Pubblichiamo la seconda parte della analisi di Gianni Marocco sullo scontro bellico in atto nell’Est Europa- Qui il primo articolo
L’ex Segretario di Stato Usa, il quasi centenario Henry Kissinger, in un’intervista con lo storico britannico Niall Ferguson, pubblicata dal quotidiano spagnolo El Mundo, dichiarava il 26 marzo ’23:
“Una seconda Guerra Fredda tra USA e Cina, potrebbe essere più pericolosa della prima. Due Paesi in grado di dominare il mondo si affrontano come ultimi contendenti, governati da sistemi interni incompatibili. Una guerra tra Washington e Pechino potrebbe rovesciare la civiltà, se non addirittura distruggerla: entrambe ora hanno risorse finanziarie comparabili e le tecnologie di distruzione sono ancora più terrificanti, soprattutto con l’avvento dell’intelligenza artificiale”
Kissinger, ammiratore dell’equilibrio nella visione di Klemens von Metternich, dopo l’epoca napoleonica, ritiene che “aspettare che la Cina si occidentalizzi” non sia più una strategia plausibile:
“Il presidente russo ha una visione della Russia come una sorta di entità mistica che è stata tenuta insieme attraverso 11 fusi orari da una sorta di sforzo spirituale. Ed in questa visione l’Ucraina ha svolto un ruolo speciale. Il presidente ucraino Zelenski ha svolto una missione storica. Proviene da un background che non è mai emerso nella leadership ucraina in nessun periodo della storia. È stato un presidente accidentale a causa della frustrazione per la politica. E poi si è trovato di fronte al tentativo della Russia di riportare l’Ucraina in una posizione di dipendenza. Ed ha radunato il suo Paese e l’opinione mondiale dietro di sé. Questa è la sua grande conquista. La Nato deve ora porsi la domanda di come mettere fine alla guerra. Alla fine bisognerà trovare un posto per l’Ucraina ed un posto per la Russia, se non vogliamo che la Russia diventi un avamposto della Cina in Europa”.
Il 3 aprile, sulle colonne di questo Magazine, Roberto Zavaglia pubblicava ‘Occidente isolato al tempo del multipolarismo che avanza’. Che cosa c’è dientro il riavvicinamento tra l’Arabia Saudita, la Siria, l’Iran? Colpisce, notava, che:
“a tessere la trama diplomatica siano state la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, mentre gli Stati Uniti non hanno toccato palla in una regione che li ha sempre visti protagonisti. Non sorprende più di tanto che Iran e Siria si siano affidati a potenze estranee all’Occidente, mentre è rimarchevole che lo abbia fatto l’Arabia Saudita che degli Usa è stata alleato fedelissimo. Ciò dimostra che, in alcune aree del pianeta, la condizione di vassallaggio nei confronti di Washington sta tramontando”. (https://www.barbadillo.it/108755-focus-occidente-isolato-al-tempo-del-multipolarismo)
Il successivo 5.4 l’Adnkronos dà spazio alla riflessione di Putin: “Rapporti con Usa in crisi profonda. Con Ue relazioni notevolmente peggiorate. La crisi odierna è stata determinata dalla volontà degli USA di sostenere le ‘rivoluzioni colorate’ come parte della loro politica estera, anche in Ucraina. L’Ingresso della Finlandia nella NATO è una nuova minaccia per la Russia, un evento che non contribuisce a rafforzare la stabilità e la sicurezza nel continente europeo”. Il 7.4 il Ministro degli Esteri russo Lavrov, da Ankara, dichiara a sua volta, dopo l’incontro con il collega turco Mevlut Cavusoglu, che “La guerra finisca al più presto possibile con negoziati. Una pace in Ucraina dovrà basarsi su un ‘Nuovo Ordine Mondiale’, dove non vi sarà un’unica potenza egemone”.
