Alain de Benoist pubblica L’exil intérieur, una raccolta di appunti e pensieri compilati negli ultimi decenni della sua vita intellettuale. È l’occasione per consegnare alcune delle sue profonde riflessioni alla rivista di Michel Onfray, Front Populaire
Front populaire. Perché parlare di “esilio interiore”? Al di là dell’aspetto poetico del titolo dell’opera, cosa ci dice del suo rapporto con i contemporanei?
Alain de Benoist: “Appartengo a una generazione che, nell’arco di una generazione precisamente, ha visto quasi scomparire una religione, una cultura e un paese. Questo fa molto. Pierre Gripari si definiva come un “Marziano in esilio”. Per quanto mi riguarda, è a casa che mi sento in esilio. Ciò significa che mi sento estraneo allo spirito del tempo, e soprattutto a un’ideologia dominante, fondata su valori mercantili e il cui scopo essenziale è legittimare l’influenza planetaria della logica del Capitale. Possiamo aggiungere l’ascesa dell’ignoranza e l’espansione della bruttezza, il disprezzo della classe dirigente per il popolo (e i popoli), il trionfo del narcisismo immaturo e molte altre cose ancora. Ma non per questo sono un “restaurazionista”: raramente intono l’aria del “prima era meglio”. Penso al contrario che la nostalgia possa anche essere rivoluzionaria. È almeno ciò che diceva Régis Debray che, curiosa coincidenza, ha appena pubblicato lui stesso un superbo volumetto intitolato L’exil à domicile…”.
Front populaire. Anche i suoi detrattori riconoscono la sua stupefacente erudizione. Ha scritto centinaia di libri e ne ha letti migliaia. Che cosa ha trovato di veramente fondamentale in questi lunghi anni di meditazione intellettuale?
Alain de Benoist: Ho imparato molto sulla storia delle idee, delle credenze e delle dottrine, che rimane la mia materia preferita. Se vi ho scorto l’importanza delle idee, ho anche acquisito qualcosa che oggi manca sempre di più: il senso delle sfumature. Ciò mi ha permesso di acquisire una concezione del mondo maggiormente strutturata”.
Front populaire. Non c’è una parte di hybris propriamente moderna nell’aver accumulato tanti libri e letture, una sorta di prometeismo o di patto faustiano epistemico?
Alain de Benoist: “Hybris, prometeismo, patto faustiano! Non esageriamo. Sarebbe meglio parlare di curiosità troppo vaste, di una tendenza all’enciclopedismo, ma anche semplicemente di una mania da collezionista. Per gli psicologi, la “collezionite” è spesso associata alla nevrosi d’angoscia: a voler possedere tutto in un campo dato, qui quello dei libri, si cerca di rassicurarsi! In una lettera a Laura Laffargue (dell’11 aprile 1868), Karl Marx si definiva come una “macchina per divorare libri”. Anche io divoro, ma non meccanicamente”.
Front populaire. Lei scrive che “col passare dei secoli, l’Occidente ha guadagnato in espansione ciò che ha perso in intensità”. Non c’è qui tutto ciò che rimprovera alla modernità, cioè il regno della quantità?
Alain de Benoist: “Non esattamente. Volevo solo dire che un’influenza che si estende in modo eccessivo tende a diluirsi, e quindi a banalizzarsi. Lo si vede bene oggi in un’epoca in cui, nel mondo, la modernizzazione non è più sempre sinonimo di occidentalizzazione”.
Front populaire. Lei ha da un pezzo uno sguardo critico sull’Occidente. Critica la pretesa occidentale di dominio, i diritti umani, l’universalismo… Non si sente in sintonia con una parte del programma “woke” o “decoloniale”?
