Pier Paolo Scarrone da Alessandria, classe 1951, è stato un talento del nostro calcio che, in qualità di centrocampista, approdò giovanissimo al Milan, alla corte del suo illustre concittadino, Gianni Rivera e del famoso allenatore triestino, Nereo Rocco. In tanti videro in lui l’erede naturale di Gianni Rivera, il golden boy del calcio italiano.
Pier Paolo Scarrone, quali insegnamenti ha lasciato papà Secondo, noto calciatore dell’Alessandria?
“Comincio col dire che mio padre mi è stato molto vicino, ma non ha mai cercato d’influenzarmi a diventare calciatore a tutti i costi. Anzi, sono stati i suoi rimproveri ad aiutarmi a capire molte cose in termini di comportamento, in campo e fuori campo.
Ad esempio, finita una partita gli dicevo:
Hai visto che tiro ho fatto?
E lui controbatteva:
No, ho visto che non tiri con il sinistro.
Oppure:
Hai visto che dribbling?
E lui:
No, ho visto che non contrasti”.
Come avvenne il grande salto dall’Alessandria al Milan?
“Da quanto mi riferirono accadde che in anteprima di una gara dell’Alessandria al Moccagatta, durante una partita disputata da noi ragazzi delle giovanili, in tribuna, con un osservatore del Milan, c’era il vice presidente rossonero Sordillo. Vennero ad Alessandria per vedere all’opera Giampiero Dalle Vedove (poi trasferito al Bari), ma si accorsero di me. Piacqui molto e di lì arrivai al Milan. Anche Inter e Torino erano interessate a me, visto però, che nel Milan giocava Gianni Rivera nativo di Alessandria, arrivai a Milano”.
Quali sensazioni provò al cospetto di Rivera, il tedesco Schnellinger, il portierone Cudicini, Trapattoni, Benetti, Prati?
“Arrivare in mezzo a tanti campioni è stata un’emozione indescrivibile sia durante gli allenamenti perché ho imparato molto, sia al di fuori del campo di gioco: il rispetto, l’educazione, il soffrire per non essere titolare, il comportarsi e tanto altro. Erano campioni in campo e signori fuori”.
Veniamo all’esordio con un goal realizzato a San Siro, il 16 maggio 1971, in un Milan-Cagliari terminato 3-1 per i rossoneri.
“L’esordio ha una storia la settimana prima. C’era una sosta per una partita della Nazionale e noi disputammo un’amichevole in Svizzera. Ero in panchina e, ad un certo punto, si fece male Benetti. Rocco mi fece entrare, giocai bene e dal giorno dopo i giornali scrivevano che al posto dell’infortunato Rivera io ero in ballottaggio con Trapattoni. Il mercoledì successivo giocai con la De Martino (un campionato di riserve della prima squadra, mista a quattro, cinque ragazzi della primavera) e perdemmo a Milanello 5-0. Facemmo una brutta figura e, Rocco e Maldini – padre di Paolo – che era l’allenatore, ci fecero una sonora romanzina. Dentro di me persi la speranza dell’esordio. Senonché, il sabato sera, mentre ero in camera, in ritiro, venne da me Trapattoni per dirmi di dormire tranquillo perché il giorno dopo avrei giocato io. In quella circostanza Trapattoni mi dette dei consigli. Il ricordo di quando mi sono affacciato dentro San Siro dalla scaletta del tunnel è indelebile nella mia memoria. Poi è stato tutto bello ed il goal, anche se fortunoso, è stato la ciliegina. Scambiai palla con Zignoli e, dal limite dell’area, gliela restituii in profondità; lui arrivò fuori tempo e, nello slancio, ingannò Albertosi che, nell’inseguirlo, non vide la palla entrare in rete”.
Un ricordo sul grande Nereo Rocco.
“Rocco era un personaggio unico e non serve che lo dica io. Era burbero ma solo in apparenza. Era molto sensibile, simpatico, come un padre per noi tutti”.
E Gianni Rivera?
“Rivera sapeva ancor prima di ricevere il pallone dove metterlo, aveva una visione di gioco elegante, di grande personalità. Da lui ho imparato molto. Faceva della semplicità la sua forma. Giocasse ora con il modo in cui si gioca adesso, in linea, penso che farebbe fare un sacco di goal alle punte”.
