Arduino Sigarini, classe 1949, nato nella perugina Cannara, centrocampista di scuola milanista, per sei stagioni Bandiera del Bari negli anni Settanta, percorre con Barbadillo i ricordi significativi della sua attività agonistica.
Sigarini, grande delusione per il Bari sconfitto in casa dal Cagliari in zona recupero, nella finale playoff per la Serie A.
“In certe partite basta un pizzico di fortuna che tutto cambia. Non posso dare un giudizio sul Bari che ho visto giocare solo due, tre volte quest’anno. Un gran peccato aver mancato per poco la A”.
Lei che ha fatto parte di un calcio che era cuore e passione, si riconosce in quello attuale?
“Più andiamo avanti e più comanda il dio denaro. L’epoca dei sentimentalismi è finita ed è chiaro che non mi riconosco in questo calcio dove comanda sempre più il dio denaro. Noi giocavamo per la città, per la squadra e sottoscrivevamo all’epoca contratti in bianco. Quanti contratti in bianco, ma forse eravamo dei fessi?”.
Come avvenne il grande balzo al Milan?
“Avevo 16 anni, giocavo in Promozione con il Foligno vincitore del campionato, quando, dopo una partita di prova per il Milan, fui rilevato dalla società rossonera.
Con le giovanili del Milan disputai il campionato Primavera ed il campionato De Martino che ci aggiudicammo nel giugno 1967 battendo a Salsomaggiore la Fiorentina per 3-1; io realizzai un goal.
Cosa ricorda di quel periodo?
“Era dura alzarsi di buon mattino e raggiungere quotidianamente la scuola a Gallarate dove frequentavo il terzo anno di perito industriale. Venivamo accompagnati da un pulmino del Milan che partiva da Milanello. Si rientrava in pulmino a Milanello e lì, nel pomeriggio, dovevamo conciliare studio ed allenamenti. Ad un certo punto dissi:
‘Basta non c’è la faccio’ e rinunciai così alla scuola. L’allenatore, Luciano Tessari, portiere con dei trascorsi nella Roma, mi disse: ‘Non vuoi continuare la scuola? Bene! Sappi che ti allenerai il pomeriggio con i tuoi compagni, al mattino, singolarmente con me’. Tessari faceva tanti chilometri al mattino per allenarmi. Comunque riuscii a conseguire il diploma”.
Un ricordo di Nereo Rocco.
“Era burbero, ma buono. Ricordo uno scherzo che mi fece. Reduci da un torneo dal quale eravamo usciti vittoriosi, rientrammo a Milanello alle ore 23,00. Rocco, che faceva notte giocando a carte con i suoi collaboratori, saputo della vittoria volle incontrarci. Mostrai a Rocco la medaglia d’oro – conservata in un piccolo contenitore – meritata in qualità di cannoniere e lui, osservatala attentamente mi disse: ‘Bravo’ e me la riconsegnò.
Quando fui in stanza ed aprii il contenitore, notai che la medaglia non c’era; se l’era trattenuta Rocco. Il mattino seguente, alla buonora, raggiunsi il mister – la squadra maggiore era in partenza per una trasferta internazionale – dicendogli: ‘Signor Rocco, mi può far vedere la medaglia, visto che non ancora avuto il piacere di guardarla?’.
Rocco me la restituì. Volendo dare una mano alla Triestina cui era tanto legato, nel 1968 Rocco spedì a Trieste me, Giacomini e Paina”.
Come andò in C, a Trieste nel 1968-70 ed a Trento nel 1970-72?
“A Trieste ero un ragazzino acerbo, privo di esperienza ed il pubblico cominciò a mugugnare. A Trento andò meglio non solo per l’esperienza che avevo cominciato ad acquisire, ma anche per la presenza di un ottimo allenatore, Giorgio Bozzato”.
Nel 1972 vi fu il trasferimento in B, al Bari.
“Qualche osservatore mi segnalò all’allenatore, Carlo Regalia, molto bravo nello scoprire i giovani talenti”.
L’impatto con la città?
“Fu per me una sorpresa in quanto non ero mai stato in una città così grande come Bari. Mi trovai benissimo fin dall’inizio, fui ben voluto dalla tifoseria che apprezzò il mio impegno”.
In quale zona abitava?
“Come i miei colleghi, presi casa in fitto a Santo Spirito, alle porte della città”.
Non pagava la società il fitto?
“Macché, pagavamo tutto noi, non eravamo così furbi come i calciatori di oggi”.
