L’onda Blue Marine del Front National alle elezioni amministrative francesi è stata accolta dai media italiani con i prevedibili appelli allarmistici nonché utilizzando categorie politologiche grossier come quella dell’ultradestra. Il movimento guidato da Marine Le Pen è invece un fenomeno che supera le dinamiche destra/sinistra e manifesta – in un contesto di crisi della rappresentanza tradizionale dei partiti – e incarna il bisogno del popolo di delegare il proprio risentimento verso le élite ad una forza antisistema o critica dell’establishment.
In Italia oltre alle pubblicazioni del politologo Piero Ignazi, solo la rivista Trasgressioni, diretta dal professor Marco Tarchi, ha analizzato con puntualità negli ultimi decenni il fenomeno FN e l’avanzata dei populismo in Europa da un punto di vista scientifico.
Barbadillo.it ha intervistato Pierluca Pucci Poppi, corrispondente per l’Italia del settimanale francese Valeurs Actuelles, già firma di Affari Esteri, l’Indipendente, Il Giornale e Panorama, per inquadrare l’avanzata nel Front National nel contesto transalpino: il dialogo verte non solo sull’identità lepenista, ma anche sul programma, sulle peculiarità francesi e sulle assonanza/dissonanze con i partiti italiani che dicono di avere come faro Marine Le Pen.
Pucci Poppi è autore del brillante saggio “Gheddafi. Ascesa e caduta di un oppositore globale” (Aliberti editore), ha diretto la collana “Arcipelago” (narrativa e saggistica estere) per la casa editrice Aliberti, ed è socio fondatore della casa editrice Irradiazioni.
Dottor Pucci Poppi che quadro politico consegnano in Francia le amministrative?
Sembrerebbe emergere un inedito quadro tripolare: la sinistra del partito socialista, la destra gollista e liberale dell’Ump e la destra populista del Front National. I centristi, i Verdi e l’estrema sinistra sono per il momento residuali. Se un simile scenario dovesse consolidarsi, cioè se il fenomeno Marine Le Pen non si sgonfiasse, come è possibile, i primi a festeggiare sarebbero i socialisti. Infatti, il sogno di François Hollande, presidente socialista impopolarissimo, è di ritrovarsi al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2017 di fronte a Marine Le Pen, la sola candidata che sarebbe in grado di sconfiggere, garantendosi così una riconferma altrimenti difficilissima. Qualunque altro avversario lo farebbe a pezzi, mentre non è pensabile, perlomeno allo stato attuale, che la Le Pen possa essere eletta presidente della Repubblica, nemmeno contro un uomo screditato come Hollande. E’ ciò che è successo nel 2002, quando uno Chirac dato per morto ha preso l’80 per cento dei voti perché affrontava l’unico candidato contro il quale era impossibile perdere: Jean-Marie Le Pen. Il voto Fn divide l’elettorato di destra e può favorire la vittoria di una sinistra minoritaria: è quanto è accaduto nelle elezioni del 1997, quando una settantina di candidati lepenisti hanno avuto accesso al secondo turno delle legislative (in Francia si vota con un sistema maggioritario a doppio turno con soglia di sbarramento) e hanno sottratto voti alla destra moderata, facendole perdere numerosi deputati. Il risultato è stato il governo socialista di Lionel Jospin, minoritario nelle urne ma maggioritario all’Assemblea Nazionale. Si tratta di un’intelligente strategia nata con il presidente socialista François Mitterrand, che negli anni Ottanta garantisce spazi alla televisione di Stato a Jean-Marie Le Pen. L’amplificazione mediatica dell’abilità oratoria di Le Pen, insieme all’impopolarità dei socialisti allora al potere, permette a un gruppuscolo di destra estrema semiclandestino di raggiungere percentuali a due cifre, inguaiando così gollisti e centristi. Il successo della destra radicale francese è in parte attribuibile a Mitterrand, che in fondo da lì proviene: negli anni Trenta era membro di una lega di estrema destra, partecipava alle manifestazioni dell’Action Française, sarà poi giovane funzionario di Vichy.
