La “settimana del decennale” di Fratelli d’Italia ha fatto registrare un rinnovato interesse rispetto alla questione, da più parti considerata cruciale, del “fare cultura” a destra. Non è un caso. La nuova fase politica ha finalmente reso evidente la necessità di aprire anche un “fronte culturale” in grado di riequilibrare decenni di monopolio “progressista”.
Nell’ambito delle giornate del decennale, organizzate da FdI a Roma, in Piazza del Popolo, particolarmente significativa è stata la tavola rotonda (protagonisti il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, Federico Mollicone, Gianpaolo Rossi, Alessandro Giuli, Pietrangelo Buttafuoco, Pupi Avati, coordinati dal sottosegretario alla cultura Gianmarco Mazzi) durante la quale sono state tracciate le linee per un nuovo immaginario italiano, impegnato a coniugare storie diverse all’interno di un’identità diffusa. Alla base – come ha specificato Mazzi – un’idea di cultura trasversale e complessa, resa evidente da 3.000 siti archeologici, 5.000 musei, 18.500 biblioteche, 2.000 tra castelli, ville e palazzi, 700 teatri, 3.100 schermi cinematografici, 9.000 aziende dell’audiovisivo e del digitale, 3.000 aziende discografiche, 5.000 aziende editoriali.
“Fare cultura”, anche all’interno delle Istituzioni, non può tuttavia significare limitarsi ad una gestione di “routine”, puramente amministrativa, nella misura in cui Cultura vuole dire esprimere anche una scelta “di campo”, capace di fissare dei discrimini “di valore”, intorno a cui sviluppare un organico progetto di sviluppo. Senza – con ciò – ipotizzare progetti egemonici di segno opposto.
“Nessuno – ha specificato il ministro Sangiuliano – vuole sostituire alla vecchia egemonia gramsciana una nuova egemonia: tutti noi qui presenti abbiamo subito pregiudizi che non vogliamo dare agli altri”.
Ben vengano piuttosto momenti di confronto/coesione, sull’onda della recente esperienza di Cagliari, dell’Ideario ‘22, un modello da diffondere in modo virale, convinti – come siamo – che governare con efficienza ed onestà , a livello di amministrazioni locali, non è sufficiente se – nel contempo – non si veicolano scelte capaci di incidere sull’immaginario collettivo.
Come ha scritto Augusto Grandi su Electomagazine.it : “Fabio Meloni – creatore di Ideario 2022, la manifestazione che ha portato Cagliari al centro della scena politica e culturale nello scorso fine settimana – non si accontenta, giustamente, del successo ottenuto e punta a trasformare la Sardegna nel laboratorio per una politica davvero nuova, libera dai condizionamenti che, a destra, fanno abortire anche i progetti più intelligenti e coraggiosi”.
“Fare rete”: mai come oggi l’invito, lanciato, due anni fa, da Manuela Lamberti e Raffaele Zanon, attraverso l’Arsenale delle idee, conferma la sua attualità. All’ordine del giorno realizzare l’auspicato “salto di qualità” del mondo della cultura non-conforme, dotandosi di “strumenti” adeguati.
Ci si scrolli perciò di dosso anche l’eterno complesso d’inferiorità, quello degli “esuli in Patria”, buono per altre stagioni, ma oggi – sull’onda dei nuovi assetti di governo – non più giustificabile. Perfino a sinistra si scopre la cultura di destra. E lo si fa senza la supponenza di un tempo, senza le demonizzazioni e le strumentalità con cui per decenni abbiamo dovuto fare i conti.
Emblematico l’ultimo numero del mensile “Millenium”, diretto da Peter Gomez, e collegato al “Fatto Quotidiano”.
