Oggi, 11 dicembre, Alain de Benoist compie settant’anni. Al filosofo francese gli auguri della redazione del magazine barbadillo.it
Signor de Benoist, un tempo le polemiche politiche sorgevano dai giornali o dalle tv. Oggi nascono da Twitter, il regno dell’immediato. E’ come se il tempo per riflettere si fosse contratto…
“Tutte le dimensioni che costituiscono la temporalità si appiattiscono sul momento presente. L’ideologia del presente rientra nel disagio spirituale dell’epoca. Twitter è solo uno tra i tanti casi. L’importanza odierna dei tweet è una sorta di assunzione metafisica della notizia breve di cronaca. Essa dà la misura del declino. Dunque non ‘twitto’ mai, non sono su Facebook, non ho smartphone, Blackberry, tablet, iPad, né iPod o altri gadget. Rifiuto perfino il telefonino: esser sempre reperibile m’è insopportabile. La disponibilità totale deriva da un ideale totalitario di ‘trasparenza’, cui vanno opposte benefiche opacità”.
Lei è tecnofobo?
“No, però m’angoscia il tecno-morfismo, che fa di noi una pròtesi del telecomando o un terminale del computer. Per nulla neutrale, la tecnica cerca di imporci la sua logica. Non siamo noi a guardare la tv, è la tv a guardarci. E così non siamo noi a usare la tecnica, è la tecnica a usarci. Quando avremo codici a barre e microchip innestati sotto pelle o quando elettronica e carne fusi insieme, lo capiremo. Nel mondo attuale non si può evitare la riflessione sulla tecnica, la cui prima legge è che ciò che diviene tecnicamente possibile sarà realizzato. Dice Heidegger: ‘Possiamo usare gli strumenti tecnici, servircene comunemente, ma simultaneamente liberarcene, mantenendone sempre le distanze. Possiamo consentire all’uso inevitabile di oggetti tecnici, ma anche impedire loro d’impadronirsi di noi e così di falsare, confondere e infine vuotare il nostro essere’. Nel rapporto con la tecnica è in gioco l’umanità dell’uomo”.
Internet è discutibile, ma permette alla gente qualsiasi di dibattere. Lei è contro la “democrazia participativa” auspicata da Ségolène Royal nelle elezioni presidenziali del 2007?
“Come ogni forma di democrazia, la democrazia partecipativa esige uno spazio pubblico dove esercitare la cittadinanza, cioè uno spazio radicalmente distinto dallo spazio privato nel quale si muove la ‘società civile’. Internet dà fonti d’informazione alternative, ma soprattutto serve alla sorveglianza totale. Rispetto alle esigenze democratiche, è solo un simulacro. Jean Baudrillard lo diceva già vent’anni fa: viviamo nel tempo dei simulacri. I turisti che visitano la grotta di Lascaux ne visitano solo una copia. In questo momento un teatro parigino propone un opera ‘virtuale’, dove protagonista è solo un ologramma. Le stampanti in 3D possono ormai replicare opere d’arte indistinguibili dall’originale, rilievi inclusi. Domani produrranno organi umani. Nel 1935 Walter Benjamin scrisse L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (tr. it., Einaudi, NdT). Ebbene, noi siamo già oltre, perché la replica va molto oltre la copia. Essa anzi abolisce il concetto di copia. Il virtuale è la categoria immateriale dove ci fa vivere il mondo degli schermi. Non dipende dal reale, né dall’irreale, né dal surreale: dipende dall’iper-reale, che pian piano, inavvertitamente rimpiazza la realtà. Si profila l’universo di Matrix”.
Su Eléments, la sua rivista che ora ha quarant’anni, lei osserva spesso che il legame sociale scompare. Ma non lo ricuciono proprio i social network?
“Di sociale essi hanno solo il nome. Offrono solo un simulacro di socialità. Con Facebook ci si fanno ‘amici’ che mai si vedranno, si visitano paesi dove mai si andrà. Si chiacchiera, ci si sfoga, ci si racconta, si inonda la terra intera di frasi insignificanti, cioè si pone la tecnica al servizio dell’immaturità narcisistica. La dissoluzione sociale deriva dalla solitudine, dall’anonimato di massa, dalla scomparsa dei rapporti sociali organici. Perché ci si incontra sempre meno. La vera socievolezza esige l’esperienza diretta, che il mondo degli schermi tende a abolire. Sola utilità di Facebook è dare alle polizia più notizie su noi stessi di quanti ne avrebbe avute un regime totalitario di ieri. Liberi gli ingenui di contribuire a rafforzare le procedure di controllo di cui si lamentano!”.
@barbadilloit