“La pelle è sempre in prima linea come i cappotti le madri i villaggi…sanguina respira”. Sono versi di Chandra Livia Candiani e non so perché scattano in testa, guardando Laura Marinoni. Forse perché Laura Marinoni ama i poeti e ama questa poetessa, come ama Franco Arminio e Franco Battiato. Forse è solo perché Laura Marinoni presta la pelle ai suoi personaggi, anzi si fa lei stessa loro pelle, loro corpo.
Pare che Giorgio Strelher le abbia detto, dinanzi a una sua titubanza (titubante la Marinoni? Mah!) di recitare con culo e gambe. E lei ha preso il suo corpo e l’ha spostato sul palcoscenico e sta ancora lì, da quarant’anni. Sovrano.
Laura Marinoni è la regina Clitemnestra in “Agamennone” e in “Coefore Eumenidi” di Eschilo per la regia di Davide Livermore nella Stagione 2022 di Rappresentazioni Classiche al Teatro Greco di Siracusa. Ma è stata anche un’indimenticabile Elena, così come è stata un elenco lunghissimo di personaggi femminili. La figliastra in “Sei personaggi in cerca d’autore” con la regia di Giuseppe Patroni Griffi, Lolita per Luca Ronconi (premio UBU 2001) e ha recitato testi di Goldoni, Shakespeare, Tennessee Williams, Marivaux, Corneille, Pinter. Basta scorrere i nomi degli autori e poi dei registi (oltre quelli citati ci sono Gabriele Lavia, Giorgio Albertazzi, Marco Sciaccaluga e Mario Ferrero) per capire quante pelli e quanti corpi, quanti caratteri e quanti ritmi. Voleva insegnare letteratura e farsi suora di clausura: a sedici anni frequentava conventi e cantava in chiesa. Un sacerdote nell’oratorio riscriveva operette e lei recitava, cantava e ballava. Alla fine il teatro si è fatto divorare da lei. Non ha smesso di cantare: canto lirico, L’Opera da tre soldi con la regia di Pietro Carriglio le vale il premio Flaiano nel 2004, il canto pop. “La ricerca di quale fosse la mia voce è cresciuta ne tempo, finchè mi sono presa la responsabilità di adattare L’amore al tempo del colera con Alessandro Nidi dove canto e faccio tutti i personaggi, compreso il pappagallo, e poi di interpretare e curare la regia di La Gilda del Mac Mahon di Giovanni Testori”.
Attrice pluripremiata, nel 2021 le è stato assegnato il premio Flaiano alla carriera. Desiderio, furore, passione disegnano il triangolo in cui si muovono i personaggi che ha incarnato, e di suo Laura Marinoni vi ha aggiunto bellezza, vitalità, inquietudine e sensibilità.
Te ne accorgi, quando riesce a commuoversi anche durante un’intervista nel crepuscolo di maggio in una piazza. Quando recita una battuta di Clitemnestra – “volete esiliare me e non dite niente di Agamennone che non si è dato pensiero di nostra figlia e che l’ha uccisa come una pecora” – la voce trema e poi esclama, con gli occhi lucidi: “Clitemnestra ha un grande cuore!”. Il bello è accorgersi che quella commozione passa anche a te. Poi le confessi il tuo debole per i costumi disegnati per Clitemnestra da Gianluca Falaschi e lei ride e si illumina.
Laura Marinoni al Teatro Greco di Siracusa è arrivata nel 2002 con Ronconi (è stata Io in “Prometeo incatenato”), poi nel 2011 è la protagonista di “Andromaca” per la regia di Luca De Fusco e nel 2013 è stata Giocasta in “Edipo re” di Daniele Salvo. Fino all’incontro con Davide Livermore e la sua formidabile compagnia.
Davide Livermore, Laura Marinoni e Clitemnestra: raccontami questo triangolo…
“Non ho fatto alcuna fatica a entrare in questa galoppata tragica. Con Davide (Livermore n.d.r.) è ormai così: lui non mi dice più niente, io non gli dico più niente e abbiamo una specie di comprensione magica. Lui è un alchimista la cui dote più grande è l’intuizione, la capacità di mettere insieme tante tessere. Dopo l’ultima replica di Elena io piangevo come una fontana perché lui faceva solo regie liriche e pensavo che sarebbe stata per me la prima e l’ultima volta. Poi il destino mi ha dato con lui altre opportunità fino a questa Orestea e il prossimo inverno sarò per lui Maria Stuarda. Per quanto riguarda Ciltemnestra, Livermore ha intuito che Eschilo disegna una figura di donna estremamente comprensibile nel suo essere madre, tanto da inventarsi la presenza di Ifigenia in scena. Non è vero che sia in “Agamennone” che in “Coefore Eumenidi” Clitemnestra sia tutt’altro che madre: in realtà lei tutto quello che fa lo fa in funzione della figlia e della sua storia. Devastata dal punto di vista umano e sentimentale, si è ritrovata anche a reggere Argo, a diventare una stratega, ad avere il “maschio cuore” di cui parla la sentinella all’inizio della tragedia. Che non significa assolutamente androginia, anzi: Clitemnestra è una donna estremamente seducente, tanto da riuscire dopo dieci anni a conquistare il marito arrivato con la sua amante. Clitemnestra vuol dire astuto consigliere e lei ha nel nome la genialità di costruire la sua vendetta nei minimi particolari. Lei non è solo la mano che uccide ma è anche la mente e tutte e due le cose assieme. Coesistono l’ossessione lucida e il dolore che le ha tolto le lacrime. E’ convinta anche di agire per la giustizia con la G maiuscola. Se in questa tragedia tutti pesano di essere nel giusto, lei si muove per vendicare la destituzione della sua vita”.