Naturalmente, il corollario di questa strategia è impedire che le due destre si alleino, perché in questo caso il Ps si ritroverebbe all’opposizione per lungo tempo. Da qui la politica di demonizzazione del Fn e le accuse di razzismo, fascismo, antisemitismo eccetera nei confronti di chiunque cerchi di dialogare, anche a livello locale, con i lepenisti. Marine Le Pen, usando un linguaggio meno violento e provocatorio di quello del padre, è riuscita in parte a “sdemonizzare” – dédiaboliser – il suo partito, se non fra i media almeno fra gli elettori, che, secondo recenti sondaggi, non si vergognano più di dichiarare il loro voto per il Fronte Nazionale. Infine, l’elettorato del Fn non si può più qualificare semplicemente “di destra”; proviene ormai da destra, da sinistra, da elettori che prima si astenevano.
Il Front National, storicamente poco radicato nei municipi, ha conquistato un risultato di assoluto rilievo. A cosa si deve questa avanzata?
Al rigetto totale dei francesi di ciò che percepiscono come “il sistema”. Le faccio un esempio. L’ultimo Baromètre de la confiance publique (barometro della fiducia pubblica), una grande inchiesta demoscopica annuale, contiene cifre sorprendenti. Vi si legge che il 50% dei francesi vuole “un uomo forte, che non abbia a preoccuparsi del Parlamento o delle elezioni”, cioè un dittatore; il 75% “non ha fiducia nello Stato”; il 69% giudica che “la democrazia non funziona”. Inoltre, l’88% “non ha fiducia nei partiti”; il 75% è “fiero di essere francese” e solo il 30% difende l’Unione europea. Per il 67% dei francesi, nel Paese ci sono “troppi immigrati” e il 50% vorrebbe il ritorno alla pena di morte. Addirittura, il 40% pensa che “le democrazie non sanno mantenere l’ordine” e il 12% vorrebbe che “l’esercito dirigesse il Paese”! Non sono cifre normali, questa è la fotografia di un Paese esasperato.
Il presidente Hollande è il più impopolare della Quinta Repubblica, cioè dal 1958, con meno del 20 per cento di opinioni favorevoli, e i ministri del governo Ayrault che si sono presentati a queste elezioni municipali sono spesso in difficoltà. La crisi economica colpisce duramente anche la Francia, che rimane certo un Paese molto ricco, ma che ha gravi problemi, fra i quali una tassazione altissima e un debito pubblico crescente, ormai pari al 93 per cento del Pil. Il Paese ha perso in un anno il 77 per cento degli investimenti esteri diretti, e i tedeschi ironizzano su una Francia che “viaggia in prima classe con un biglietto di seconda”. Se sovrapponete la mappa delle crisi industriali francesi, cioè dei luoghi in cui si trovano le industrie fallite o in fallimento, con quella delle zone in cui il Fn ottiene più voti, vedrete che combaciano quasi perfettamente. Il Fronte Nazionale è da anni il primo partito di Francia fra gli operai, ruolo che per decenni era stato monopolio del partito comunista.
Per evitare che la fiamma francese conquisti altri sindaci, si riformerà il patto repubblicano tra socialisti e Ump?
Non credo. Il leader dell’Ump, Jean-François Copé, lo ha escluso, dicendo che i socialisti sono alleati della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, assimilabile all’estrema destra per molte sue posizioni. E’ difficile che i gollisti ricaschino nella trappola del “politicamente corretto” imposto dalla sinistra per dividere gli elettori di destra.
Marine Le Pen in Europa si sta caratterizzando come paladina dell’altra Europa e della critica all’eurocrazia. In Francia quali sono i temi forti del suo programma? Su immigrazione e islam le posizioni del FN a quale partito sono paragonabili?
Se intende rispetto all’Italia, sono le situazioni a non essere equiparabili. In Francia, l’immigrazione dal Maghreb e dall’Africa subsahariana nasce negli anni Settanta e fu favorita dal presidente liberale Valéry Giscard d’Estaing e dalla Confindustria francese. Cioè, si potrebbe dire che l’immigrazione francese nasce a destra. Si era allora in una situazione vicina al pieno impiego, il che implica un maggior potere contrattuale di lavoratori e sindacati per negoziare aumenti salariali. Per scongiurare ciò, il governo decise di importare manodopera dal Sud del Mediterraneo per tenere bassi i salari. Per queste ragioni, il partito comunista francese era contrarissimo all’immigrazione. Il risultato, decenni dopo, sono le cosiddette “zone di non diritto”, cioè alcune banlieues di grandi città, o zone più estese come in Seine Saint-Denis, da cui i francesi non immigrati sono fuggiti e in cui la polizia entra – quando ci entra – con molta cautela. Ci sarà una ragione se l’immigrazione incontrollata è una delle principali preoccupazioni dei francesi, secondo tutti i sondaggi? In Italia è diverso; le zone ad alta intensità di immigrati non sono – ancora – quartieri-ghetto come alcune periferie francesi, che formano ormai enclaves comunitarie ai margini della legge.