Un ricordo di Regalia, allenatore del Bari.
“Era bravo con noi ragazzi, ma esigente. Aveva scelto noi, sette, otto ragazzi infondendo tanto entusiasmo. Partimmo per vincere il campionato, mancò l’esperienza necessaria per raggiungere la A”.
E dei derby pugliesi?
“Nel mio primo anno in biancorosso ricordo un Bari-Taranto al Della Vittoria vinto da noi per 3-2.
Il 10 dicembre 1972.
“Incontrai da avversario il centravanti Angelo Paina che aveva giocato con me a Trieste. Quel giorno Paina si sgolava ripetutamente con i suoi compagni di squadra:
‘Attenzione a Sigarini che ci fa goal’. Feci goal con un tiro all’incrocio dei pali e Paina si arrabbiò duramente con i suoi: ‘Ve l’avevo detto di tenere d’occhio Sigarini’”.
La stagione in B, 1973-74, non partì bene ed alla 13^ giornata Regalia venne sostituito dal suo vice, Luciano Pirazzini. Quali differenze fra i due?
“Pirazzini era un papà per tutti noi, Regalia era più esigente. Erano comunque due ottimi allenatori”.
Ricordiamo il 3 febbraio 1974: Bari-Atalanta. Un rigore non accordato al Bari dall’arbitro Martinelli provocò un’invasione di campo subito dopo il vantaggio dell’Atalanta. Squalifica del campo e 2-0 a tavolino.
“Più che il rigore non accordato, fu l’atteggiamento di sfida dell’arbitro nei confronti dei tifosi a provocare l’invasione di campo. Il direttore di gara si portò verso il corner della gradinata, dirimpetto alla tribuna, in senso di sfida come a voler motivare il suo diniego al rigore. I tifosi, divelte le porte dei bagni, le utilizzarono come ponte fra la gradinata ed il campo per invadere il terreno di gioco. Ci fu un fuggi fuggi generale verso gli spogliatoi. Io ed un mio compagno di squadra avemmo l’accortezza di proteggere l’arbitro scortandolo fino agli spogliatoi. Il direttore di gara tremava di paura”.
Perché il Bari retrocesse in C?
“Ceduti i pilastri della squadra, Dalle Vedove e Butti, furono acquistati soprattutto giovani calciatori, buoni, provenienti dalle serie inferiori, ma privi di esperienza”.
Serie C 1974-75: il Bari guidato da Pirazzini era pronto per risalire in B?
“All’epoca era durissimo conquistare la B in quanto la Serie C era suddivisa in tre gironi, settentrionale, centrale, meridionale, ed in B veniva promossa la prima classificata di ciascuno dei citati gironi”.
Altri ricordi?
“Un Benevento-Bari passato tragicamente alla storia”.
Il 4 maggio 1975.
“Una partita seguita in trasferta da molti tifosi biancorossi, che ebbe risvolti drammatici. Il Bari si portò in vantaggio nel primo tempo con un mio goal. Nel secondo tempo il Benevento pareggiò e si scatenò la fine del mondo. Venimmo scortati dalle Forze dell’Ordine fino ad Avellino dove restammo per l’intera nottata. Ripartimmo il giorno dopo per Bari”.
Partita ripetuta l’11 giugno, vinta dal Bari 2-1. Catania in B con un punto di vantaggio sul Bari.
“Il Bari disputò un ottimo campionato, ma non ebbe quella dose di fortuna necessaria per risalire in B”.
1975-76, il Bari ripartì con Pirazzini che alla 9^ giornata venne sostituito da Giovanni Seghedoni.
“Rimanemmo sgomenti e meravigliati da quella decisione, anche perché ce la stavamo cavando non male. Sgomenti, perché Pirazzini era stato per noi tutti un buon padre, ben voluto anche dalla tifoseria”.
Che tipo era Seghedoni?
“Con Seghedoni le cose non andarono meglio. Rispetto a Pirazzini era più duro, più esigente e ci riempiva la testa di tattiche, di sovrapposizioni, insomma di tutto quanto c’era di complicato”.
Seghedoni venne sostituito da Giuseppe Pozzo.
“Per quanto avesse un passato di tutto rispetto, Seghedoni era malvoluto dalla squadra e non entrò mai nel tessuto della stessa”.
Lecce di Renna promosso in B a spese del Benevento, sconfitto a Bari 3-0, il 23 maggio 1976.
“In quella partita realizzai il terzo goal ad una decina di minuti dalla fine. Fu un campionato deludente e ci dispiacque soprattutto per i tifosi che dovettero subire un’altra delusione”.