Clitemnestra, guardata nel complesso dell’intera trilogia di Orestea (il 9 luglio sarà rappresentata la trilogia), è colpevole: assassina, adultera del letto coniugale e traditrice di Argo. Per Laura Marinoni chi è Clitemnestra?
“Come faccio sempre con i personaggi che devo affrontare, cerco di non giudicare mai il personaggio ma di scoprirlo. E’ impressionante scoprire sempre come il teatro debba essere agito. Voglio dire che puoi studiare tantissimo, essere un filologo, un grecista, un professore di teatro ma l’aura o il mistero del personaggio lo capisci solo quando provi a muoverti, quando dalla memoria fatta ad alta voce, ti tuffi in una dimensione concreta. Il teatro è artigianato e l’immaginario deve essere portato fisicamente in scena. Il teatro è corpo, è dare corpo alle parole. Tu hai il tuo corpo che è un corpo particolare e non importa se è bello o brutto, alto o basso, magro o grasso. Il famoso phsique du role è proprio questo e io credo di averlo. A questa donna è stato negato l’amore del primo marito e di due figli. Io, da madre, so che per mio figlio potrei fare qualsiasi cosa, compreso dare la vita. Questo è quello lei che fa. Nell’ultimo monologo Clitemnestra, in questa regia, getta il pugnale, esce: da quel momento finisce la sua sete di sangue. Davide Livermore mi diceva di sentire nella bocca il sangue. Io l’ho fatto e vi ho unito la consapevolezza che, dopo questo grande sfogo, non può uscirne viva. Alla fine lei dice “io prendo la colpa dell’accaduto per quanto spaventosa sia”. Un giorno la mia amica Maria Grazia Solano mi ha detto che sono il cuore dello spettacolo: non era solo un complimento a me ma a Clitemnestra che avanza con il cuore, che pulsa come fa all’inizio nel monologo dei fuochi. Ma è una donna e sappiamo bene che gli omicidi da parte delle donne venivano considerati abominevoli e se una donna veniva uccisa non contava niente. Poi Eschilo, nella sua meravigliosa visione, pensa di portare a compimento il mito, con l’istituzione della democrazia. Ossia non possiamo farci giustizia da soli”.
Laura Marinoni e il palcoscenico: che storia è?
“Sento che solo in scena riesco a essere me stessa fino in fondo. Per me è naturale, non faccio alcuno sforzo. Studio ma poi in me prevale l’istinto, la gioia del gioco teatrale, come quando da bambini si dice “facciamo che io ero…”. Dico sempre ai miei allievi che per fare la tragedia ci vuole il sole nel cuore: la tragedia è un rito da cantare insieme. Per indole sono un’entusiasta nel senso letterale di en thèos, del dio dentro. E’ stato un vero regalo aver intuito da ragazzina quello che sarei stata e il veicolo per arrivarci per me è un’epifania, un dharma. Io sento che è per per il teatro che sono nata”.
Come metti insieme il dharma e lo yoga con il teatro?
“Insegno yoga e sono sempre stata una mistica, fin da bambina. A sedici anni volevo entrare in clausura, mia madre era disperata, perché prendevo il mio treno da Milano e andavo ad Arma di Taggia nel convento delle suorine francesi e facevo i ritiri. Sentivo una forte vocazione pur non essendo una ragazzina asociale. Avevo e ho un’attrazione per tutto quello che è spirituale. Ma poi, in poco tempo, mi iscrissi in accademia per fare l’attrice. Ecco: la mia vocazione era una vocazione teatrale. Credo sia la stessa vocazione perché il lavoro dell’attore è una straordinaria ricerca spirituale. Viaggiare in altri mondi e in altri corpi è viaggiare e cercare se stessi o dio. In una comunità vicino Assisi ho capito che la mia dimensione era quella dello yoga, in quanto unione di corpo e spirito e mente. Per quelle due ore a sera che passo in scena in totale esposizione, mi serve il doppio di silenzio e di ritiro. In realtà l’attore deve essere capace di ascoltare più che di parlare. Lo yoga mi ha permesso di sentire l’allegria di fare questo lavoro. Il teatro va vissuto con gioia immensa”.
Alla fine dell’intervista Laura Marinoni confessa “sto perdendo ogni tipo di ritegno, come dice Clitemnestra, e di paura: nella mia maturità voglio seguire solo il mio istinto”. Ma di ogni parola detta qui resta la morbidezza e la dolcezza della sua Gilda.