Ciò detto, sull’immigrazione le posizioni del Fn sono vicine a quelle della Lega, di Fratelli d’Italia e in parte di Beppe Grillo. Per quanto riguarda l’islam, la Le Pen ha buon gioco nel difendere il principio di laicità, in teoria caro alla sinistra, per negare spazi di “comunitarismo”, come fasce orarie nelle piscine pubbliche riservate alle donne musulmane, cibo halal nelle mense scolastiche eccetera. A questo si aggiunga la proposta di uscire dall’euro e una politica di pubblica sicurezza a “tolleranza zero” e si completa la triade immigrazione-sicurezza-euro che forma il nocciolo del programma del Front National.
La politica estera della Le Pen: dal viaggio negli Usa agli incontri a Mosca.
Marine Le Pen va dove trova qualcuno disposto a parlare con lei. Negli Stati Uniti non è riuscita a incontrare nessun politico di primo piano. In Russia, invece, le è andata meglio. La Le Pen è stata accolta cordialmente da esponenti delle istituzioni, come il presidente della Duma Sergei Naryshkin, molto vicino a Putin. Per quanto riguarda la politica estera del Fn, si tratta del tradizionale nazionalismo francese: presenza in Africa, politique arabe, il sogno velleitario di un’Europa a trazione francese, qualche tentazione eurasiatica con la vecchia storia dell’asse Parigi-Berlino-Mosca, un po’ di antiamericanismo, sempre popolare oltralpe. Al riguardo, ricordo che Jean-Marie Le Pen passò da Reagan a Saddam nel giro di pochi anni. Mi spiego. Nei primi anni Ottanta Ronald Reagan fa un discorso ferocemente anticomunista al Parlamento europeo. Gli eurodeputati sono tiepidi o ostili, tranne Le Pen e i suoi, che si spellano le mani per applaudire Ronnie. Jean-Marie dichiara: “non avrei saputo dirlo meglio”. Alla fine degli anni Novanta lo intervisto a Roma ed è un fiume in piena contro gli Usa, contro l’embargo all’Iraq di Saddam Hussein, contro la disinformazione americana sul Medio Oriente. Il Fn è antiarabo all’interno e filoarabo all’estero, il che equivale a dire: “vanno anche bene, ma a casa loro”. Per quanto riguarda l’antiamericanismo, qualunque cosa voglia dire, è un classico delle destre radicali europee ed è uno dei tanti elementi che le accomuna alle sinistre estreme. Marine Le Pen ha molto annacquato queste posizioni, più ideologiche che razionali. Inoltre, anche in Francia la politica estera non è più un fattore di influenza dell’opinione pubblica, vedi Sarkozy in Libia o Hollande in Mali e Centrafrica, che non hanno tratto benefici elettorali dalle vittorie militari oltremare.
Le ricette economiche?
L’economia è da sempre il punto debole del Front National. Liberale negli anni Ottanta, socialisteggiante negli anni Novanta, si è sempre adattato alle circostanze. Oggi, il suo programma è un misto di utopia e buon senso. Ad esempio, per quanto riguarda la politica fiscale, il Fn propone tagli alla spesa pubblica improduttiva e riduzione delle tasse sui redditi medio-bassi e sul lavoro. E’ Marine Renzì. All’opposto, chiede di innalzare barriere doganali e “reindustrializzare” la Francia con il sostegno finanziario dello Stato; si tratta di un protezionismo che difficilmente un Paese come la Francia potrebbe sostenere. Inoltre, chiede di uscire dall’euro e tornare alla sovranità monetaria. Sono questioni complesse e delicatissime, sulle quali non esiste un consenso, perché non è mai successo un caso di uscita da un’area valutaria comune. Una cosa forse lontanamente paragonabile è accaduta nell’Ottocento, quando alcuni Paesi latino americani fecero default, svalutarono e abbandonarono l’area del gold standard. Ma questo accadde perché erano falliti, non perché lo volessero.