Alain de Benoist: “Non rimprovererei certo ai sostenitori del “wokismo” o del “decolonialismo” la loro critica all’universalismo: è l’unico punto quasi coerente del loro discorso, anche se questa critica è solo rudimentale. Ciò che trovo inammissibile sono le conclusioni deliranti che ne traggono: l’ossessione per la razza, un “antirazzismo” che non è l’opposto del razzismo ma un razzismo in senso opposto, un essenzialismo che permette di mettere sotto accusa indistintamente tutti i “Bianchi”, una concezione della “dominazione” che trascura totalmente le questioni sociali e la lotta di classe, la promozione di un “comunitarismo” che è solo una forma di secessione e una caricatura dell’autentico spirito comunitario. La critica all’universalismo implica il riferimento a un “pluriversalismo” rispettoso dell’identità di tutti i popoli e di tutte le culture. Essa degenera quando conduce al relativismo, al tribalismo e all’egocentrismo. Sviluppo questa critica in un libro sull’identità che sarà pubblicato la prossima primavera”.
Front populaire. Lei scrive in sostanza che non si può rimproverare a dei fiori strappati di non conoscere le loro radici. Questo significa che bisognerebbe compatire i nostri postmoderni decostruiti piuttosto che deriderli?
Alain de Benoist: “Bisogna sempre compatire i grandi malati! Ciò non impedisce di prendere in giro o, meglio ancora, di rifiutare le false idee. È come in teologia: si deve sempre distinguere il peccatore dal peccato!”.
Front populaire. Come si fa, dopo aver trascorso tante ore a misurare le grandi opere della storia universale, per prendere sul serio e registrare i propri pensieri?
Alain de Benoist: I pensieri raccolti in L’exil intérieur erano all’inizio dei pensieri per me stesso. Si estendono su più di trent’anni. Sono dei pensieri, delle citazioni, degli aforismi che ho sentito il bisogno di annotare. Dei propositi di tappa, in qualche modo. Non vi è altra pretesa”.
Front populaire. Lei parla di alcuni film che l’hanno commossa fino alle lacrime. Che dire della letteratura?
Alain de Benoist: “Molte opere letterarie mi hanno sconvolto, ma nessuna mi ha portato sull’orlo del pianto come hanno fatto alcuni film in un’epoca in cui il cinema era una grande arte popolare le cui produzioni non erano ancora state sommerse dallo tsunami di altre fonti di immagini. Il motivo è che la mia emozione passa innanzitutto da ciò che vedo. Per me, è l’occhio che governa il cervello. Questo è anche ciò che mi permette di sfuggire al difetto comune a molti intellettuali di disdegnare i fatti. Per me, l’immagine sarà sempre superiore al concetto – e la vista sempre superiore all’ascolto!”.
Front populaire. Lei dice di avere idee di sinistra e valori di destra. Che cosa significa? E perché preferisce i principi ai valori?
Alain de Benoist: “Questo vuol dire soprattutto che secondo me la giustezza o la verità di un’idea non dipende dalla sua provenienza politica. Prendo il mio bene dove lo trovo. “Valori” è un termine che si sente soprattutto in borsa: sale e scende. Un valore vale solo rispetto a ciò che non vale. Privilegiare alcuni valori, significa spesso svalutarne ingiustamente altri. Oggi la doxa si compiace di “valori” che non si cerca mai di definire, e che per questa ragione si trasformano in mantra. I principi sono del tutto diversi. Riflessi di una concezione del mondo, definiscono regole di condotta, non morale ma etica. Nutrono un’attitudine dinnanzi alla vita”.
Front populaire. Il critico letterario Juan Asensio ritiene che “il tempo dei libri è passato”. Un uomo del libro come lei condivide questa cupa diagnosi?
Alain de Benoist: “Quando l’uomo della galassia Gutenberg quale io sono vede i suoi contemporanei trasformarsi in terminali del loro computer o in prolungamenti dei loro schermi dello smartphone, tendo a guardare in questa direzione. Ma penso anche che ci saranno sempre uomini e donne che avranno bisogno di leggere. Lo vediamo in Fahrenheit 451: c’è sempre un “piccolo residuo”, per il quale l’immaginario simbolico non può ignorare la questione del senso della vita”.
fonte: Front populaire (https://frontpopulaire.fr/culture/contents/alain-de-benoist-cest-chez-moi-que-je-me-sens-en-exil_tco_16878919)
da Revue éléments (https://www.revue-elements.com/cest-chez-moi-que-je-me-sens-en-exil/)
data: 22 novembre 2022