“Era come se il Cielo stesse benedicendo la nascita di Kim Jong-il”. Così inizia il racconto della sua vita, una raccolta di aneddoti dai toni epici e leggendari, che il regime nordcoreano continua a diffondere per esaltare l’immagine e il nome di uno dei suoi leader ormai scomparsi, creando le storie e i miti di un vero e proprio culto. Sono le ombre e le illusioni di un mondo sconosciuto, che si stringe intorno alla memoria delle sue guide, forgiando i racconti di una nuova tradizione nazionale, idealmente pensata per durare nei secoli. Kim Jong-il, figlio del fondatore e padre della Corea del Nord Kim Il-sung, viene descritto dal regime come una persona dalle doti eccezionali, un prescelto, un predestinato da una sorta di favore celeste a compiere grandi imprese. È una figura che viene descritta e percepita come l’eroe scelto da un destino ineffabile per compiere il volere del Cielo, e dare libertà e grandezza a una nazione di figli che per tutta la propria vita non fanno che attendere una figura paterna che li riscatti dalle proprie incertezze. Si dice per esempio che in occasione del suo primo giorno di università, il primo settembre 1960, il giovane Kim sia salito sulla collina Ryongnam insieme ad altri studenti, e lì, osservando la valle e i colori dell’autunno, abbia declamato una poesia in cui dichiarava, tra le altre cose: “Io guiderò la rivoluzione coreana: o Corea, io ti darò onore”. Quest’ultimo verso, un voto augurale per il compimento di un destino glorioso, è ancora inciso nella pietra di una stele situata del complesso monumentale di Ryongnam, disseminato da omaggi scolpiti nella pietra alle glorie dei leader a cui si inchinano studenti e visitatori. Analogamente, presso Mansudae ogni giorno, chi passa di fronte alle immense statue di bronzo di Kim Il-sung e di Kim Jong-il si ferma in silenzio, piega il capo e rende omaggio a chi percepisce essere più di una guida, più di un padre della patria, e forse, in un’ultima analisi, addirittura più di un essere mortale. Ciò a cui sembra di assistere è un rito di anni che furono, una liturgia antica creata ai tempi degli antichi regni di Corea, le cui storie più che di presidenti e segretari di partito erano popolate di dei e re. Il ripetersi di inchini e reverenze non può infatti che ricordare, ad uno sguardo attento e che non si fermi all’esteriorità del gesto, le antiche devozioni agli antenati scomparsi, ai signori della guerra e del cielo che si perdono tra storia e leggenda, e le fedi ormai dimenticate a semi-divinità di credenze ancestrali. Un contesto complesso, quindi, che meriterebbe di essere conosciuto più a fondo.
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Si tratta, forse, della fascinazione che si prova per i luoghi inaccessibili, per le terre a cui non è dato accedere se non a pochi e in circostanze fortunose, le isole lontane dai costumi bizzarri e dalle storie incredibili, ancor di più quando sinistre per fama e per leggenda. È un ritorno ideale all’era delle esplorazioni e delle conquiste, dove ancora sulle mappe restavano delle zone d’ombra, un “cuore di tenebra” in cui addentrarsi equivaleva a perdere o trovare sé stessi. La Corea del Nord appare ancora, per certi aspetti, un’incognita sulle carte geografiche, uno dei pochi Paesi al mondo a vivere in un rigido isolamento e sulla scorta di una ideale autosufficienza dai poteri del mondo esterno, percepiti come corrotti e corruttori di una purezza ideologica sublime nel suo fondamentalismo. È il “regno eremita”, come è stato definito, inaccessibile e sorvegliato da ogni ingerenza esterna, tanto da far riflettere su come “nessun altro Paese oggi sia così avvolto nel mistero” come questo. Un Paese, ancora, che racchiude all’interno dei propri confini rigidamente sorvegliati speranze deluse e traumi mai metabolizzati, fantasmi del passato e ortodossie dottrinali sempre in evoluzione, lasciando trasparire al di fuori soltanto ciò che viene scrupolosamente approvato dal regime. È naturale, assumendo questa prospettiva, che uno sguardo rubato a ciò che si nasconde tra le fredde valli oltre la zona demilitarizzata tra Nord e Sud stimoli la curiosità dell’osservatore, e in qualche modo, come tutte le distopie, rimetta in discussione le sue credenze e le sue conoscenze del mondo.
Federico Lorenzo Ramaioli
Diplomatico e avvocato italiano, è attualmente Vice Capo Missione presso l’Ambasciata d’Italia a Doha (Qatar). È Senior Research Associate presso gLAWcal (UK). In passato, ha ricoperto la carica di Console d’Italia a Friburgo (Germania), e ha collaborato con le Cattedre di Filosofia del Diritto e di Metodologia Giuridica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È autore di libri e di articoli in riviste scientifiche, soprattutto con riferimento all’Estremo Oriente e al mondo islamico.
Sinossi
La Corea del Nord può essere considerata come uno degli ultimi regni proibiti del mondo, ermeticamente chiusa all’interno dei suoi confini e governata dai suoi riti e dalle sue leggi, che spesso sfuggono alla conoscenza dei più. Si tratta tuttora di un Paese avvolto dal mistero, che si fatica a decifrare, e che ha subito il dramma della divisione e del distacco, e che risente delle sue tensioni interne e delle sue contraddizioni irrisolte. Nel ripercorrere la storia di quello che può essere a buon diritto considerato come l’ultimo “regno eremita”, questo libro cerca di gettare nuova luce sul governo della dinastia Kim, spiegandone l’evoluzione e le credenze, le consuetudini sociali e i rituali del potere. Si tratta di un viaggio in una cultura distante, gelosamente custodita dai suoi creatori, e perennemente sospesa tra la necessità di guardare al futuro e la volontà di riscoprire i secoli remoti del proprio passato. Il regime di Pyongyang non è infatti solo l’ultimo totalitarismo socialista del mondo, ma è molto di più: è il governo dei leader eterni, e dell’idea di juche, dell’auto-sufficienza, e della riscoperta dell’Oriente nell’illusione di poter bastare a sé stessi, in attesa di una nuova era.