Il Front National, come tutti i movimenti antisistema, ha buon gioco a protestare e denunciare, e spesso ha buone ragioni. Ma le proposte sono valutabili e criticabili, quindi vanno difese, ed è difficile se non si ha nessuno in grado di argomentarle efficacemente. E le proposte economiche del Fn appaiono talvolta fantasiose. Alla fine del programma di 106 pagine del partito, hanno inserito una serie di dati e grafici, elaborati da due signori: uno è un economista – l’unico – e l’altro è un ingegnere che ha combattuto in Libano con le milizie cristiane e in Nicaragua con i Contras. Non è proprio il profilo di un accademico.
Il Front National ha pronta una alternativa di governo?
No, ed è normale per un movimento i cui simpatizzanti sono considerati dei lebbrosi. Nessun professionista, nessun tecnico, nessun amministratore può permettersi di collaborare con il Front National senza rischiare la morte civile. E’ la strategia del Ps di cui parlavo: dividere le destre e impedire loro di ricongiungersi, demonizzando il Fn. Da qui le manifestazioni antifasciste, antirazziste eccetera, gli anatemi sui media in cui si parla di “camicie brune”, di “nostalgia di Vichy”, di “vecchia Francia stantia”. E, incidentalmente, è una delle ragioni per cui Berlusconi fu odiato in Francia più che altrove, perché aveva “sdoganato” l’estrema destra dell’Msi e l’aveva portata al governo. Se i gollisti avessero fatto come lui e si fossero alleati con Le Pen sarebbe stato un guaio per la sinistra francese, che ha usato tutta la sua potenza di fuoco mediatico-culturale per dipingere Silvio come un pericoloso fascista o come un clown, a seconda delle circostanze.
Chi sono gli intellettuali di riferimento del FN e quali le riviste?
Quasi nessuno, per le ragioni che lo ho esposto. Un giornalista, un intellettuale, uno studioso, un professore che simpatizzasse apertamente con il Front National commetterebbe un suicidio sociale e professionale. Si può citare Paul-Marie Coûteaux, intellettuale e scrittore, ex socialista poi passato al gollismo “sovranista” e infine efficace portavoce di Marine Le Pen durante l’ultima campagna presidenziale.
Lo spazio politico del Front National in Italia, che ha stretto un patto con la Lega Nord di Matteo Salvini ed è seguito con attenzione da Fratelli d’Italia-An, da quale formazione è occupato?
Da Beppe Grillo. Il Movimento 5 Stelle è l’unico partito italiano, come il Front National in Francia, ad essere antisistema e a non avere mai avuto responsabilità di governo, tranne in qualche comune periferico. Sono fuori dal sistema, e Grillo rimane credibile quando riveste il ruolo di outsider. Certo, il livello agghiacciante dei personaggi che ha mandato in Parlamento lo danneggia, ma nei sondaggi regge sorprendentemente bene, forse perché gli italiani sono più disgustati dall’establishment che dagli improbabili ma non corrotti grillini. Tutti gli altri, a sinistra, a destra e al centro hanno avuto negli ultimi vent’anni almeno qualche ministro, sottosegretario, presidente di una Camera, di una Regione, di una Provincia eccetera. E questo, giusto o sbagliato che sia, viene percepito dall’opinione pubblica come una corresponsabilità per il cattivo stato del Paese. Noti che nei sondaggi sia i grillini sia il Front National si trovano fra il 20 e il 25 per cento, e in entrambi i Paesi il tasso d’astensione si aggira intorno al 35-40 per cento. Quindi vi è una forte percentuale, peraltro in crescita, di cittadini che non ha più fiducia in una classe politica considerata impresentabile, incompetente e corrotta. Si prefigura forse uno scontro fra, da una parte, una destra e una sinistra classiche che non mettono in discussione il sistema ma solo le sue modalità di gestione, e dall’altra forze antisistema rivoluzionarie che potrebbero saldare estrema destra ed estrema sinistra, approfittando del disprezzo di una parte crescente di cittadini per la politica tradizionale e, forse, in prospettiva persino per la democrazia parlamentare.