Un caro amico mi confessa di non provare per il successo elettorale di Fratelli d’Italia la gioia che ci si sarebbe potuti aspettare. “Noi – mi dice – la nostra grande occasione l’abbiamo conosciuta nel ’94”. E poi – non lo dice lui ma lo aggiungo io – è andata come è andata.
Confesso di non provare sentimenti molto diversi dai suoi. Con una differenza: che, appartenendo a un’altra generazione, di illusioni e disillusioni ne ho vissuta una di più, esattamente mezzo secolo fa, e, guarda caso, proprio in concomitanza anche allora con un anniversario a tutto tondo della marcia su Roma. Era il 1972. Il Movimento sociale l’anno prima, alle elezioni amministrative del 13 giugno, aveva raddoppiato i consensi in Sicilia e li aveva aumentati considerevolmente in altre parti d’Italia. Soffiava un vento di destra non solo nel mondo della politica, ma della cultura e dell’editoria. Il “Candido” di Giorgio Pisanò, che aveva rilevato la testata dopo la morte prematura di Guareschi, era letto non solo nello stretto ambito partitico, il “Borghese” poteva vantare una tiratura di tutto rispetto e collaboratori di prim’ordine, “Lo Specchio” di Giorgio Nelson Page, singolare figura di “americano di Roma”, era molto letto da una certa borghesia soprattutto romana. Il “Bagaglino” viveva i suoi momenti migliori e, oltre al “Conciliatore” di Piero Capello, che era una testata di buon livello, la destra poteva vantare due riviste di cultura: “Intervento”, di Giovanni Volpe, figlio dello storico Gioacchino, e “La Destra”, delle edizioni del Borghese, cui collaborarono alcuni fra i più bei nomi del panorama intellettuale internazionale, da Mircea Eliade a Ernst Jünger, da Michel de Saint-Pierre a Giuseppe Prezzolini. E proprio Prezzolini col suo Manifesto dei conservatori, un cui stralcio era stato pubblicato in anteprima sulla rivista, avrebbe realizzato un best seller.
A tutto questo si aggiungeva la nascita della Rusconi Libri, fondata e diretta dal cattolico tradizionalista Alfredo Cattabiani, un evento che, unito al successo di uno scrittore come Giuseppe Berto, ex inquilino del Criminal Fascist Camp di Hereford, e all’adesione al Msi del filosofo ex comunista Armando Plebe, fece gridare allo scandalo la sinistra, preoccupata per una “restaurazione culturale”.
Segretario del Movimento Sociale era Giorgio Almirante. Era stato eletto nel giugno del 1969, dopo la scomparsa prematura di Arturo Michelini, del quale era stato uno strenuo oppositore come capo della corrente della “sinistra sociale”. Siccome non sempre sono gli uomini a scegliere le circostanze, ma sono le circostanze a scegliere gli uomini, toccò a lui fare quello che il suo storico avversario Michelini – forse il miglior segretario che il Msi abbia avuto – avrebbe voluto: una politica di destra nazionale, l’equivalente di quella “grande destra” composta da monarchici, missini e liberali, che nel suo disegno avrebbe dovuto condizionare la Dc. Sull’onda del successo elettorale in Sicilia, Almirante aprì il partito a monarchici, a liberali e democristiani dissidenti, a militari che avevano combattuto dopo l’otto settembre nell’esercito del Sud, anche a qualche ex partigiano. Credo che dal cielo Michelini osservasse un po’ compiaciuto un po’ divertito a quella metamorfosi, dietro i suoi occhiali scuri che portava – come mi confidò Gaetano Rasi poco prima di morire – per nascondere un lieve strabismo.