L’8 aprile l’Andkronos riferisce che per il ‘nuovo’ presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, l’Ucraina non può ottenere tutto ciò che vuole dalla guerra iniziata dalla Russia: “Zelenski deve rendersene conto. Anche se alla Russia non rimarranno tutti i territori conquistati in Ucraina è probabile che Mosca manterrà comunque il controllo della Crimea”. Zelenski ‘risponde’ a Lula, secondo quanto riferisce Ukrinform, in occasione della chiusura del Ramadan a Kiev, che “La liberazione della Crimea dagli invasori russi è inevitabile”. Con l’occupazione della Crimea, con la repressione contro i tatari e contro i musulmani in Crimea:
“è iniziato il tentativo della Russia di schiavizzare l’Ucraina e altri popoli dell’Europa civile. Sulla terra di Crimea sotto il tricolore russo ora regna il male, l’umiliazione, la repressione, l’omicidio, la guerra. Ma dove è iniziata la via del male, è lì, ne sono certo, che ci aspetta la vittoria, la vittoria su questo male. Proprio come rispettiamo l’integrità territoriale di tutti gli Stati, dall’Europa all’America Latina, giustamente ci aspettiamo il rispetto per l’integrità territoriale del nostro Stato in tutta l’Ucraina, dalla Polonia alla costa del Mar Nero e del Mar d’Azov, dalle città settentrionali a Sebastopoli e Kerch”. (https://www.adnkronos.com/ucraina-zelensky-risponde-a-lula)
Dialogo tra sordi, al solito. Roberto Dolci, dalle colonne di Zafferano, c’informa l’8 aprile con un suggestivo ‘Generale, dietro la collina’:
“Mark Milley, il generale più alto in grado nelle forze armate americane, ci ha aggiornato sullo stato della campagna russa: per quest’anno non c’è modo di far uscire i russi dall’Ucraina, a meno che loro stessi non vogliano andarsene. È partito dalle notizie migliori, dal fatto che i russi stanno morendo come mosche per prendere Bakhmut, e che gli ucraini si dimostrano bravissimi e meglio preparati. Poi è passato al terreno di mezzo: dobbiamo continuare a mandare armamenti, sempre più sofisticati e sempre a più lunga gittata, in modo da far arretrare le truppe russe dal confine. Allora possiamo respingere l’invasore, ricacciarlo a casa sua? Eh no, ad oggi stimiamo 150 mila morti ucraini, almeno 220 mila russi, e circa tre volte tanto i feriti, a vario stadio di recupero. Ad oggi l’Ucraina conta circa 30 milioni di abitanti, contro i 145 della Russia, per cui se dovessero dar fondo ai poveracci, ossia mandarli tutti al fronte a spararsi, la Russia vincerebbe. La speranza è che Milley riesca a convincere il capo: imporre subito il cessate il fuoco e sedersi al tavolo dei negoziati è molto meglio dell’alternativa. Biden, volendo, lo può fare”.
(https://zafferano.news/rubrica/notizie-dagli-usa/z200-generale-dietro-la-collina?uid=8453&aid=1836&ch)
Il 9 aprile sul Corriere della Sera si riaffaccia il venerando ambasciatore e storico Sergio Romano, distillando la saggezza del conservatore realista, che sposa il punto di vista di Putin sulla NATO e boccia l’eventuale allargamento all’Ucraina:
“Il Patto Atlantico fu creato quando la patria del comunismo disponeva ancora di una ‘quinta colonna’ (i partiti comunisti di molti Paesi dell’Europa occidentale) e quando l’esistenza di una istituzione militare in Occidente avrebbe persuaso Mosca a muoversi con prudenza. Il risultato è stato raggiunto e la NATO ha perduto ormai la sua originale funzione. Non credo che il suo allargamento ad altri Paesi dell’Europa Orientale gioverebbe alla pace del continente”.
Domenico Quirico per “La Stampa” dell’11 aprile scriveva sul viaggio di Macron a Pechino:
“I francesi lo chiamano collage, ovvero il combinarsi di attaccamento e disamore. Il collage disegnato dal presidente francese al termine della visita in Cina è fissato in due parole ‘autonomia strategica’ nei confronti degli Stati Uniti. Si sente l’eco di antichi accenti gaullisti o chirachiani, della II guerra d’Iraq, quando la Francia rifiutò di allinearsi alla guerra di Bush. E riecco la vecchia Francia. Per Macron il troppo americanismo può immiserire. Gli USA sono gli unici alleati possibili, visto che sono parte della storia dell’Occidente. Ma talora sbagliano, quando la combinazione di idealismo e di potenza diventa una maschera dell’istinto di controllo del mondo. Macron domanda da Pechino all’Europa che ruolo vuole svolgere nel nuovo disordine mondiale. Questo è il problema: Il mondo si sta riorganizzando e ognuno cerca il suo posto. Consapevoli della propria debolezza gli Stati Uniti accelerano nello stringere i bulloni, militari, economici e culturali. L’Eurasia è di nuovo al centro della grande scacchiera”.
