Il Napoli è abbonato alle stagioni in chiaro scuro post scudetto. Dopo il primo, conquistato nell’annata 1986/87, gli azzurri sfiorarono il secondo consecutivo perdendolo contro il Milan al San Paolo, coi rossoneri vittoriosi in rimonta per 3-2. Sono quasi quarant’anni che si parla di calcioscommesse e totonero per giustificare quel tonfo. Dopo il secondo, conquistato nell’annata 1989/90, alla vigilia del mondiale di casa, il Napoli si disfece come neve al sole, registrò la fuga notturna di Maradona, inseguito da un’indagine per evasione fiscale innescata da alcuni sindacalisti della Cgil e finì il campionato fuori da tutto. Unica soddisfazione fu la consacrazione del talento di Gianfranco Zola. Dal 1991 iniziò il cammino che portò al ridimensionamento prima e al fallimento poi, un decennio in cui emerse solo la figura eroica e tragica di Giuseppe Taglialatela, una storia di futbol colpevolmente snobbata persino dalle miriadi di paginette social pronte a declamare le lodi di qualunque stopper di ogni squadra che fu. Fu un decennio terribile, quello, da cui il Napoli risorse come fenice cinematografara griffata Adl.
Ecco, Adl. Tre lettere, un acronimo, che ci risparmia la fatica di scrivere per intero il nome lunghissimo di Aurelio de Laurentiis. L’unico che manca all’ottima disanima del nostro amico e maestro Gennaro Malgieri sul flop napolista di quest’anno. Certo, i calciatori erano satolli di gloria. Sicuro, il pubblico – scottato dall’aver contestato l’estate prima una squadra che raggiungerà il terzo scudetto a distanza di 33 anni dall’ultimo – s’è ben guardato di parlare e di prestare attenzione ai segni che, dice il Saggio, sono per chi sa intenderli. Ma il fallimento azzurro ha il faccione barbuto dell’uomo che non deve chiedere mai. Del suo stesso presidente. Che è passato, in un attimo, da navigato uomo di mondo, raffinato tessitore di sogni, intelligente mercante di metafore e illusioni a indossare la maschera truce e parvenu del suocero interpretato dal mitico Carlo Croccolo (già spalla e “voce” di Totò, vedi a volte il caso) che attendeva, armato di fucile, Aldo e Giovanni per portare Giacomo all’altare con Luciana Littizzetto.
De Laurentiis, che ci ha messo i soldi, non poteva accettare che festeggiassero tutti. Che ognuno si portasse un pezzo di merito. Che fosse ammirato Luciano Spalletti, che venisse elogiato Cristiano Giuntoli. E lui, che per anni s’è inteso chiamare e bollare in mille sapidi vezzeggiativi cattivi, poco e niente. Ha preteso di far da sé. Scegliendo la via dei luoghi comuni. Squadra che vince non si cambia, allenatori e dirigenti contano quanto il due di briscola. Ha confermato quella scudettata e ha comprato qualche nuovo a poco prezzo, il nuovo ds l’ha pescato chissà dove e gli ha dato pochissimi margini d’azione mentre in panca ha reclutato il signor Rudi Garcia. Che, con tutto il rispetto, era fuori dalla grazia di Dio. Certo, ripiegare su Walterone Mazzarri, ormai più un meme che uomo di campo (absit iniuria verbis) e poi Francesco Calzona, preso part-time condiviso con la Slovacchia, ha fatto il resto. Gli scudetti li vincono (anche) gli allenatori e (anche) i dirigenti. Peseranno poco eh. Ma pure l’Udeur del conclamato cuore azzurro Clemente Mastella con poco più del 3 per cento disegnò il destino del Paese.
Osimhen e compagni avevano capito che, più di quello scudetto, a Napoli, non potevano conquistare. E si sono seduti sugli allori. I calciatori, sempre loro i cattivoni, sanno quello che noialtri non ci diciamo per pudore. Guardate, il calcio italiano non è più quello degli anni ’80 e nemmeno dei ’90. La Serie A, checché ne dica la Uefa, è un trampolino di lancio più solido della Ligue 1 per la Premier. Né più, né meno. E se, trent’anni fa, avevano ragione a brigare, a scappare, a fuggire pur di venire in Italia a giocare, e che importa se fosse stato per una neopromossa (la Reggiana teneva Paulo Futre, per dire: come se oggi il Frosinone avesse ingaggiato Vinicius), altrettanta ne hanno oggi a sognare di arricchirsi oltremanica. È il calcio come lo hanno voluto, prima i presidenti, prima gli Adl. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Napoli è abbonata alle sconfitte post-scudetto. Non è una novità. Certo, un tonfo come quest’anno era fuori da ogni immaginazione, restare fuori dalle Coppe Europee quando l’ingresso è stato magnanimamente allungato fino ad abbondante metà classifica, è stata a suo modo un’impresa. Eppure bisogna prendere le cose per quelle che sono. È pur sempre calcio. Nemmeno da stropicciarsi gli occhi. Impoverito, incattivito, senza più sogni che vadano oltre l’orizzonte. La metafora di un Paese a cui è rimasto solo il revanscismo della carbonara.
Beh…lo scudetto lo ha vinto senza avere avversari…
Negare tale realtà significa ingigantire un successo che c’è stato certo, ma proprio perché non c’erano avversari.
Certo che il calcio è strano e fa di questi scherzi, ma una volta ogni tanto per fortuna
Basti pensare alla Nazionale ed agli ultimi tre tornei vinti:
– mondiali 1982 e 2006 vinti solo di fortuna….
– europeo 2021 vinto strameritatamente con un ottimo un gioco sconfiggendo peraltro in casa una Nazionale inglese in continua crescita.
Alla fine Spalletti ha fatto bene ad andare via sperando che sia conscio pure lui di come ha vinto lo Scudetto, cioe senza avere avversari.
Alla fine a De Laurentiis gli è andata bene e ringraziasse pure….ed è andato ad inguaiare anche ol Bari