Bruno Bolchi se n’è andato lo scorso 28 settembre lasciando un vuoto intriso di ricordi e nostalgie, di sentimenti e di passioni, in chi ha avuto modo di apprezzare non solo la sua professionalità, ma anche e soprattutto la sua signorilità, cose non da poco nell’attuale (in)civiltà modernista.
Non staremo a ripercorrere la sua ottima carriera di calciatore – nel 1961 si prese la soddisfazione di indossare la maglia Azzurra – e di allenatore, ma solo soffermarci su una grandissima impresa che Maciste fu capace di compiere nella stagione 1983-84, quando guidava il Bari in Serie C.
Si trattava di un Bari che nella stagione 1982-83 era retrocesso in C “grazie” alla incuria di una dirigenza che aveva tardato ad esonerare Enrico Catuzzi, il tecnico che un anno prima, strabiliando l’Italia calcistica, aveva rasentato la promozione in A con i famosi ragazzini baresi purosangue. Di conseguenza, tardiva fu la venuta – marzo 1983 – del grande Gigi Radice che, per il poco tempo avuto a disposizione, non poté rimediare al disastro annunciato. Giungeva intanto l’ora di Bruno Bolchi in biancorosso.
Precedentemente alla sua venuta nel capoluogo pugliese in qualità di tecnico biancorosso, di Bolchi abbiamo un tiepido ricordo risalente al Campionato di Serie C 1975-76, quando il suo Messina venne a misurarsi a Bari, al della Vittoria, nella gara di ritorno. Finì 1-0 per i biancorossi con un goal realizzato nel finale da Tivelli. Seduto in panchina avvolto da un elegante impermeabile bianco, Bolchi si alzò dallo scanno agitando velocemente ed a più riprese la mano destra verso l’alto. Inveì contro la sua squadra, colpevole di aver subito il goal ad una manciata di secondi dalla fine, o notò dell’altro?
Giunto a Bari nell’estate 1983, in tanti, giornalisti e tifosi, si affrettavano a chiedergli le cause della retrocessione in C. Maciste si limitava ad ipotizzare un qualche problema a livello di spogliatoio, ma oltre non poteva andare oltre nei giudizi visto che non era stato lui il responsabile della retrocessione.
Certo, Bolchi viene e verrà ricordato – ciò è innegabile – come l’allenatore della rinascita biancorossa che, dal 1983 al 1985, in meno di due anni, riuscì a portare il Bari dalla C alla A.
Ma vi è un’altra impresa indimenticabile che merita di essere ricordata. La si ebbe quando Maciste regalò al Bari ed ai suoi tifosi, l’unico “Scudetto” vinto dai biancorossi in termini di sudore, passione, esaltazione fino all’inverosimile: la eliminazione dalla Coppa Italia 1983-84 della Juventus, Signora del calcio italiano. All’epoca certi risultati facevano scalpore, al contrario di quanto avviene in questa epoca dove, causa il livellamento del calcio, non fa clamore una eventuale impresa di una squadra, fosse pure dilettantistica, su di un campo Olimpo del calcio.
Premesso che Bari e Juve conclusero a pari merito, con 6 punti, il primo turno del torneo qualificandosi entrambe – nel capoluogo pugliese, nell’agosto 1983 finì 2-2 con i bianconeri che nel finale capovolsero il doppio svantaggio – le due squadre si incontrarono nuovamente agli ottavi di finale in una doppia sfida andata e ritorno.
L’andata disputatasi a Torino l’8 febbraio 1984, di per sé ebbe già del clamoroso vista l’affermazione dei biancorossi con due goal di Messina e Lopez intervallati dal pareggio juventino di Scirea. Ma c’era il ritorno a Bari, capolista della C, in programma mercoledì 22 febbraio…di lì pochi giorni, il 26 febbraio era prevista la visita pastorale alla diocesi di Bari-Bitonto di Papa Giovanni Paolo II, abbracciato in quella circostanza da oltre 300 mila fedeli.
Ritorno di Bari-Juventus al della Vittoria…alla presenza di oltre 40 mila spettatori, juventini – non pochi – compresi
I biancorossi Lopez, Paolo Conti, Messina, Cavasin, Onofrio e Giovanni Loseto, De Trizio, Cuccovillo, Sola, se la dovevano vedere con i bianconeri – maglia gialla e calzoncini blu – Platini, Boniek, Cabrini, Gentile, Scirea, Tacconi, Vignola, Tardelli.
Un rigore realizzato da Messina a venti minuti dall’inizio parve arridere al Bari ma…nel secondo tempo fu la Juve a salire in cattedra. Con gli innesti di Tardelli e Koetting, giovanissimo e promettente attaccante destinato ad un futuro roseo in seguito non realizzatosi, il Bari subì il pareggio di Platini. Gli attacchi dei bianconeri di Trapattoni si fecero incessanti, il Bari cominciava ad annaspare. All’81 fu Tardelli a portare sul 2-1 la Juve: si andava verso i supplementari con un Bari stanco e la Signora che non demordeva. Furono minuti drammatici per i biancorossi fino a quando… Totò Lopez, con un geniale doppio passo ai danni di Scirea in area juventina (Curva Nord lato distinti), costrinse al fallo da rigore il libero della nazionale azzurra.
Grazie al penalty siglato da Lopez a pochi secondi dalla fine, il Bari si guadagnò il passaggio ai quarti, ma soprattutto procurò la clamorosa eliminazione della Juve. E fu apoteosi al della Vittoria, al di fuori dello stadio ed in tutta la città.
Quel Bari, dopo aver eliminato un’altra grande della A, la Fiorentina, raggiunse addirittura le semifinali venendo eliminato dal Verona del grande ex, Maurizio Jorio. Ma non fu un dramma perché, Grazie a Bolchi Maciste, il Bari, eliminando la Juventus – che in quell’annata vinse Campionato e Coppa delle Coppe – conseguì un successo pari alla conquista di uno Scudetto!