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Home Le interviste

L’intervista. Vittorio Strada: “Krusciov, luci e ombre dell’esuberante leader sovietico”

by Alfonso Piscitelli
1 Novembre 2014
in Le interviste
0

KruscevCinquanta anni fa Nikita Krusciov, il 15 ottobre del 1964, veniva estromesso dalla guida del partito comunista e dell’Unione Sovietica. Il personaggio effervescente che aveva buttato nella polvere il mito di Stalin veniva a sua volta esautorato e ridotto a vivere con una piccola pensione fino alla morte nel 1971. Chi era davvero Krusciov? Lo chiediamo a Vittorio Strada, uno dei massimi esperti di vicende culturali e politiche russe, che del periodo di transizione da Stalin a Krusciov ha parlato anche nel suo recente libro: “Europe. La Russia come frontiera” (Marsilio). Strada conobbe da vicino il leader sovietico e lo descrive in maniera controcorrente:  Krusciov pensò di essere più comunista di Stalin e credette davvero che l’URSS potesse superare gli USA in ogni campo una volta risolte certe contraddizioni interne del sistema. L’azzardo più grande della sua leadership fu la vicenda dei missili a Cuba. Ebbe allora il buon senso di fare un passo indietro.

Professor Strada, chi era innanzitutto Krusciov come uomo?

Un tipo variopinto, impulsivo, dispotico, con una buona dose di fanatismo ideologico, ma anche con una carica umana travolgente e una caratteristica estroversione.

Un personaggio che bucava lo schermo, si direbbe oggi.

Sì, per questo occupava la scena internazionale con una forza che prescindeva dal suo stesso ruolo istituzionale e lo distingueva da tutti gli altri leader di paesi comunisti. Il suo principale tratto caratteriale era forse quello di voler fare di testa propria, scavalcando le opinioni di tutti gli altri membri della élite del partito. Prendeva decisioni improvvise che rovesciavano gli schemi prestabiliti, il tutto con una certa impulsività.

E con quali risultati?

Risultati non brillanti. Un po’ in tutti i campi i suoi piani sortirono esiti insoddisfacenti e questo fa di lui un personaggio tutto sommato tragicomico. Bisogna distinguere tre ambiti che furono investiti dall’azione impetuosa di Krusciov: la politica interna (con l’abbattimento del mito di Stalin al fine di  arrivare a un autentico comunismo), la politica economica (con l’impulso al rinnovamento nella produzione industriale ed agricola), le relazioni internazionali (con i rapporti burrascosi sia con i paesi comunisti europei, come l’Ungheria, sia con la Cina di Mao). In tutte e tre queste direzioni Krusciov non riuscì a raggiungere successi consolidati.

Un personaggio storico che alla fine non lascia il segno che avrebbe voluto.

L’unico momento storico in cui si è affermato è stato quello del Congresso del 1956 quando ha attaccato il culto della personalità di Stalin.

Di Stalin, Nikita era stato però uno stretto collaboratore.

Lui ha sempre ribadito l’estraneità agli “eccessi” staliniani e tuttavia le corresponsabilità di Krusciov furono evidenti, come membro effettivo del Comitato Centrale del PCUS e poi come primo segretario del comitato centrale del Partito Comunista Ucraino, in sostituzione dei precedenti membri falcidiati dalle purghe  staliniane. Responsabilità politiche dunque e – nel caso dell’Ucraina – anche responsabilità dirette.

Uno stalinista doc!

Va anche detto che alla morte di Stalin tutto il gruppo dirigente comunista capì che era necessario creare una discontinuità rispetto alla politica di Stato seguita nei decenni precedenti.

Uno stalinismo senza Stalin era impossibile.

Questo era fuori discussione e ad esserne convinto non era solo Krusciov: un po’ tutti i membri del Politburo capivano la necessità di una svolta . In tale fase di transizione Krusciov riuscì a prendere il timone nelle sue mani perché manifestò una energia superiore a tutti i suoi rivali: una forza psico-fisica che si imponeva.

Lei lo ha conosciuto?

Fui a Mosca con l’editore Giulio Einaudi e conobbi da vicino Krusciov: quello che stupiva di lui era proprio la sua forma fisica esuberante unita ad una caratteristica estroversione. Questo gli dava la capacità di trionfare su ogni intrigo interno ai vertici sovietici. Alla forza psicofisica aggiungeva una fede ferrea nei destini del comunismo: era seriamente convinto che l’Unione Sovietica avrebbe superato l’America in pochi anni e che il socialismo realizzato avrebbe garantito a tutti un livello di benessere più ampio di quello reso disponibile dalla sistema capitalistico.

Cioè, nelle sue intenzioni, Kruscev voleva “superare” Stalin a sinistra?

Superando il culto della personalità di Stalin Kruscev voleva mettere in moto una autentica dinamica rivoluzionaria all’interno dello Stato sovietico. Anche in questo caso ottenne un “successo” che andò in direzione contraria alle sue intenzioni.

“Eterogenesi dei fini” direbbe Augusto Del Noce.

Certo, le sue intenzioni erano quelle di rafforzare la stabilità del sistema e invece già allora avviò il processo della sua demolizione.

Qui sorge spontaneo il paragone con Gorbaciov che certo non avrebbe voluto dissolvere il blocco sovietico, ma di fatto…

Con la differenza che quando Krusciov attuò la destalinizzazione  nel famoso Congresso di Mosca del 1956 il sistema era ancora molto forte, mentre quando arrivò al potere Gorbaciov la sua vitalità  era ormai esaurita.

Sul piano internazionale il nome di Kruscev è legato alla crisi ungherese, alla crisi di Berlino, ma soprattutto alla crisi dei missili di Cuba.

Quella di sfidare gli USA nel loro “orto di casa” piazzando batterie di missili a Cuba fu una decisione personale di Kruscev, che non tenne conto delle opinioni più prudenti degli altri membri del Comitato Centrale. I collaboratori di Kruscev percepivano la pericolosità di quell’azione di forza, ma Krusciov insistette e si impose. Si arrivò così a una crisi delicatissima. Nel braccio di ferro, gli USA ottennero che i missili fossero smantellati da Cuba. Fu uno smacco notevole per Krusciov, il quale si illuse che valessero come compensazione la garanzia degli USA di non invadere la Cuba di Castro e lo smantellamento delle testate missilistiche americane in Italia e in Turchia. In realtà la sconfitta politica di Krusciov fu grande, forse la pietra tombale sulla sua azione di governo.

C’è poi il capitolo della frattura geopolitica con la Cina di Mao.

In quel caso Krusciov mostrò davvero una visione distorta della realtà. La Cina di allora non era ancora il colosso in piena espansione di oggi, ma già mostrava tutte le sue potenzialità. Krusciov pensò seriamente di trattare Pechino come una potenza regionale subalterna e questo fu un clamoroso errore. Le difficoltà a gestire il rapporto con l’alleato comunista d’Asia si sommarono in questo modo alle difficoltà che ebbe nello gestire i rapporti con i paesi comunisti d’Europa senza fare uso della forza.

Tutti atti d’accusa al momento della sua deposizione nel 1964.

Il mancato raggiungimento dei traguardi interni e gli scacchi subiti in politica internazionale, ma anche la consapevolezza che il modo con cui Kruscev si era comportato nel 1956 aveva messo in seria difficoltà il regime indussero le elite del partito comunista a dichiarare fallimentare la sua azione di governo.

Avrebbero almeno potuto riconoscergli il merito di aver evitato una guerra mondiale termonucleare.

Quello più che un merito politico, fu umano buonsenso.

@barbadilloit

Alfonso Piscitelli

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