Dopo un’altra annata trascorsa con il Milan, 1971-72, dove i rossoneri si aggiudicarono la Coppa Italia, nel Campionato 1972-73 avvenne il trasferimento in B, al Genoa.
“Al Milan giocai poche partite per vari motivi. All’epoca si giocava in 11, non c’era panchina, solo dopo si ebbero il portiere di riserva, poi il tredicesimo. Io ero il sostituto di Rivera ed era come nel calcio attuale dove, ad esempio, i sostituti dei Totti e dei Pirlo, non potevano avere spazio. Nel Milan vincente di quegli anni difficilmente un giovane poteva trovare spazio con tutti quei campioni.
Andai al Genoa in prestito, nello scambio con Turone, perché nel mio ruolo giocava Simoni che aveva già una certa età ed io avrei dovuto sostituirlo. Simoni fece un campionato strepitoso e fu uno dei maggiori artefici della promozione in Serie A. Andare al Genoa mi fece molto piacere, sapevo che puntava a vincere il campionato ed avrei avuto più chance di giocare. Mi trovai benissimo. Giocai diverse partite ma in altro ruolo”.
Visto il suo talento, nel lasciare il Milan, ebbe modo di dire, fra se arrivederci Milan o arrivederci A, seppur in altra squadra?
“Ecco un altro motivo per cui non ho giocato in serie A nonostante avessi grandi qualità: non avevo l’attitudine al lavoro, odiavo l’atletica, le corse, i giri di campo; volevo solo il pallone tra i piedi, ero estroso. Se fossi stato più seguito come i calciatori d’oggi forse…!!!! Ma non rimpiango niente, anzi ancora oggi ringrazio il Signore per quanto mi ha dato…il calcio”.
Che ambiente trovò a Genoa?
“Trovai un ambiante eccezionale, un tifo speciale, la famosa gradinata nord ci aiutò a vincere il campionato”.
Un ricordo di Arturo Silvestri, allenatore della promozione rossoblù in A.
“Una persona squisita. Impostava gli allenamenti tutti con il pallone, a parte esercizi di atletica, scatti, allunghi, ecc. Diceva che in campo si doveva correre, scambiare, saltare tutto con la palla. Parlava poco ma era pieno di umanità, Inoltre era stato un grande calciatore”.
A Genoa rimase un anno e, nella stagione 1973-74, vi fu un nuovo trasferimento sempre in B, al Bari.
“A Genova non restai perché l’anno seguente la società decise di prendere giocatori di categoria superiore anche per fare più abbonamenti. I più famosi e forti come Rosato e Corso erano ormai a fine carriera, ed io che ero giovane avrei dovuto fare la riserva di Corso. Poiché il Milan aveva interesse affinché io giocassi, mi dirottò al Bari, in Serie B”.
Chi la volle al Bari e con quale formula avvenne il trasferimento?
“Al Bari mi volle Regalia, all’epoca allenatore dei biancorossi. Fui ceduto in comproprietà e, nel contratto, era prevista un’amichevole che il Milan avrebbe dovuto disputare a Bari. Non dimenticherò mai quel giorno dell’amichevole. Con il pullman ci avevamo messo più di un’ora per arrivare allo stadio quando di solito ci mettevamo 10-15 minuti. Le strade erano piene di gente, di auto, di bus. Incredibile, la città era bloccata. Lo stadio era stracolmo, erano molti anni che il Milan non giocava a Bari”.
Amichevole disputata un anno dopo, il 19 settembre 1974 e vinta 1-0 dal Milan con un goal di Chiarugi. Che impatto ebbe con la città ed i tifosi baresi?
“L’impatto con la città di Bari fu tremendo. Già quando arrivai all’aeroporto di Palese rimasi sconcertato: una costruzione piccola, vecchia, poi mi aspettavo, come d’accordo, che qualcuno mi venisse prendere. Attesi per molto tempo, poi mi venne vicino un signore anziano:
Scarrone vieni che ti devo accompagnare.