L’iniziativa ebbe un iniziale successo, ma presto emersero le sue ambiguità. A differenza di Michelini, Almirante era un uomo della Rsi, innamorato del mito della sconfitta. La contaminazione col potere gli faceva orrore. In fondo credo che nell’intimo provasse fino all’ultimo il rimorso di non essere morto a Dongo come Fernando Mezzasoma, il ministro della Cultura popolare di cui era stato capo di gabinetto. Il ’72, anno delle elezioni politiche anticipate, era anche l’anno del cinquantenario della marcia su Roma e ovviamente la sinistra speculò sulla coincidenza, ma in fondo anche il partito giocò su alcune ambiguità. Credo che Almirante credesse davvero nella possibilità di acquisire consensi nella maggioranza silenziosa dichiarandosi disponibile a contrastare la contestazione studentesca e i movimenti estremisti di sinistra, in una logica che in parte ricalcava il vecchio squadrismo. “Aiutateci a difendervi” era uno degli slogan del partito in quel periodo e non mancò una circolare dell’ufficio scuola in cui si raccomandava ai responsabili del settore scuola nelle singole federazioni di inviare una lettera ai presidi in cui si offriva loro il contributo dei “giovani nazionali” contro occupazioni e violenze studentesche.
Dopo il relativo successo alle politiche del ’72 – inferiore alle previsioni anche per l’intervento a gamba tesa della magistratura, che arrestò senza prove Pino Rauti, candidato alla Camera del Msi-Dn, per un coinvolgimento nella strage di Piazza Fontana, cui era invece del tutto estraneo – Almirante fece uno dei più grandi errori della sua carriera politica: in un comizio a Firenze, all’allora cinema teatro Apollo, dichiarò che i giovani missini in caso di necessità sarebbero stati pronti a surrogare lo stato sino allo scontro frontale con i comunisti. La platea applaudì entusiasta. Disgraziatamente fra il pubblico c’era anche un cronista della “Nazione”, Piero Paoli, che riportò la frase facendone uno scoop su cui avrebbe costruito la sua carriera, salvo più tardi – divenuto collaboratore del “Giornale della Toscana” – riconoscere che Almirante aveva avuto i suoi meriti.
Ma di questo ho già scritto proprio su questo sito e non voglio ripetermi. Resta il fatto che il successo elettorale del Msi nel 1972 non bastò al partito a condizionare da destra la democrazia cristiana, che cercò di recuperare consenso varando un governo centrista, col ritorno del Pli nella coalizione (non a caso fu definito governo Andreotti-Malagodi). Ma pose presto le premesse per una demonizzazione della destra che avrebbe segnato in profondità i destini di una generazione. Gli anni Settanta, e in particolare il periodo compreso fra il 1973 e il 1977, furono per chi all’epoca aveva vent’anni e militava a destra “i peggiori anni della nostra vita”: carriere accademiche troncate, emarginazione da parte dei compagni di liceo o di università, nel migliore dei casi, nel peggiore… Almirante, che aveva commesso senz’altro i suoi bravi errori di strategia politica, fu grandissimo nell’affrontare la tragedia di quegli anni, nel tenere unita una comunità ferita dalla persecuzioni giudiziarie e dalla violenze dell’estrema sinistra, nel girare l’Italia da una federazione all’altra, da una sezione all’altra, da un funerale all’altro, nel tenere a freno i gruppi estremisti. Tanti anni fa, donna Assunta, reduce con me da una commemorazione di suo marito, mi fece una confessione che ancor oggi mi sgomenta. “Tanti nostri amici, che avevano dei figli, ci chiedevano consigli su come farli entrare nelle organizzazioni giovanili del Msi. E io dicevo loro: teneteli lontani.” Erano giorni formidabili solo nell’accezione latina del termine, che significa “terribili”.
Circa vent’anni dopo, quando un Movimento sociale che non era ancora passato per la svolta di Fiuggi andò al governo proprio grazie a quel sistema elettorale maggioritario che in un primo tempo aveva avversato, furono molti della mia generazione di quarantenni che sperarono di trovare in quello sconvolgimento del quadro politico una compensazione alle frustrazioni e alle persecuzioni di vent’anni prima. Fu un tragico errore, almeno per quanto mi riguarda, che descrissi a suo tempo nel pamphlet I tre anni che sconvolsero la Destra. “Le temps ne revient” e sbagliammo (sbagliai) nel cercare una rivincita o una compensazione alle mie frustrazioni personali.