L’USA informal Colony britannica esclusa, ovviamente. Riorganizzazione che è la logica conseguenza del delitto perfetto/crimine commesso da Putin il 24 febbraio ’22. Washington non aveva bisogno dell’Ucraina, aveva nella NATO gli altri Stati confinanti l’ex-URSS. Ma ha voluto stravincere: follia, cinismo di chi può perdere molto (anche in un conflitto per procura) per aggiudicarsi una mano da 4 bajocchi bucati. E noi con loro. L’analista geopolitico Emanuel Pietrobon ha pubblicato il 18 aprile ‘È iniziata la Battaglia dell’Atlantico: ora si muovono le super potenze’:
“Il centro gravitazionale della competizione tra grandi potenze si sta allargando dall’Asia-Pacifico all’Emisfero occidentale, ovvero le Americhe, dove l’asse Mosca-Pechino sembra intenzionato a sfidare l’egemonia di Washington. Nella consapevolezza del fatto che la sostenibilità dell’egemonia globale degli Stati Uniti sia legata all’esistenza della ‘Dottrina Monroe’, ed in risposta all’aggravamento della competizione tra grandi potenze in Eurasia, Russia e Cina hanno deciso di avviare uno scontro a lungo in fermento: la Battaglia dell’Atlantico. La fine della fase della stabilità strategica e della competizione concordata per la costruzione di un ordine post-americano. È questo il contesto in cui va letto e inquadrato il grand tour latinoamericano di Sergej Lavrov, l’architetto della politica estera di Putin dal lontano 2004. È iniziato a Brasilia, la capitale della prima potenza del subcontinente. La Russia vuole massimizzare il profitto derivante dal ritorno al potere di un vecchio amico, Luiz Inácio Lula da Silva, al quale deve la nascita del formato BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), il fallimento dell’ALCA e, più di recente, lo schieramento velatamente filorusso di gran parte dell’Iberoamerica nella guerra in Ucraina”.
Accolto col tappeto rosso, letteralmente, Lavrov è stato inviato in Brasile di ritorno da un viaggio che l’ha portato pure a Pechino ed Abu Dhabi:
“Posti centrali nell’agenda di Lavrov la guerra in Ucraina, la dedollarizzazione negli scambi paese-paese e internazionali, il potenziamento dei BRICS, oltre a commercio e investimenti, scienza e tecnologia, ambiente, energia, difesa, cultura ed educazione. Lavrov è in Brasile perché Lula è un tenace sostenitore della dedollarizzazione, nonché un appartenente alla scuola del sempreverde bolivarismo. La Russia sta cercando di spianare la strada al ritorno del Venezuela nel club latinoamericano e confida nel supporto del Brasile, per assestare un duro colpo alla strategia della massima pressione degli Stati Uniti nei confronti della cosiddetta ‘Troika della tirannia’, ovvero il triangolo Caracas-L’Avana-Managua; risultando l’equivalente della normalizzazione tra Siria e Lega Araba. Lula potrebbe essere pronto a benedire il ritorno della Venezuela nella famiglia. I tre Paesi hanno supportato la narrazione russa degli eventi bellici in Ucraina e costituiscono il nocciolo duro dell’antiamericanismo della regione. Questo è il ventre molle dell’America. I tre Paesi abbisognano di ossigeno, sotto forma di investimenti, cooperazione allo sviluppo ed aiuti umanitari che Mosca ha ed è disposta a dare. Lavrov è in Latinoamerica per catalizzare il processo di dedollarizzazione, propedeutico al rafforzamento del rublo e per stuzzicare le fantasie di rivolta all’egemonia americana, che imperversano da Città del Messico a Buenos Aires. E perciò la pubblicazione di un lungo articolo sulle relazioni Russia-Latinoamerica, scritto da Lavrov in persona, alla vigilia del primo grand tour della diplomazia russa dalla formulazione del nuovo concetto di politica estera. L’aspettativa è di accendere un interesse collettivo nella Russia, presentata agli occhi dei politici e delle masse come una forza liberatrice”.
(https://it.insideover.com/politica/lavrov-in-america-latina-sul-tavolo-l-ucraina-e-il-futuro-del-mondo.html)
Di ‘fantasie di rivolta all’egemonia americana’ personalmente non ne vedo molte. Ma forse a Washington, ossesionata con Taiwan, qualcuno si starà mangiando le mani, ripensando alla tesi degli USA in questi ultimi decenni: ‘Importa poco quanto politicamente succede a sud di Tegucigalpa’!