Non era neppure elegante, anzi un po’ trasandato, ma non avevo altra scelta. Fuori dall’aeroporto mi fece salire su un’Ape a tre ruote, davanti con lui. Era il magazziniere. Io in abito, camicia e cravatta mi sentivo molto fuori luogo. Poi, entrato in città…sul lungomare, famiglie sedute all’aperto che cucinavano e parlavano fra di loro gridando, odore di fritto per strada… bambini, adolescenti che si buttavano dagli scogli ed uscivano con polipi, ricci, seppioline che pulivano in un secchiello e li mangiavano. Un altro mondo che non conoscevo, io abituato a Milano e Genova. All’epoca non c’erano i cellulari, internet, non c’era la conoscenza virtuale di oggi. Con il tempo mi sono abituato e, nei cinque anni in cui sono rimasto a Bari, ho avuto modo di conoscere l’ospitalità, la generosità, la passione per il calcio, anche se ci sono stati momenti poco piacevoli a livello sportivo. Quei momenti li ho capiti ed apprezzati perché era l’amore per la squadra a far comportare in quel modo i tifosi. Sono stati anni bellissimi e li ricordo con gioia e grande nostalgie”.
Ci descrive Carlo Regalia?
“Regalia era un ottimo allenatore. Specialmente per noi giovani era paziente, cercava di trasmetterci cosa era il calcio dentro e fuori dal campo. Era stato a Cesena secondo di Gigi Radice, perciò aveva anche esperienza”.
Inaspettatamente, la stagione in B 1973-74 non partì bene tant’è che il Bari navigò nei bassifondi della classifica fino a collocarsi all’ultimo posto. Alla 13^ giornata Regalia venne esonerato e sostituito dal suo vice, Luciano Pirazzini.
“Penso che la scelta di Pirazzini al posto di Regalia sia stata una scelta, diciamo fatta in casa, perché allenava i giovani e per limitare le spese della società”.
Che tipo di allenatore era Pirazzini?
Come mister, la qualità migliore cha aveva Pirazzini era la passione ed il contatto umano con noi giocatori, specialmente con i giovani meno esperti”.
A sugellare il disastro contribuì il Bari-Atalanta del 3 febbraio 1974 con un’invasione di campo che il giudice sportivo, Barbè, punì con il 2-0 a tavolino per l’Atalanta, squalificando per quattro giornate il campo biancorosso.
“Ricordo l’invasione campo. Casarsa, entrato nell’area dell’Atalanta venne atterrato. Il pubblico cominciò a protestare per il mancato calcio di rigore e, nella ripartenza, l’Atalanta fece goal. In un attimo i tifosi entrarono sul terreno di gioco. Vennero usati i cartelloni pubblicitari come ponticelli perché c’era un fossato che separava gli spalti dal campo di gioco. Fu anche quell’episodio a causare un po’ la retrocessione, insieme a quanto detto prima, circa l’utilizzo di giovani calciatori privi di esperienza. Praticamente la retrocessione l’abbiamo ottenuta nel girone di andata perché, nel girone di ritorno, riuscimmo a racimolare tantissimi punti che se ci avessimo creduto prima forse ci saremmo salvati.
Venne messa su, nell’anno che retrocedemmo una squadra di giovani che provenivano da categorie inferiori, buoni calciatori ma senza esperienza e, fare un campionato di B in quelle condizioni, era molto difficile. Poi un po’ di sfortuna; se non ricordo male Casarsa, un ottimo centravanti, sbagliò qualche rigore in partite importanti”.
Campionato di Serie C 1974-75: il Bari guidato dal confermato Pirazzini era pronto per la risalita in B?
“Nell’anno ricordato ci furono degli innesti in squadra di giocatori di categoria”.
Ricordiamo il centrocampista Giannattasio, il centravanti Troja, l’esordiente difensore barese, Frappampina, una promessa del calcio.
In quell’annata il Bari si giocò la B con il Catania che, alla fine, riuscì a spuntarla solo per un punto: 57 i siciliani, 56 i biancorossi.
“Facemmo un ottimo campionato, lo perdemmo per un solo punto giocandocelo fino all’ultima giornata. Lo vinse il Catania che aveva un’ottima squadra. Eravamo rammaricati, ma sapevamo di aver fatto il nostro dovere. Quando si vince un campionato oltre la bravura ci vogliono fortuna e combinazioni tipo un goal fortunoso, un rigore segnato in una partita giocata male, ecc. Quando retrocedi invece, oltre i limiti tecnici gira tutto male. Come detto prima il Catania era un’ottima squadra, molto quadrata, con qualche giocatore di categoria superiore tra cui la punta Ciceri che, oltre fare goal, giocava molto per la squadra”.