Oggi, sono grato a Giorgia Meloni per il profilo saggiamente basso tenuto dopo l’incontrovertibile successo elettorale del 25 settembre. Ho seguito dall’esterno, con apparente distacco, la sua campagna elettorale: troppo era il timore di essere scambiato per una mosca cocchiera, per un eroe della quinta giornata, come si dice a Milano, o, peggio, per uno di quei gabbiani che seguono i pescherecci al ritorno nel molo di Viareggio sperando di accattare qualche avanzo di pesce gettato dall’equipaggio. Oggi mi astengo dal formulare consigli, per non essere scambiato per un grillo parlante (quello di Collodi, non quello di Casaleggio, ndr) e magari fare la sua fine. Tocca ad altri giovani o ex giovani, ad altri quarantenni che conobbi poco più che adolescenti, governare l’Italia. Formulo per loro i migliori auguri, anche se (anzi proprio perché) non sarà un compito facile. Del resto non è stato mai facile governare.
Concordo pienamente. Quegli anni vissuti a Torino, per me, tra il 1973 ed il ’77 furono orribili, segnati da intolleranze, faziosità, impotenza dello Stato, vigliaccheria democristiana in primis. Il rapimento di Moro (con le 5 vittime della sua scorta, purtroppo) fu poi vissuto da me e da molti amici come con rabbiosa soddisfazione: ti son piaciuti i comunisti? Goditeli sino in fondo, adesso! Moro fu inutilmente ucciso (le BR l’avevano già sputtanato, perchè farne un martire?), ma fece in tempo ad esibire tutta la sua pavidità ed inconsistenza, che era quella di una classe politica che aveva in buona misura campato sui parroci, le sacrestie, la paura del comunismo, l’appoggio di Washington, di Montini, mille ambiguità…
Bell’articolo. Tutto vero. Ma il vecchio Msi non aveva alternative. Dopo il referendm sul divorzio me ne staccai idealmente per alcuni anni. O rimaneva quello della del mito della sconfitta di Almirante, navigando sotto il 10%, o diventava quello di Alleanza Nazionale, alla quale mancò purtroppo un leader (meglio dimenticarsi di Fini) ed un personale politico capace ed all’altezza dell’Europa.
In tv l’illustre politologo Gianfranco Pasquino, oltre a sentenziare che Fratelli d’Italia sarebbe nato richiamandosi al fascismo – salvo poi negare arrogantemente di averlo detto, quando Capezzone gli ha fatto notare la gravità dell’affermazione -, ha detto che a lui il governo Andreotti-Malagodi sembrava molto più di destra della destra attuale. Sparate come questa spiegano il livello mediocre del mondo universitario italiano e la sua faziosità.
In effetti la Meloni si sta’ comportando molto ma molto meglio di come l’immaginavo.Credo che sia sbagliato dare un’altra chance agli ex finiani, non la meritano e complicheranno l’immagine del nuovo corso Meloniano.Mi da molto fastidio la boria di LaRussa,il merito della VITTORIA è merito esclusivamente di Giorgia,spero che non lo si infili in una posizione di rilievo..Marca male.
Enrico penso sappia che, in quegli anni (dal 1970 in avanti), da studente universitario, frequentavo Firenze, dove stazionava un buon gruppo di intellettuali, fra cui Marco Tarchi. E c’ero anche all’Apollo. Non mi resi conto della pericolosità della frase “da comizio” di Giorgio Almirante e, certamente, fu sproporzionato quanto ne soffrimmo fino alla scissione di Democrazia Nazionale.
Non mi aspettavo certo che avremmo vissuto di peggio ed il peggio è stata AN e Fini, vicenda squallida di servilismo antifascista ed all’ombra di un personaggio che ha svilito la politica, cioè Silvio Berlusconi.
Per questo stavolta ho votato FDI: di fronte al peggio il meno peggio è oro.
Ho dato retta a Veneziani, mentre a sentir Giuli, aedo del neoconservatorismo, quasi quasi non votavo.
Ricordo ad Enrico che anche il MSI ebbe rapporti con i conservatori (chi non ha letto Prezzolini?), gli inglesi sono venuti (come “damerini”) a corsi del FDG, ma noi eravamo altro da loro.
Per questo mi godo qualche soddisfazione, magari vacua, ma per ora va bene così.
E in parlamento dal 2006 votando tutte le leggi Berlusconi.
Nel 2011 ha votato, con TUTTI i suoi, Ruby nipote di Mubarak.
Inutile aggiungere altro .
Articolo molto bello (e condivisibile nella parte finale).