Sylvie Kauffmann, editorialista di Le Monde, ha scritto ‘La Cina cerca di riunire i pezzi di un mondo frammentato per contrastare il blocco occidentale’, sulle nuove dinamiche in atto dopo la guerra in Ucraina, in un articolo ripreso da Dagospia il 19 aprile:
“In tre anni, scosso dagli effetti della pandemia e poi dalla guerra russa in Ucraina, il mondo è cambiato; i percorsi diplomatici degli ultimi mesi illustrano le nuove dinamiche. Una di queste tendenze è la frammentazione del mondo. L’attivismo di Lula è un buon esempio: vuole dimostrare che ‘il Brasile è tornato’. Sta viaggiando molto, facendo tappa negli Emirati Arabi Uniti di ritorno da Pechino, sarà in Portogallo il 25 aprile, andrà a Londra per l’incoronazione di Carlo III e poi al vertice del G7 in Giappone. Vuole rilanciare il gruppo BRICS, propone di creare un ‘G20 per la pace’ e si propone come mediatore per la guerra in Ucraina. Lula ha sacrificato la tradizione recandosi a Washington poco dopo il suo insediamento, ma per una visita accelerata, a differenza del suo viaggio in Cina. Se non è andato a Mosca, ha inviato il suo consigliere diplomatico, Celso Amorim, che ha visto Putin. Un’altra dinamica in atto è il ritiro degli USA, che si concentrano sull’Europa, a causa della guerra in Ucraina, e soprattutto sulla Cina, la loro priorità. Come la natura, il potere aborre il vuoto; la Cina, in ascesa, è ben felice di riempirlo. In Medio Oriente, ad esempio. Dopo il successo della mediazione di Pechino per un riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, il ministro degli Esteri Qin Gang offre i suoi buoni uffici nel conflitto israelo-palestinese. Grazie, ma ‘difficile nel breve termine’, ha risposto il suo collega israeliano, Eli Cohen. La guerra in Ucraina sta accelerando la trasformazione del mondo. Per tenere a bada la Cina, l’India sta giocando la sua partita, partecipando all’alleanza QUAD con Australia, Giappone e Stati Uniti senza abbandonare i BRICS. Di fronte alle sanzioni occidentali che limitano il commercio in dollari con la Russia, l’idea dello yuan cinese come alternativa è stata rilanciata da Lula, dal malese Anwar Ibrahim e dal Bangladesh, che ha deciso di pagare in yuan una tranche del prestito concesso da Mosca per una centrale nucleare. Sullo sfondo del blocco occidentale sta prendendo forma un altro asse che cerca di unire i pezzi del mondo frammentato. Intorno alla Cina e contro l’asse occidentale”.
(https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/quot-cina-cerca-riunire-pezzi-mondo-frammentato)
Il 22 aprile i media riportano l’affermazione del Segretario Generale della NATO, Stoltenberg: “Tutti gli alleati dicono sì a Kiev”; La Nato apre all’Ucraina. Il vertice di Ramstein, nella base americana in Germania, consolida ulteriormente il legame tra l’Alleanza e Kiev dopo il viaggio del segretario generale Stoltenberg dal presidente Zelensky, invitato al vertice che si terrà i prossimi 11 e 12 luglio a Vilnius, in Lituania. Per Mosca: “Parole pericolose, possono portare al collasso totale del sistema di sicurezza europeo”. Due giorni dopo, il Ministro Lavrov all’Onu, a New York:
“Abbiamo raggiunto un limite pericoloso, forse più pericoloso. La ‘questione ucraina’ non può essere vista in modo isolato rispetto agli sviluppi a livello geopolitico che hanno visto per anni la NATO minacciare la sicurezza della Russia nella regione. Si tratta di capire come le relazioni internazionali continueranno a essere definite attraverso la creazione di un consenso solido sulla base di un equilibrio di interessi o attraverso progressi aggressivi ed imprevedibili dell’egemonia di Washington, che ha intrapreso un percorso di distruzione della ‘globalizzazione’, che per molti anni ha salutato come bene supremo di tutta l’umanità”.