Secondo anno di C, Campionato 1975-76. I biancorossi ripartirono con i favori del pronostico ed il confermato tecnico Pirazzini. Vi furono nuovi arrivi, quali il centravanti Bergamo, i difensori Maldera III e Liguori, il portiere Tarabocchia che, l’anno precedente, con il Lecce aveva stabilito il record di imbattibilità di 1791 minuti. Quest’ultimo, però, nel novembre 1975 venne ceduto alla Lucchese.
“Quell’anno arrivarono giocatori di ottimo tasso tecnico. Fra questi Attilio Maldera che avevo già conosciuto a Milanello, anche se lui era più grande di età rispetto a me”.
Sorpresa di quel bizzarro campionato fu l’esonero di Pirazzini alla 9^ giornata, novembre 1975, sostituito da Giovanni Seghedoni. Perché il presidente De Palo prese tale decisione?
“Sì, quell’anno ci fu anche l’esonero di Pirazzini sostituito da Seghedoni. Seghedoni era un mister di esperienza, che aveva militato nel Bari lasciando un buon ricordo. Penso che per tale motivo De Palo abbia deciso di portarlo al Bari. Con Seghedoni partimmo molto bene”.
Quel campionato sembrava se lo dovessero giocare, per la promozione in B, Bari e Sorrento senonché, nel febbraio 1976, il detto primato venne insidiato dal Lecce di Renna e dal Benevento di Santin.
“Purtroppo, dopo un ottimo avvio con Seghedoni cominciammo a perdere punti ed alla fine anche il mister fu esonerato”.
Singolare avventura quella di Seghedoni: sostituì Pirazzini vincendo la prima partita a Reggio Calabria per 1-0 (sospesa al 70° per intemperanze dei tifosi reggini; partita data vinta a tavolino 2-0 al Bari); lasciò i biancorossi nell’aprile 1976, causa il ko interno con la Reggina di Regalia che si impose per 2-1.
Terzo allenatore che in quell’annata sedette sulla panchina del Bari fu il vercellese Giuseppe Pozzo.
“Di Pozzo ho un ricordo vago. Era una persona pacata, un taciturno, ma sinceramente non mi sento di parlare di lui perché non mi ha lasciato niente, sia positivamente che negativamente”.
La B se la giocarono Lecce e Benevento e, alla fine, la spuntarono i salentini grazie al Bari che, in casa, nella terzultima di campionato, il 23 maggio 1976, sconfisse per 3-0 i campani. Per i tifosi baresi un’altra delusione.
“Disputammo un buon campionato arrivando terzi”.
Durante il periodo di permanenza a Bari, in quale zona abitava?
“Come abitazione, nella mia permanenza a Bari ci sono stati tre cambi.
La prima, quando sono arrivato era un appartamento a Santo Spirito che dividevo con un giovane, Meraviglia, arrivato dal Piacenza. La seconda, sempre a Santo Spirito, in un appartamento più grande, con mia moglie Anna. Il terzo, dove mi sono trovato molto bene, era un villaggio sulla statale, prima di Giovinazzo, Riva del Sole. Avevo conosciuto Nino De Gennaro, uno dei proprietari ed era un paradiso: piscine, campi da tennis, spiaggia. Quel posto mi dava la possibilità di passare gran parte del mio tempo libero con mia moglie ed il mio primo figlio, Emiliano, nato nella clinica del professor De Palo”.
Ci racconta un fatto simpatico del periodo barese?
“Una volta un vigile mi fermò mentre entravo nella mia macchina chiedendomi:
È sua la macchina targata Altamura?
Io, con un sorrisino non cattivo gli risposi:
Sì, ma è Alessandria la targa.
Episodi ne ho vissuti tanti, ma preferisco tenerli nel mio cuore e ricordarli quando sono solo in machina, in casa, mentre magari ascolto una canzone di quei periodi”.
Fra i compagni di squadra con chi legò maggiormente?
“Andavo d’accordo con tutti i compagni di squadra, specialmente Dino Sigarini con il quale ancora oggi ci teniamo in contatto, Penzo, Rosa, Consonni. Dove ho giocato ho sempre legato con tutti perché ho sempre avuto un carattere aperto, socievole”.