Campionato 1976-77: promozione in B con Giacomo Losi alla guida del Bari.
“Losi, persona splendida ed affabile, metteva ognuno di noi a proprio agio. Se un giocatore aveva qualche problema, faceva di tutto per risolverlo. Era benvoluto da tutta la squadra. Fu una cavalcata molto dura visto che la coriacea Paganese non mollava”.
Vi furono delle sorprese?
“In quell’annata ci imbattemmo nella neo promossa Alcamo. Nella partita di andata disputata a Bari” …
… Il 16 gennaio 1977.
“Perdemmo in casa per 1-0. Il presidente De Palo, che generalmente era una persona tranquilla, venne negli spogliatoi arrabbiato, dicendocene di tutti i colori: ‘Non è possibile perdere così’. L’Alcamo fu la nostra bestia nera in quanto vinse tutte e due le partite contro di noi”.
Serie B 1977-78: con Losi confermato, giunse la morte del presidente De Palo.
“Eravamo in ritiro a Poggio Bustone, ed il presidente era con noi quando il 2 agosto venne colto da malore. Fu ricoverato, ma dopo una settimana morì. Eravamo molto legati al presidente De Palo”.
Neo presidente divenne Antonio Matarrese. Un confronto fra le due presidenze.
“Quando Matarrese si presentò alla squadra, in qualità di capitano gli donai un gagliardetto del Bari. Si vedeva che non aveva mai visto una partita di calcio. I Matarrese erano dei manager, degli industriali e, pertanto, fu quella una presidenza manageriale. Quella di De Palo fu una presidenza famigliare”.
Gennaio 1978: Bari sconfitto 2-1 a Modena, Losi sostituito da Santececca. Perché?
“Losi non consentiva intromissioni nelle sue scelte tecniche. Ciò creò dei dissapori con il direttore sportivo, Regalia. Ma ci fu un altro esonero: quello di Sigarini”.
Cosa accadde?
“Mi giunse voce che, qualche mio collega andato via da Bari aveva riferito a Castellani, alto dirigente dell’Empoli, alcune mie critiche rivolte a Regalia, cosa non vera. Regalia lo venne a sapere e fui estromesso dalla squadra. Quando il Bari giocava in casa mi fu imposto di giungere prima di tutti allo stadio, alle ore 13,00, per cominciare in anticipo la seduta di allenamento. Dopo la seduta dovevo raggiungere lo spogliatoio per fare la doccia ed accomodarmi in tribuna per assistere alla partita. Feci tutto ciò ma, alla fine, non sopportando tale umiliazione, ultimata la doccia tornavo a casa amareggiato. Un giorno andai in sede ed invitai Regalia a contattare l’Empoli in modo da colloquiare telefonicamente, in mia presenza, con Castellani. Per due volte fu tentato l’approccio, ma il telefono squillò inutilmente. All’epoca non esistevano i cellulari, e quelli furono gli unici due tentativi per risolvere una questione mai chiarita. È stato quello un episodio che non ho mai dimenticato, che me lo sono legato al dito, anche perché interruppe il mio rapporto con il Bari. Venni ceduto al Benevento, in C, dove restai per due stagioni”.
Qual è stato il periodo di Bari che ricorda con piacere?
“Il professor De Palo era ginecologo e mio figlio nacque a Bari nella sua clinica. Certamente l’anno della promozione in B, ma anche il primo anno, 1972-73 quando, giocando da centrocampista a tutto campo, realizzai sei goal il più bello dei quali nel derby casalingo contro il Taranto”.
Quando ebbe la certezza che non avrebbe giocato in A?
“Giocavo a Bari. Una mattina, l’allenatore Pirazzini, durante l’allenamento mi prese da parte dicendo: ‘L’hai presa in quel posto. Ti voleva il Verona in cambio di Mazzanti, ma Mazzanti non è voluto venire a Bari’. Risposi: ‘La ringrazio Pirazzini, mi ha dato proprio una bella notizia’”.
Lei ha concluso l’attività agonistica nelle Marche. Perché a soli 34 anni?
“Cominciavano i primi acciacchi e, sinceramente, non ne potevo più. Mi sono dedicato successivamente ad allenare alcune squadre minori”.
Il migliore allenatore?
“Giacomino Losi”.
Il suo maestro?
“L’allenatore Tessari, di cui ho fatto cenno prima. È stato lui a farmi diventare un vero calciatore”.