«Lo spazio politico della destra non ha più rappresentanza. La destra non è solo un luogo della geografia politica. È un sentimento, un modo di vedere e un modo di vivere la quotidianità. In Italia milioni di persone pensano, parlano, ragionano in un’ottica di destra, senza saperlo. Tentare di dare una rappresentanza a questa gente diventa ineluttabile». Nello Musumeci, vicesegretario de La Destra, è stato candidato alla presidenza della Regione Siciliana, nel 2012, per un centrodestra che «non fece tutto il necessario per vincere. È una serena constatazione, che alcuni fatti accaduti dopo confermano». Uscito da An nel 2005 in polemica con Gianfranco Fini, è stato una delle prime voci critiche sulla deriva della destra. Oggi consegna in esclusiva a Barbadillo le sue idee per la ricostruzione.
Leviamo il dente subito, Musumeci. Che giudizio da di Berlusconi e del berlusconismo?
Ogni uomo politico è figlio del proprio tempo. Nel dopo Tangentopoli fu l’elemento di novità, coprì un vuoto, alimentò una illusione. Poi, trascorsi vent’anni, che gran parte di quel programma innovativo non sia stato realizzato è sotto gli occhi di tutti. Di Berlusconi bisogna distinguere i reati dai peccati: in questo senso non ha avuto un alto senso delle istituzioni. E se è vero che è stato l’argine alla sinistra, è anche vero che lo ha fatto polverizzando le diverse sensibilità politiche e culturali del centrodestra. Che sia nella fase discendente della sua parabola politica è certo, ma che questo debba avvenire per mano di certa magistratura mi da molto fastidio. Anche se il Cavaliere non ha fatto nulla per sottrarsi a questo scontro.
Fino ad oggi la destra è stata identificata con Berlusconi.
Ed è stato un errore.
Esiste la possibilità di ridefinire il concetto senza ricorrere alla nostalgia per le esperienze del Novecento, compresa Alleanza Nazionale?
Certo.
Cominciamo dai temi etici?
Prendiamo l’embrione. Per quelli di sinistra si tratta di qualcosa. Per noi di qualcuno. È una visione etica e spirituale della vita radicalmente alternativa. Così pure sull’idea di Europa, sul senso dello Stato, sul concetto di sovranità, di identità, di globalizzazione, sulle nuove povertà. Sulla immigrazione.
Fermiamoci su questo punto.
Per la sinistra il problema dell’immigrazione si risolve in un dovere dello Stato ospitante di favorire l’integrazione. Per noi invece l’integrazione non è solo un diritto dell’immigrato – diritto che lo Stato deve riconoscere – ma anche un dovere che lo Stato deve pretendere da chi viene a casa nostra, e consiste nel conoscere e rispettare le nostre leggi, i nostri costumi, la nostra religione, la storia di un popolo. In un quadro chiaro dei flussi ricevibili, che non può, in maniera demagogica come spesso predica la sinistra, essere slegato dalla disponibilità del mercato del lavoro. Senza falso pietismo e fughe in avanti.
Come sullo ius soli?
Ad esempio.
Continuiamo. L’Europa e il rapporto tra politica e economia.
L’Europa, per la destra, è innanzitutto sintesi tra diverse culture e figlia della civiltà cristiana ed ellenica. Non può essere considerata l’Unione europea solo un attore economico – peraltro sempre più debole e sempre più nelle mani delle lobby finanziarie – nello scacchiere mondiale. Per noi è intanto un modello culturale, consolidatosi in millenni di storia. Per la sinistra l’Europa è una parte del villaggio globale.
Dove le identità si perdono.
Per loro non hanno valore. Per noi, mentre la globalizzazione economica e culturale galoppa, la difesa delle identità diventa lo strumento di forza per confrontarsi con essa. Non basta dire “no” alla globalizzazione, perché è un fenomeno ormai ineluttabile. Piuttosto bisogna chiedersi come starci dentro senza uscirne appiattiti, annullati.
E qui torniamo alla seconda domanda: il primato è della politica o dell’economia?
Della politica. È la politica che deve governare i processi economici e le trasformazioni sociali, perché essa esprime la volontà popolare. È la politica che garantisce il prevalere dell’interesse generale sul particolare, della solidarietà ai più deboli rispetto all’egoismo dei più forti, dell’uomo sull’impresa. Altrimenti si arriva, come siamo arrivati, al governo delle tecnocrazie. Ad una Europa delle banche. Ma l’Europa è quella dei popoli e delle Nazioni, non si scappa.