Pregi e difetti della Bari città di quel periodo.
“Bari allora, come tutte le città, aveva pregi e difetti, ma la simpatia la cordialità, l’amore per la squadra, l’allegria, non li ho mai trovati in un’altra città. E non parlo solo verso la squadra, ma anche nella vita di tutti i giorni. Ho passato anni bellissimi”.
Nel Campionato di C 1976-77, guidato da Giacomo Losi, il Bari raggiunse la B anche se dovette vedersela con una tenace Paganese.
“Fu un anno bellissimo per la vittoria del campionato, molto combattuto. Avevamo un’ottima squadra, molto quadrata; Losi aveva saputo amalgamare un gruppo omogeneo. Difesa forte, centrocampo che con l’arrivo di Materazzi dette forza ed esperienza. Inoltre c’erano la tecnica e Penzo che, oltre i goal, era un trascinatore”.
Ricordiamo Losi, il mister della promozione.
“Losi aveva esperienza essendo stato un ottimo difensore della Roma, era molto bravo, nei rapporti con noi era un amicone”.
Campionato 1977-78: con Losi alla guida, il Bari si accingeva a disputare la B quando, nell’estate del 1977 venne funestata dalla scomparsa del presidente De Palo.
“In quel 1977 morì De Palo. Fu per la società, i tifosi e noi giocatori una perdita importante. Era un uomo di una semplicità e di una signorilità che non ho mai più visto nel mondo del calcio. Quando parlava con noi lo faceva come se parlasse con dei figli, non alzava mai il tono di voce …un vero signore”.
Il Bari venne rilevato dalla famiglia Matarrese con Antonio, deputato democristiano dal 1976, neo presidente. Quali le differenze fra le fra le due presidenze?
“I Matarrese erano persone diversissime dal professor De Palo. Grandi imprenditori, capirono che il potenziale del tifo barese avrebbe potuto avvantaggiarli. Nei loro business furono molto bravi professionalmente. Infatti, per molti anni hanno dato molto alla città a livello calcistico. Antonio che era presidente del Bari, successivamente divenne presidente della Lega Calcio.
Racconto un episodio per far capire come intendevano il calcio. Al termine di una partita giocata a Bari, il presidente con il suo staff venne negli spogliatoi per complimentarsi con noi per la vittoria, mi sembra con la Sampdoria, all’epoca una squadra forte. Io ero capitano ed allora i miei compagni di squadra mi invitarono a chiedere un premio extra per la vittoria contro una squadra blasonata (una volta c’erano i premi partita e in qualche match potevi giocarti il jolly, un ulteriore premio di solito veniva raddoppiato). Io a nome della squadra, vista l’ottima prestazione chiesi un premio.
Matarrese mi rispose con naturalezza:
È la prima volta che dei miei dipendenti mi chiedono un extra sul loro lavoro.
Non aveva risposto con ironia o malamente, solo che non conosceva ancora cos’era il calcio e ci aveva considerati come operai o lavoratori a cottimo. Comunque i Matarrese hanno dato tanto al calcio italiano”.
Il Bari non partì male in quell’annata. È da ricordare il ko interno del 27 novembre 1977 subito dall’Ascoli di Mimmo Renna, squadra che ammazzò il campionato meritandosi la A. Un 3-1 nel quale fu proprio Scarrone a realizzare su rigore, il goal della bandiera biancorossa.
“Il Campionato di B 1977-78 fu vinto dall’Ascoli di Pasinato, Roccotelli e da una rosa attrezzata per vincere. Ricordo il goal che fece Pasinato a Bari.
Un calcio di punizione.
“Scaricò un bolide imprendibile. Un goal di rara potenza”.
Veniamo ad un fatto clamoroso che mise in agitazione la piazza biancorossa. Dopo la sconfitta per 2-1 subita dal Bari a Modena il 15 gennaio 1978, perché l’allenatore Losi venne esonerato?
“Esonerarono Losi perché non arrivavano i risultati che loro volevano. Intendevano il calcio come una azienda: io ti pago tu mi dai; ma il calcio non è così neanche al giorno d’oggi, figurarsi allora”.
