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«Per il cameriere l’eroe non esiste: esiste per il mondo, per la realtà, per la storia». È questo un famoso detto di Hegel, che calza a pennello per il nuovo film “Dante” di Pupi Avati. La pellicola, ispirata al “Trattatello in laude di Dante” di Giovanni Boccaccio, che ne fu il primo biografo, ripercorre, con salti temporali piuttosto confusi, alcuni eventi della vita di Dante. Ma lo spettatore resterà deluso. E lo diciamo con rammarico nei confronti di un regista di cui pure in passato abbiamo apprezzato film come “I cavalieri che fecero l’impresa” o “Ma quando arrivano le ragazze?”
Nel film il regista bolognese non riesce a spiegare perché Dante è Dante: né la sua grandezza di poeta, né la sua visione politica imperiale, né la sua concezione della donna reale come possibile via iniziatica. Tutto è ridotto a bisogni corporali, l’incontro con Beatrice ad una banale infatuazione, la ricca vita medievale ad un mortorio, le scelte politiche del tempo ad un puntiglio. L’insistenza sui momenti del trapasso, la donna che si mangia il cuore, l’orrido bambolotto (a proposito, non capivano che portava sfiga?), che perseguita anche lo spettatore durante tutta la proiezione, sono scene degne di un film horror piuttosto che di un film storico-biografico. E perfino le colonne sonore rock – davvero niente di meno appropriato all’animo e al temperamento dantesco – aumentano il senso di disagio e di estraneità dello spettatore. Nemmeno la bella interpretazione di Sergio Castellitto nei panni di Giovanni Boccaccio riesce a riscattare un film che, a nostro avviso, non rimarrà nella storia del cinema.