Sono richiami ad una idea sociale molto forte. Ma, quanta traccia di essa c’è nell’esperienza del centrodestra al governo, nove anni dal 2001 ad oggi?
Ce ne è stata poca. E questa è una responsabilità collettiva, fatte alcune eccezioni, della classe dirigente che viene da An. Che, dopo essere stata emarginata per mezzo secolo, una volta arrivata al governo per volontà popolare non ha saputo marcare la discontinuità con la Prima Repubblica. La destra si è omologata ad un sistema di potere che gli italiani avevano rifiutato, nel ’93. Prima si è annacquata dentro politiche liberali e liberiste, rivelatesi subito inadeguate, per poi sciogliersi completamente dentro il berlusconismo.
Torniamo al discorso di prima, alla identificazione della destra con Berlusconi.
Inorridisco davvero di fronte a questa associazione. Il Cavaliere esprime una politica centrista, sintesi di culture diverse, dal liberalriformismo al cattolicesimo e al socialismo. La destra politica, per quanto plurale, è altra cosa, impossibile identificarla con Berlusconi.
Mi sembra di capire che non c’è più Berlusconi nell’orizzonte politico della destra che immagina Musumeci.
Il centrodestra va ripensato, anche in una possibile prospettiva di uscita di scena del Cavaliere. In un sistema di alleanze che abbia come principale interlocutore la nuova Forza Italia, pena la irrilevanza politica, ma dentro una coalizione nella quale la destra sia riconoscibile. Insomma, uniti nella diversità. Una destra che dovrà essere sociale, aperta, inclusiva, non identitaria.
Ha detto non identitaria.
Sì. È vero che con alcuni amici, Storace, Buontempo, abbiamo provato nel 2007 a dar vita ad una destra identitaria. Ci eravamo illusi che servisse alla politica italiana e che piacesse alla gente. Quel generoso tentativo è fallito. Ne abbiamo preso atto e la ricostruzione del nostro mondo passa per la strada della riunificazione. Divisi non siamo credibili.
Sta dicendo che considera archiviata l’esperienza de La Destra?
Per quanto mi riguarda sì, almeno sul piano della competizione elettorale. Non è una mia scelta: lo hanno detto gli italiani.
C’è posto per i colonnelli, in questo nuovo soggetto?
Non c’è più il generale, figuriamoci i colonnelli… Detto questo, credo che l’apporto di uomini come Storace, La Russa, Urso, Alemanno, non vada disperso.
Non ha fatto il nome di Gasparri e di Matteoli.
Non mi sembrano interessati all’idea.
La Russa, Urso, Storace, Alemanno. Uno di questi potrebbe essere il leader?
La leadership non nasce in laboratorio ma sul campo. Bisogna lavorare per creare una nuova classe dirigente, ma all’orizzonte non vedo grandi novità. Per questo dico che il contributo dei cinquantenni è importante, pur senza tradursi leadership. Loro stessi credo ne siano consapevoli.
Giorgia Meloni e Flavio Tosi, sono due nomi?
La Meloni ha dalla sua l’età e la capacità organizzativa, per essere leader. Ma fa male a pensare di escludere a priori i cinquantenni. Tosi è stato un buon amministratore in una città del nord, viene da una esperienza politica territoriale, ma una leadership nazionale vuol dire porsi il problema dell’esistenza di una dialettica Nord-Sud, di una Italia a due velocità, di una ripresa che non può esserci escludendo il Mezzogiorno. Non so se Tosi abbia intenzione davvero di porsi questo problema. Mi auguro di si.
Musumeci?
Non ho un interesse ad assumere ruoli di vertice. Sono stato un uomo che ha creduto nel consenso popolare e nel buongoverno, che ha detto no a Fini quando tutti dicevano sì, e continuo a stare in mezzo alla gente. Faccio il deputato di opposizione all’Assemblea regionale siciliana; tutti i gruppi parlamentari mi hanno voluto presidente della Commissione Antimafia e, forse, potrei ancora essere un punto di riferimento. Darò con piacere il mio contributo, a cominciare dal momento costituente della nuova destra. E mi auguro che venga celebrato entro l’anno. Il resto si vedrà.