L’annata 1977-78 fu l’ultima trascorsa a Bari. Delle 36 reti realizzate quali ricorda?
“Il 1977-78 fu l’ultima mia annata a Bari dove ho passato momenti bellissimi sia sportivi, che come uomo fuori dal campo e, naturalmente, momenti meno piacevoli; ma questi ultimi devono esserci per far apprezzare quelli positivi. Non sono stato un grande goleador in quanto preferivo far fare goal. A Crotone ne feci due, ma ce ne furono altri importanti”.
Come avvenne il trasferimento dal Bari al Parma, Serie C, Campionato 1978-79?
“Non so come avvenne il mio trasferimento. All’epoca eravamo della società, non decidevamo noi dove andare e non esistevano i procuratori”.
Quali novità vi furono a Parma?
“Andai a Parma nel mese di novembre dove trovai una squadra molto forte con diversi calciatori che arrivavano da altre compagini come Mongardi, Bonci, Scarpa, Braida ed altri. Poi un portiere un po’ pazzo, ma fortissimo, bravo tra i pali e persona squisita come Lamberto Boranga e, infine, un giovane che, oltre essere forte, era un trascinatore nonostante avesse solo 18 anni: Carlo Ancelotti. Eravamo molto amici io e Carlo, un ragazzo di una umiltà e semplicità eccezionali, pregi che ha dimostrato e che dimostra ancora oggi. Chi ha conosciuto Carlo non può parlarne male”.
Con due allenatori avvicendatisi in panchina, Landoni e Maldini, il Parma venne promosso in B vincendo lo spareggio contro la Triestina.
“Vincemmo il campionato in uno spareggio contro la Triestina, intanto la società cambiò allenatore per divergenze con alcuni giocatori. Venne Maldini che avevo avuto già al Milan come allenatore”.
Nonostante la promozione, ancora un cambio di casacca con destinazione Reggio Calabria, Campionato Serie C 1979-80.
“A fine torneo non venni confermato al Parma. Dovevo andare al Varese in C, allenato da Eugenio Fascetti. Ero in ballottaggio con Salvi ex Sampdoria e Vicenza, ma il mister preferiva me anche per l’età visto che ero più giovane.
Ricordo che mi venne prendere al casello dell’autostrada Giuseppe Marotta, all’epoca responsabile del settore giovanile del Varese, era inizio settimana.
Cominciai ad allenarmi giornalmente con i miei nuovi compagni, avevo già parlato con il presidente, Mario Colantuoni. Poi la delusione: il venerdì si chiudeva il mercato a mezzanotte, ero al ristorante a cena con altri compagni di squadra quando mi raggiunse la notizia che, essendo saltato il trasferimento al Varese, sarei dovuto andare alla Reggina. Fu un brutto colpo perché Varese, allora, era una società modello, oltretutto quell’anno venne promosso in B”.
Come fu l’accoglienza a Reggio Calabria?
“Arrivato a Reggio Calabria fui accolto con calore dai tifosi perché, dopo aver giocato per anni a Bari, in meridione ero conosciuto. Mi colpi della città il tipico modo di vivere al sud, gente ospitale, simpatica e molto tifosa della squadra”.
Venne confermato a Reggio Calabria il soprannome vice Rivera?
“A Reggio Calabria ero semplicemente Scarrone, ormai erano passati anni da quando ero il vice Rivera”.
Un ricordo particolare della dirigenza reggina.
“All’epoca il presidente era Matacena, un vero personaggio, eccentrico, un vulcano di carattere, brillante e simpatico. Era proprietario della Caronte, traghetti che dalla Calabria arrivavano in Sicilia. Infatti spesso, il lunedì, giorno di riposo, andavamo a Messina, Taormina, Acitrezza per mangiare il pesce e per passare un po’ di tempo. Ricordo anche Asciotti in seguito subentrato a Matacena. Era una persona all’opposto di Matacena, però anche lui molto attaccato alla squadra ed a noi calciatori”
In tre anni con la Reggina due furono gli allenatori conosciuti: Adriano Buffoni e Gaetano Salvemini.