Sul piano più strettamente militare, domina l’attenzione degli osservatori internazionali la possibile, varie volte annunciata, controffensiva di Kiev, forse determinante per la vittoria o la sconfitta nella guerra. L’attuale fase difensiva dell’Ucraina, che dura dall’11 novembre, giorno della liberazione della città di Kherson, pur caratterizzata dalla devastante battaglia di Bakhmut, potrebbe lasciare luogo al contrattacco. L’esperto di geopolitica David Rossi ha evidenziato che “durante questi cinque mesi e mezzo è mancato l’altro attacco atteso da tutte le parti, la ‘grande offensiva’ russa che, nelle anticipazioni delle intelligence e dei commentatori avrebbe dovuto colpire l’Ucraina da Nord, Est e Sud nei giorni precedenti l’anniversario dell’inizio della guerra, il 24 febbraio”. Ogni piano russo è stato abortito dopo che tra il 25 gennaio e il 15 febbraio “le truppe del Cremlino hanno subito la perdita di centinaia di carri armati e di migliaia di soldati in combattimenti inutili nell’oblast di Zaporizhzhia. Mosca ha deciso che, a parte la battaglia di Bakhmut, non ci sono le condizioni per nessun attacco serio”. Forse frenata da Washington, restia a concedere una gran quantità di ulteriori e sofisticate armi a Zelenski – probabilmente preoccupata da progetti ucraini di attaccare il territorio russo, chissà spaventata dalle minacce di Medvedev & Co. (non è affatto detto che ‘can che abbaia non morde’) – l’Ucraina insiste, tuttavia, per lanciare la sua terza controffensiva prima dell’estate:
“La linea Kreminna-Svatove rappresenta il limite estremo raggiunto dalla seconda controffensiva ucraina, in senso spaziale e temporale: le truppe di Kiev hanno esercitato pressione sulle linee russe fino all’ultima decade di gennaio. Il fronte meridionale comprende una fascia di territorio larga 200 chilometri e profonda 90-100, che va dal medio corso del Dnipro, dove il fiume è largo come un lago molto esteso, al basso corso e comprende città importanti come Melitopol, Berdiansk e soprattutto Mariupol. L’area è di importanza strategica: affacciandosi sul mare di Azov, gli ucraini romperebbero la continuità tra il Donbass e la Crimea, annullando qualunque conquista dei russi in quattordici mesi di guerra. Soprattutto, causerebbero l’isolamento della Crimea”, secondo Rossi.
(https://www.adnkronos.com/rossi-la-controffensiva-ucraina-sara-il-giorno-piu-lungo_7kyBS9iE)
Torniamo, per concludere, all’incipit: ‘Per la Russia è stato un crimine, un bagno di sangue, un errore; per l’Ucraina una tragedia; per l’Europa una rovina; per la Cina un affare; per gli Stati Uniti una cinica illusione geopolitica e militare di successo (nel breve periodo). Come venirne ora fuori?’.
Nessuna illusione nel breve periodo, oserei dire; la conferma del fallimento geopolitico e strategico degli Stati Uniti, della NATO, dell’Ue, sullo sfondo dell’avventurismo russo-cinese. E della nostra impotenza, l”eutanasia della sovranità’, per usare le parole dell’amico Marco Zacchera.
Credo che dalla guerra in Ucraina non traggano giovamento né l’Europa, né gli Stati Uniti, né, ovviamente, la Russia, che ha messo in luce con una prova militare deludente tutte le sue fragilità. Gli Stati Uniti in un primo tempo si illudevano di combattere Putin “fino all’ultimo ucraino” (o all’ultimo europeo?) in una guerra per delega, oltre che di lucrare sull’aumento del valore delle fonti energetiche dopo l’embargo a Putin. In realtà rischiano di dover combattere una guerra su due fronti: contro la Cina che minaccia Formosa e contro la Russia. L’Europa vede la sua economia messa a dura prova dall’embargo (oltre che dalle follie ecologiste nonché dall’embargo al nucleare) e si dovrà dissanguare per accogliere nell’Unione una nazione con un altissimo tasso di corruzione (appena un gradino sotto la Russia) e finanziarne la ricostruzione, come se fossimo stati noi ad aggredire Kiev. A guadagnare da questa situazione è soltanto la Cina, che si appresta a sferrare un’offensiva contro Formosa che pregiudicherebbe molto più della cessione a Mosca del Dombass gli equilibri economici e geopolitici mondiali.
In politica estera (e anche interna) quello che è essenziale è essere capaci di individuare il nemico principale. Lo capì Churchill, quando dopo la guerra e l’occupazione sovietica di gran parte dell’Europa centro-orientale si domandò se non avesse ammazzato “il maiale sbagliato”. Le guerre su due fronti sono sempre rovinose. Il grande merito di Kissinger fu di averlo capito e di avere stretto rapporti diplomatici con Pechino isolando Mosca. Ma dietro Kissinger c’era un presidente repubblicano realista, che tirò fuori, sia pure a fatica, gli Usa dalla guerra nel Vietnam iniziata da Kennedy – l’idolo dei liberal di tutto il mondo – salvo poi essere fatto fuori dal complotto degli intellettuali radical. Oggi c’è un presidente democratico, che, come tutti i presidenti statunitensi democratici, pratica una politica estera interventista, in linea con il suo predecessore Obama, che con le sue rivoluzioni multicolori ha posto le premesse per la destabilizzazione del Mediterraneo e anche dell’Europa orientale.
Verissimo, Enrico.