
Non bisogna avere il cattivo gusto di morire d’estate, faceva dire o meglio pensare Tomasi di Lampedusa al suo principe di Salina, alludendo al disagio che un lutto comporta per i familiari costretti a interrompere le vacanze. Alberto Fremura non era un principe del sangue, ma fu, tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, il principe italiano dei vignettisti, e non escludo che l’abbia pensato anche lui, quando la morte lo ha colto alla vigilia dell’esodo pasquale, non nell’amata torre di Calafuria, che aveva eletto a proprio buen retiro, ma a Fenis, in Val d’Aosta, dove si era trasferito per stare vicino alla figlia Arianna. Nato nel 1936, a Livorno, Fremura è stato un bravo pittore, ma non ha mai considerato riduttivo essere apprezzato soprattutto come disegnatore satirico. La prima vignetta la pubblicò a ventun anni sul “Travaso”, a dispetto di una seriosa laurea in economia e commercio; pochi anni dopo, nel 1962, aveva già raggiunto il successo, consacrato dalla Palma d’Oro al Salone internazionale dell’umorismo di Bordighera. Fu l’inizio di una carriera folgorante, che insieme a Isidori e Giuliano Nistri, di cui sono soltanto omonnimo, lo vide matita di punta del “Borghese” di Mario Tedeschi e di Gianna Preda, che negli anni Sessanta poteva vantare una tiratura di oltre centomila copie interpretando l’opposizione al centrosinistra di una vasta area d’opinione che dal Pli di Malagodi spaziava sino alla destra monarchica e missina.

Poi, nel 1972, il “Borghese” divenne, di fatto, un organo di partito, con la candidatura di Tedeschi al Parlamento nelle file del Msi-Dn e Gianna Preda autrice di una virale marcetta che in omaggio alla rima baciata scandiva: “Noi siamo gli italiani della destra nazionale, e non i servi sciocchi di chi non ha ideale”. Fremura, allora, si tenne fuori, anzi disegnò un album propagandistico della Democrazia cristiana (non so se lo firmò, ma il suo segno era inconfondibile). Col senno del poi, fu una scelta prudente. Alle elezioni del 1972 la destra non sfondò come previsto, presto emersero le contraddizioni fra l’ala moderata e quella oltranzista, e il “Borghese” prima si trasformò da organo di partito in organo di corrente, poi fu al centro della scissione di Democrazia nazionale. Fu la fine della rivista, che sopravvisse grazie ai contributi pubblicitari (pretium sceleris, sussurrò qualcuno), ma perse la stragrande maggioranza dei suoi lettori.
Negli anni Settanta, invece, Fremura visse il suo momento di maggior successo. Le sue vignette graffianti, in cui l’estrema eleganza del tratto formale (era un pittore, prima che un disegnatore satirico) si sposava a una graffiante ironia labronica, furoreggiavano sui giornali del gruppo Monti e in particolare sulla “Nazione” di Domenico Bartoli e di Piero Magi, anch’egli brillante polemista. Per un certo periodo collaborò al “Giornale” di Montanelli, ma l’intesa fu fragile: due maledetti toscani non potevano convivere sulle stesse pagine, tanto più che Indro pretendeva di dettargli le vignette, come se fossero dei “controcorrente” disegnati. Nel frattempo, Fremura iniziò un’intensa e qualificata collaborazione a prestigiose pubblicazioni estere, da Paris Match al New Yorker e pubblicò moltissimi libri illustrati, da Arca Miseria e Urge diluvio stop, con Piero Magi, da Nonna minestra, con Aldo Fabrizi, a Proverbi toscani. Illustrò persino Le veglie di Neri di Renato Fucini e Pinocchio: un’attività intensissima cui associò la vocazione di pittore.
Nel frattempo, però, sull’onda del Sessantotto, emergeva una nouvelle vague di vignettisti, che sottraevano alla destra il monopolio della satira, detenuto dai Guareschi, dai Mosca, dai Metz, dai Carletto Manzoni. Nella stagione del “Male”, degli Altan e dei Chiappori, del primo Forattini, umorista princeps della “Repubblica”, prima di finirne “sbianchettato”, il tratto descrittivo di Fremura poteva sembrare superato. In realtà, in molti casi, a essere superato era soltanto il buon gusto.
Con la crisi della prima repubblica Fremura scoprì l’impegno politico, all’interno di una destra in cui si era sempre riconosciuto. Nel 1995 gli fu offerta la candidatura alla presidenza della Provincia di Livorno da una coalizione che comprendeva il Polo Popolare, Forza Italia e Alleanza Nazionale, e lui l’accettò, pur consapevole che si trattava di un’impresa disperata. Era l’epoca in cui la destra cercava candidature tratte dalla società civile, per legittimarsi dopo una lunga emarginazione, e intellettuali, artisti, uomini di scienza erano felici d’impegnarsi anche nella rossa Toscana, sperando di incrinare l’egemonia culturale marxista nella regione e di ottenere riconoscimenti che poi sarebbero risultati inferiori alle previsioni, perché, come al solito, sarebbero prevalsi i soliti cacciatori di preferenze.
