L’Europa deve cambiare: è questa l’aspettativa autentica che ci sta di fronte, in vista del prossimo appuntamento elettorale dell’ 8-9 giugno, consapevoli che, nella prospettiva di una più matura integrazione continentale, evidentemente non sia possibile continuare a muoversi con le modalità fino ad oggi seguite, avendo gli identici obiettivi ed interlocutori di ieri. C’è bisogno di discontinuità, il che non necessariamente vuole dire passare attraverso la rottura dei vincoli europei.
Tra l’Euroconformismo della finanza e della burocrazia ed un Euroscetticismo semplificatorio, spesso “gridato”, che si manifesta nella latitanza rispetto agli appuntamenti elettorali e nella lontananza dell’opinione pubblica dalle grandi questioni della politica continentale, c’è bisogno di trovare una nuova linea di marcia.
Dove cercarla? Intanto nella necessità di ricostruire la concreta consapevolezza di un’Europa impegnata sui temi forti dell’economia e della socialità, sui crinali della sicurezza e della politica estera. Un’ Europa che voglia assumersi finalmente le proprie responsabilità rispetto ai suoi cittadini e dunque sappia ad essi trasmettere certezze e speranze autentiche. Un’Europa che voglia essere Madre più che – come oggi – matrigna. Disciplinatrice più che vessatoria. Capace di suscitare aspettative piuttosto che essere sterilmente burocratica.
Questa Europa, un’altra Europa, è possibile ? Non è facile essere ottimisti. Bisogna però cominciare a pensarci, forti anche della consapevolezza rispetto ad una Cultura che sentiamo nostra, ma che evidentemente non può esaurirsi nella mera contemplazione della memoria. Va piuttosto promossa e condivisa. Va portata nelle scuole e trasformata in messaggio formativo-collettivo. Va resa attuale. Va trasformata in idee-forza.
All’ Europa olimpica e dorica, all’Europa di templi e di dei, romana ed imperiale, audace e guerriera, cervello socratico e cuore cristiano – come scrisse un grande europeista spagnolo (Salvador de Madariaga) , all’ Europa d’incunaboli e di immaginazioni futuriste, è urgente collegare organicamente l’ Europa del lavoro e del diritto, della produzione e della scienza, capace di farsi ancora esempio di civiltà, particolarmente oggi, in questi tempi di disperazioni globali, finalmente consapevoli che un’Europa, cosciente del proprio ruolo, avrebbe potuto essere diversa, se avesse pensato meno o non solo ad essere strumento burocratico, orizzonte codificato entro cui fare morire d’inedia i suoi cittadini. Avrebbe potuto e dovuto avere un ruolo geopolitico e mediterraneo. Avrebbe potuto e dovuto essere un’aspettativa reale. Purtroppo non è stato così. Ma quell’Europa rimane e non solo nei suoi monumenti e nella sua Storia. A partire anche dal terreno strettamente economico, delle risorse e degli investimenti, che rappresentano un orizzonte più immediato rispetto ai richiami metapolitici del passato, ma proprio per questo fanno presagire modalità d’intervento che possono essere ben declinate, con ambizioni e progetti di più ampia prospettiva continentale.
Tra la stretta ortodossia europeista, spesso così lontana dalle sensibilità dei popoli europei, e l’euroscetticismo, che certamente non ci appartiene, una “terza via” c’è. Ed è quella che si muove, a partire dai territori, per “rappresentare” e tutelare, il mondo del lavoro e della produzione, i processi di modernizzazione (dalla formazione agli investimenti, dalle infrastrutture alla difesa delle imprese “strategiche”). Tutto questo partendo anche dalla specificità delle nostre produzioni, che – non a caso – si intrecciano con le storie, la qualità, la memoria del nostro essere italiani nel tempo europeo.
In tutto ciò è francamente difficile – a patto di non essere mossi da interessi preconcetti – vedere rischi per i processi d’integrazione europea, che di un nuovo slancio, di nuove visioni hanno piuttosto bisogno, pena una preoccupante perdita di credibilità e di funzioni. Vale per il Pnrr, ma anche in altri ambiti. Un’Europa diversa è possibile. Basta crederci ed impegnarsi di conseguenza. Senza dare nulla per scontato. Consapevoli che per “fare l’avvenire” dell’Europa, per fare veramente l’Europa, c’è allora bisogno di portare a sintesi le tante, sparse aspirazioni e necessità presenti sul nostro continente, guardando avanti, per rimettere in carreggiata l’Europa stessa , oggi percorsa da crisi d’identità e di ruolo.
A chi si riconosce nell’Europa della memoria e del futuro di individuare i nuovi percorsi dell’integrazione continentale ed i contorni di un progetto originale di cultura, di politica, di civiltà in grado di essere compreso e condiviso da tutti gli europei. Importante è mantenere alta la guardia. Discuterne. Soprattutto crederci. Andando oltre le piccole frustrazioni della quotidianità, oltre le stanchezze per crisi che sembrano senza soluzione, oltre la mancanza di consapevolezza non solo rispetto ad una Storia ma al domani.
Su questi crinali c’è uno spazio enorme per una cultura non-conforme che voglia impegnarsi a riannodare gli sfilacciati brandelli di una memoria-identità continentale con le sfide dell’avvenire. Senza velleitarismi. Con chiarezza d’intenti. In fondo le elezioni passano, ma le idee, le aspettative autentiche, le grandi visioni di restano. Lì si gioca la partita del nostro avvenire continentale.