Tra i vari articoli una lunga analisi del sociologo Domenico De Masi, non proprio un simpatizzante d’ambiente. Eppure le sue “sciabolate” non danno scampo al fronte “progressista”. “Il complesso di inferiorità culturale – scrive De Masi – ha fatto bene alla destra perché l’ha spinta a recuperare il ritardo mentre il complesso di superiorità affossava la sinistra, inducendola a cullarsi sui suoi allori. Se ora la sinistra ha perso le elezioni, la ragione forse più imperdonabile sta proprio nel suo ostinato atteggiamento di boriosa, intollerante, spocchiosa supponenza culturale nei confronti della destra”.
Negli ultimi anni, ha sottolineato De Masi, “mentre la sinistra chiudeva le sue scuole di partito, i suoi giornali, le sue case editrici, le sue librerie, la cultura di destra si diffondeva in modo carsico attraverso social media, giornali, riviste, libri, case editrici, film ed eventi di culto”.
Anche l’Ugl ha fatto la sua parte, mettendo al centro dell’attenzione – come ha specificato Paolo Capone su “La Meta del Sabato” – “ il valore della riflessione”, ospitando, la scorsa settimana, nella sede nazionale di Via Nomentana, la presentazione di cinque volumi, due dei quali editi da Edizioni Sindacali, la casa editrice della confederazione. Anche qui una sfida “di metodo” e “di valore”: “Si tratta – ha scritto Capone – di avere una visione del mondo, attingendo ogni volta che è possibile alle riflessioni del passato; senza di ciò l’azione sindacale sarebbe sterile, utile soltanto nel momento, però priva di qualsiasi prospettiva nel futuro più o meno immediato”.
Gli “ingredienti” per una controffensiva culturale dunque non mancano. Dai livelli ministeriali alle amministrazioni locali, dalla costruzione di un nuovo “immaginario italiano” alla necessità di dotarsi di adeguati strumenti di confronto, dall’attenzione da parte di certa sinistra all’impegno del Sindacalismo Nazionale sono tanti e diversi gli ambiti d’intervento.
Al centro un’idea di Cultura che non si adatta alle rigidità ideologiche, ma che vuole essere scuola di libertà, di creatività, di suggestioni diverse, che richiedono di essere “rappresentate”. A chi di dovere fare la propria parte: dalle istituzioni al mondo culturale al grande pubblico. Essenziale è non abbassare la guardia.
Tutto vero, ma perché (a parte trasmissioni e i dibattiti su rete 4) la produzione su Mediaset non si distingue per una seria distinzione dal mainstream dominante? E le case editrici di Berlusconi? Staremo a vedere per la Rai, quando saranno rinnovati i vertici, ma non credo che tutto possa essere risolto con una diffusione di tipo “carsico”, ovvero catacombale, mentre alla Einaudi, alla Mondadori, alla Rizzoli ben poco è cambiato. Le case editrici d’area andavano bene negli anni Settanta e Ottanta, ma oggi bisognerebbe arrivare al grande pubblico.
Il vero problema, a mio modesto avviso, è che la nostra sgangherata e corrotta ed incapace sinistra è, nel complesso, più votata della destra, comunque. A parte Fratelli dItalia, sopra il 30%, è il deserto dei tartari… FI è finita e la Lega si sta riducendo ai suoi lati peggiori. I grilloidi pentastellati e la sinistra PD sono il nulla, ma temo saranno destinati a vincere, ed a fare il pieno nel nostro Meridione, da sempre assetato di sussidi ed illegalità, data la crisi economica e sociale generata dalla sciagurata guerra d’Ucraina (e non solo)…
Tanto per andare sul concreto
E’ in scadenza il mandato del Direttore del salone del libro di Torino una delle più importanti manifestazioni culturali del Paese( se non la più importante per tutti gli insiti risvolti )
Pensate che la Giunta regionale del Piemonte abbia indicato tra i candidati alla successione di La Gioia un intellettuale anche solo vagamente di area?
Di cosa dobbiamo parlare di una dirigenza politica inadeguata?
Di intellettuali timidi nel proporsi?
O di una endemica incapacità strutturale di fare sistema tra cultura e politica
Agli “operai” della penna farsi domande per ribaltare gli scetticismi