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Ho appreso la notizia della scomparsa di Gorbaciov con la sottile malinconia di quando si scopre che è morto qualcuno di cui non ci si ricordava neppure se era ancora vivo, tanto la sua memoria era stata – ingiustamente, credo – cancellata e rimossa. Uno degli uomini che hanno maggiormente contribuito a cambiare i destini del mondo non è sopravvissuto al suo tempo e da icona pop di fine millennio (penso a una malinconica ma veridica canzone di Raf, “Cosa resterà di questi anni Ottanta”) si era trasformato in un malinconico pensionato della storia.
Commise senza dubbio molti errori, per altro acutamente rilevati nei suoi rapporti da Mosca dall’ambasciatore Sergio Romano, per questo malvisto dai superiori tanto da essere destinato ad altra sede e indotto al prepensionamento: la burocrazia, e anche la diplomazia, non amano chi dispone di spirito critico. Eppure credo che non solo l’Occidente debba essergli grato, ma gli stessi russi. Ha contribuito, certo, alla disgregazione di un impero, e si è fidato ingenuamente delle parole (o della parola?) degli statunitensi, che gli promisero di non allargare la Nato a Est, con i risultati di cui oggi paghiamo le conseguenze. Ma credo che nonostante tutto nella Russia di oggi si viva molto meglio che nella Cina comunista, in cui per uno starnuto e un caso di Covid intere città vengono poste in quarantena. Dal punto di vista dell’interesse personale, penso che la vita mia come quella di tanti altri sarebbe stata migliore se il muro di Berlino non fosse caduto: infatti da quell’anno sono cominciati i guai per l’Italia, che ha perso il suo ruolo strategico nella geopolitica mondiale; ma non è con questi argomenti sanciopanciuti che si giudica uno statista.
Di Gorbaciov, vorrei ricordare però una virtù che mi ha sempre colpito, e che trovò conferma anche in un frangente molto singolare: la conferenza stampa che seguì alla cerimonia con cui gli venne conferito dalla Regione Toscana un importante riconoscimento, il Pegaso d’Oro. Nel corso di essa gli furono rivolte due domande particolarmente imbarazzanti, anche per una persona che come lui (era il 1994) non rivestiva più ruoli politici.
La prima riguardava i finanziamenti dell’Urss al Pci, uscito fortunosamente immune dalla bufera di tangentopoli nonostante avesse notoriamente beneficiato dell’“oro di Mosca”. Dopo un momento di riflessione, Gorbaciov assentì confessando di avere egli stesso sottoscritto i mandati di pagamento. Lascio immaginare l’imbarazzo degli esponenti dell’ex Pci riconvertitosi in Pds, primo fra tutti Vannino Chiti, allora presidente della Regione.
L’altra domanda invece riguardava la partecipazione di un partito come Alleanza Nazionale al primo governo Berlusconi, da poco formatosi e destinato – ma allora non si poteva immaginare – a una precoce caduta per le paturnie di Bossi e le manovre di Scalfaro. Alleanza Nazionale, è bene ricordarlo, aveva ben più stretti legami di Fratelli d’Italia col passato, era strettamente in mano alla vecchia dirigenza missina, anzi per certi aspetti il suo logo era una foglia di fico per coprire l’eredità neofascista. Gorbaciov rispose educatamente che aveva troppa stima del popolo italiano per mettere in discussione le scelte del Parlamento che aveva eletto. Un espediente diplomatico? Anche, forse, ma pure un sincero tributo alle regole democratiche da parte dello statista che aveva fatto uscire il suo Paese da oltre settant’anni di pseudodittatura del proletariato (pseudo non perché non fosse una dittatura, ma perché a comandare non erano gli operai e i contadini, ma gli esponenti della nomenklatura).
Non posso fare a meno di apprezzare quelle due risposte meditando sull’infimo livello cui larga parte della sinistra ha fatto abbassare il dibattito preelettorale. Un partito in cui non sono rari gli eredi politici e morali di quanti per quarant’anni hanno beneficiato dell’oro di Mosca rinfaccia ai leghisti presunti finanziamenti o benefit da parte della Russia. E politici, cantanti, cineasti, commedianti e tragedianti non perdono occasione per accusare Giorgia Meloni di voler replicare, a un secolo dalla marcia su Roma, l’esperienza fascista, approfittando per giunta di spazi, come la Mostra del Cinema di Venezia (creatura, per altro, del deprecato ventennio) che specie in campagna elettorale dovrebbero rimanere quanto più politicamente asettici possibile. Spiace dirlo, ma un ex segretario del Pcus aveva delle regole democratiche un concetto più alto dell’odierno segretario del Pd e di tanti suoi buccellari.
Negli anni ‘90 la Russia versava nel caos totale. Al netto dei sonori e giusti schiaffoni rifilati ai товарищ italiani, non sopravvaluterei la levatura di Gorbaciov.
Fu De Mita che volle il trasferimento da Mosca di Sergio Romano, tacciandolo di ‘reazionario’…
L’oro di Mosca e prima l’oro rubato a Dongo ai gerarchi in fuga. Parecchi partigiani comunisti furono uccisi per questo dopo il 27 aprile 1945, perchè sapevano…
Uccisi da altri comunisti, ça va sans dire….