone diverse.
Il testo è tratto da “L’amante guerriero” di Giordano Bruno Guerri, la “vedova di D’Annunzio”, come ama autodefinirsi.
Giordano lavora su D’Annunzio da molti anni prima di diventare presidente del Vittoriale. Mi ha aiutato tanto nel costruire questo spettacolo perché mi ha fatto entrare dalla porta principale, da quella del Vittoriale, appunto. Sono stato lì ospite e ho potuto consultare, oltre agli archivi, la nuova biografia del Vate scritta da lui: “La mia vita carnale”. Un’opera in cui si descrive un D’Annunzio segreto, quotidiano, grazie ai diari della sua governante-amante.
A proposito di amanti: da amore e guerra oggi si è arrivati ad amore e potere…
Siamo ancora in guerra. La guerra oggi si fa sui giornali, si fa contro le banche. È una guerra più velata, nascosta dalla finta democrazia che oggi comanda l’occidente. È una guerra di lobbies, di razzismi intellettuali. D’Annunzio, in un discorso a Fiume, dice «è necessario che una nuova fede popolare prevalga contro la casta politica al servizio della spietata plutocrazia».
Sembra un discorso rivolto alla Bce.
Dopo la vittoria mutilata della prima guerra mondiale D’Annunzio occupa Fiume, un’occupazione simbolica contro la Società delle nazioni, il primo inciucio europeo. Oggi l’inciucio lo si trova nella Bce e nelle decisioni della Merkel. D’Annunzio parlava, non a caso, di «odiosa tracotanza del mondo germanico».
D’Annunzio era quindi un libertario?
Era un anarchico assoluto. Fiume ne è l’esempio: era la patria degli artisti. D’Annunzio era più futurista dei futuristi, perché metteva nella sua vita ciò che loro mettevano nell’arte. Ci vorrebbe un D’Annunzio oggi contro i poteri forti, che restituisca la sovranità al popolo.