Terminato il viaggio di Xi Jinping nella Russia di Vladimir Putin, risulterà utile tracciare un bilancio di questa iniziativa e valutarne l’influenza sia sui rapporti, sempre più deteriorati, tra i Paesi europei e la Russia, sia sui rapporti, sempre più stretti, tra Mosca e Pechino.
Quando un anno fa iniziò l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe e scoppiò la guerra tra due nazioni “consorelle” tanto nella lingua quanto nelle radici storiche e culturali, sostenemmo, come fecero vari commentatori ben più autorevoli di noi, che si correva il rischio di spingere la Russia “tra le braccia” della Cina di Xi Jinping.
Il viaggio di Xi Jinping a Mosca ha portato ben avanti questo processo a senso unico di avvicinamento della potenza slava a quella cinese, con la logica conseguenza di allontanamento da quell’Europa all’interno del cui scacchiere geopolitico per secoli la Russa ha spostato e manovrato le sue pedine.
Sono stati raggiunti diversi accordi dal risvolto non solo di ordine commerciale ed economico ma anche di un rilevante significato politico, sintetizzabile nella considerazione che la sponda cinese (insieme a quella indiana) ha consentito alla Russia di vanificare del tutto la deterrenza delle sanzioni economiche poste dall’Europa, sotto diktat della Nato e degli Usa.
Riprendiamo alcuni dati per meglio precisare i contorni di questa tesi. L’import di carbone russo da parte della Cina è cresciuto del 127% rispetto ai primi mesi del 2022. Nel primo bimestre del 2023 la Russia ha superato l’Arabia Saudita come principale fornitore di petrolio della potenza cinese con una crescita del 23, 6%. rispetto allo stesso periodo del 2022, quando l’export di petrolio russo in direzione Pechino era già cresciuto dell’8%.
All’inverso la Cina ha esportato in Russia, nei mesi di gennaio e febbraio 2023, 242.276 tonnellate di allumina confrontate con le sole 698 tonnellate dello stesso periodo del 2022. Sono state così aggirate le sanzioni australiane su questo tipo di merci. Nel 2023, in base agli accordi sottoscritti, l’esportazione di gas naturale dalla Russia alla Cina, con il gasdotto “Power of Siberia” crescerà del 50% passando da 15 miliardi di metri cubi a 22 miliardi; entro il 2027 lo stesso gasdotto dovrebbe trasportare verso la Cina ben 38 miliardi di metri cubi. Afferma il giornalista Sergio Giraldo: «Dunque, la stretta sanzionatoria nei confronti della Russia sta gettando la stessa tra le braccia della Cina. Una saldatura che si fa ancora più stretta con il passare del tempo, a prescindere dagli esiti della guerra in Ucraina.»
Anche sul piano delle forniture militari si è, sia pur “prudentemente”, avviato un processo di avvicinamento tra le due potenze. Secondo un articolo del “New York Times” Pechino ha fornito all’esercito russo droni e componentistica per una cifra di circa 12 milioni di dollari: una cifra non sensazionale ma dall’indubbio significato politico. Lo stesso Putin ha ammesso, durante l’annuncio dello schieramento di missili nucleari in Bielorussia, l’esistenza di una collaborazione tecnico -militare con la Cina.
Si era detto che l’espulsione della Russia dal sistema internazionale swift, utile allo spostamento di somme nelle transazioni internazionali, unitamente alle sanzioni, avrebbe piegato Putin. L’ostacolo è stato aggirato spesso utilizzando la “sponda” di Pechino. Già a giugno 2022 l’India aveva pagato un cargo di 157.000 tonnellate di carbone partito dal porto russo di Vanino in yuan per un valore corrispondente di 25,81 milioni di dollari.
Dalle stime del Fondo Monetario Internazionale per il 2023 si evince che l’economia russa non sarà danneggiata dalla guerra contro l’Ucraina. «La guerra in Ucraina ha interrotto i flussi di materie prime verso Ovest, ma il commercio è stato rimpiazzato dai contratti con i Paesi asiatici o in generale a Est del blocco (cioè la Cina di Xi n.d.r.)»
Pechino sta, tra l’altro, utilizzando questi accordi e il complessivo avanzare del processo di stretto avvicinamento a Mosca e a Putin come deterrente nei confronti dei paesi europei. Si è riavviata la politica di penetrazione cinese nei paesi europei, a cominciare dall’Italia con l’espansione nella gestione delle attività portuali nella penisola.
A ciò si è aggiunta la “lievitazione” delle quotazioni diplomatiche cinesi come intermediario tra Russia e Cina (che, nei fatti, vuol dire tra Russia e il cosiddetto Occidente). All’indomani del viaggio del “timoniere” cinese a Mosca, tutti i maggiori leader europei hanno certificato e validato il ruolo di intermediazione della Cina. Emmanuel Macron e Ursula Von der Leyen, addirittura, stanno programmando un viaggio a Pechino agli inizi di aprile. Risulta abbastanza significativa l’affermazione di Josep Borrell, il responsabile della politica estera europea (sic). Egli ha dichiarato: «I cinesi vogliono avere un ruolo diplomatico, non vogliono essere associati totalmente con le azioni militari di Mosca. Vogliono essere dei facilitatori non dei mediatori.»
La sfumatura di significato che differenzia il termine “facilitatore” da quello di “mediatore” nasconde un acuto senso politico. Se è vero che la Cina non si è “appiattita” sulle azioni militari russe, è anche vero che il ruolo di “facilitatore”, invece che quello di “mediatore”, non richiederebbe necessariamente una terzietà che potrebbe arrestare il processo di avvicinamento della Russia alla Cina ma potrebbe giocarsi in parallelo rispetto al proseguire, al crescere e al consolidarsi di queste “traiettorie” della politica estera russo-cinese.
In questa situazione l’Europa dell’Ue non riesce a partorire uno straccio di strategia nel suo posizionamento internazionale e si accontenta di far ondeggiare il pendolo della sua politica estera con una strana oscillazione “strozzata” a meno della metà, nella traiettoria che va dal supino appiattimento verso la Nato e gli Usa agli impotenti e timidi tentativi di una qualche sporadica, frammentata e improvvisata interlocuzione con Russia e Cina.
E’ così evidente il fallimento della politica Ue verso la Russia che con le sanzioni l’ha ben poco danneggiata. Un capolavoro d’incapacità geopolitica degna di dilettanti alle primissime armi. Non c’è una politica estera se non appiattimento sugli Usa,non ha mai cercato dal 2014 una benchè minima iniziativa diplomatica sul conflitto russo-ucraino. Le ripercussioni negative le abbiamo avute noi in termini economici.. Non ha saputo coinvolgere come gli Usa la Russia che è essenzialmente Europa in una politica di collaborazione se non demenzialmente con la Nato un accerchiamento di basi militari ai suoi confini. Un capolavoro