Conobbi Fremura credo nel 1996, in occasione di una Festa Tricolore a Firenze in cui fu ospite. Si lamentò con me che il Quotidiano Nazionale, di cui faceva parte “La Nazione”, lo pagasse, credo con una sorta di articolo 2, per le sue vignette, ma poi non gliele pubblicasse, forse perché era venuto meno al voto di verginità politica. Avrei dovuto incontrarlo un’altra volta nell’agosto del 2009 in un incontro sulla comicità e la satira politica che tenni con Romano Battaglia per la Versiliana, ma in uno spazio del Pucciniano a Torre del Lago. Insieme a Giorgio Ariani e ad Ettore Borzacchini, scrittore comico ed ex collaboratore del “Vernacoliere” – da cui era stato epurato per aver osato criticare nel 2002 i “girotondini” – ci sarebbe dovuto essere anche lui. Invece non si presentò; lo chiamai quasi in diretta, davanti a un pubblico impaziente; quando gli chiesi dov’era mi rispose “Davanti a un distributore”. Non seppe spiegare quale e dove. Naturalmente non arrivò mai, e credo che non fosse mai partito. Borzacchini, con la consueta arguzia, commentò che Fremura “sembra rincoglionito, ma lo è davvero”. La serata comunque andò bene lo stesso, anche se mi avrebbe fatto piacere rivederlo. E ora provo un po’ di tristezza perché nessuno dei tre ospiti di quella sera, potenziali o reali, è ancora a parlare di umorismo con noi.
La Destra Nazionale non sfondò alle politiche del 1972? Sfondò eccome con l’ 8,9% alla Camera ed il 9,2 % al Senato… eccome che sfondò.
Basta raffronare il voto del 1972 con quello del 1968 dove monarchici e missini separati conseguirono un risultato deludente, per rendersi conto come, nel 1972, MSI e Monarchici presentandosi insieme sotto le insegne della Destra Nazionale andarono ben oltre il risultato del 1968.
Il risultato fu buono, ma inferiore alle previsioni, o almeno alle speranze. Ho vissuto quei giorni e ricordo come, dietro l’apparente entusiasmo, fosse presente in noi la consapevolezza che i seggi ottenuti non ci sarebbero bastati a condizionare da destra la Dc, ma sarebbero bastati ad allarmare i centri di potere, che in forme diverse iniziarono la emarginazione e demonizzazione della destra. In un primo tempo vi fu una svolta centrista, con il governo Andreotti – Malagodi, ma poi cominciò la persecuzione, principiata con la tragica vicenda della morte dell’agente Marino a Milano. Purtroppo, fare politica non è giocare a dama, ma a scacchi. Non si tratta di mangiare più pedine ma di dare scacco al re in poche mosse. Stimai Fini perché nell’arco di meno di un anno era riuscito ad arrivare al governo; poi le cose andarono come andarono, ma questo è un altro discorso. Ora vediamo cosa succederà con la Meloni. C’è però una differenza sostanziale. Se il Msi Dn fosse entrato nell’area di governo nel 1972 avrebbe potuto contare su una burocrazia statale e anche su delle gerarchie militari ancora legate a valori patriottici, non necessariamente fascisti (lo stesso Birindelli aveva dopo l’otto settembre collaborato con gli Alleati). Oggi l’apparato statale, per non parlare degli enti locali, è egemonizzato dalla sinistra e questo, insieme ai condizionamenti europei, rende tutto più difficile.
Oddio, sfondare col 9% non direi, neppure al tempo del proporzionale…. Nel 1972, momento teoricamente favorevole alla destra…
Sommiamo i voti prima presi separatamente da monarchici e missini nel 1953 e tornate successive e vediamo che non ci fu alcun sfondamento…
Nel 1953 i monarchici erano forti, basti pensare ad i vari Comuni conquistati nel centrosud nel maggio 1952 in alleanza con i missini tant’è che di lì a pochi giorni, nel giugno 1952, venne approvata a tempo record la legge Scelba che il folocomunista Scelba aveva presentato nel novembre 1950.
Credo che nelle Vs. analisi- comunque rispettabili – venga tralasciato il luglio 1960 ed il seguito. Il confronto va fatto con il 1968, con i monarchici ridotti a brandelli ed il MSI in calo di consensi. Del resto, rispetto al 1952, quanti Comuni governavano in più nel 1968 missini e monarchici? Zero. Logico che quello del 1972 fu in enorme successo con sfondamento….I dati sono consultabili ed a portata dal sito Ministero dell’Interno. Se poi qualcuno pensava che il MSI-DN dovesse entrare nel 1972 nell’area di governo quella è fantascienza politica