“Il terzo anno che trascorsi a Reggio arrivò come allenatore Salvemini a sostituire Buffoni. Con Buffoni feci due anni bellissimi. Oltre ad essere un ottimo allenatore e preparatore, Buffoni con me era un amico perché ero forse il più vecchio. Ebbe a che fare con gli altri calciatori, per lo più vari ragazzi giunti dalle giovanili del Torino. Alcuni molto forti sono poi arrivati in Serie A e B: Giacomo Ferri, Camolese, Cuttone; Snidaro ed altri giocarono in Serie C per anni”.
Dei tre anni trascorsi a Reggio Calabria, 1979-82 cosa ricorda in particolare?
“Ricordo Reggio come tutte le città e le società che mi hanno ospitato e mi hanno dato modo di fare un lavoro che reputo uno, se non il migliore, tra i lavori del mondo. Grazie al calcio ho gioito e sofferto, ho fatto divertire ed ho fatto arrabbiare, mi ha dato tanto e, ancora oggi, grazie al calcio prendo la vita seriamente, ma come un gioco dove non amo perdere, ma se non vinco non mi abbatto”.
Nel 1982 approda nella sua città natale, Alessandria, in C2.
“Da Reggio andai a Livorno dove rimasi fino a novembre 1982. Poiché volevo tonare ad Alessandria, manifestai tale mio desiderio ai dirigenti toscani che ringraziai per avermi accontentato”.
Ad Alessandria disputò tre Campionati ma la squadra, pur cambiando vari allenatori, non fece il balzo in C1.
“Giunto ad Alessandria trovai nuovi stimoli ed il Campionato in corso 1982-83, anche se per me fu ottimo, lo fu meno per la squadra”.
Nella stagione 1983-84 l’Alessandria si piazzò al terzo posto.
“Con Calleri presidente disputammo un buon campionato”.
Nel Campionato 1984-85 incontrò di nuovo Regalia e l’Alessandria sfiorò la promozione pur con un cambio di panchina fra Alberto Mari e Carlo Tagnin.
“Con l’arrivo di Regalia in qualità di direttore sportivo facemmo un buon campionato che avremmo potuto vincere, ma il girone d’andata fu mediocre causa incomprensioni con l’allenatore. Dopo la sostituzione dell’allenatore facemmo un girone di ritorno alla grande recuperando dieci punti o più al Prato, riuscendo ad andare allo spareggio con la medesima squadra. Perdemmo lo spareggio, purtroppo certe partite sono particolari. Perso lo spareggio, il presidente Calleri lasciò la squadra e, a quel punto, non si sapeva che futuro ci sarebbe stato”.
Il biennio 1985-87 vestì la maglia del Casale, promosso dall’Interregionale in C2 nella stagione 1985-86.
“Il Casale mi voleva a tutti i costi ed il presidente Cerruti, grande imprenditore, voleva attrezzare una compagine vincente ed io ero, diciamo, la ciliegina che mancava. Accettai il trasferimento anche perché mi fecero un contratto biennale consistente. Vincemmo il campionato con molti giovani in gamba che poi fecero carriera in campionati maggiori; fra i tanti il portiere Biato ed il centrocampista Melchiori. Feci due anni molto belli, ero vicino casa, la società era organizzata come una di serie superiore. Ci si allenava al pomeriggio e trovavamo indumenti e scarpe sempre puliti, era un bel gruppo”.
Dei campionati disputati nelle serie minori fine anni Ottanta, inizi Novanta, ha dei particolari ricordi?
Dopo i due anni con il Casale, disputai un campionato con il Biella, poi giocai ancora, fino a 49 anni, in diverse categorie dilettantistiche. Posso dire di aver giocato da amatore anche qualche partita con il Milan”.
Quando si rese conto che non avrebbe più giocato in A?
“Dopo il Milan non ho mai pensato con insistenza di ritornare in serie A in quanto, forse per la testa che avevo ed un po’ per il sistema calcio di allora, volevo solo giocare. Fuori dal terreno di gioco non rimpiango niente anche se tanti giocatori che hanno giocato con me ancora adesso, magari quando ci incontriamo, mi dicono che con un’altra testa avrei giocato parecchio in Serie A”.
Comunque calcio per sempre.
“Mi sono divertito molto e, ancora oggi, gioco a calcetto. Per me il calcio è una droga. Molto spesso mi capita di camminare per strada e vedo ragazzi che giocano come facevamo noi ai miei tempi e, fin quando posso ancora farlo, mi fermo e gioco con loro”.