Massimo Lavezzo Cassinelli, membro della carriera diplomatica italiana per 34 anni, ha prestato servizio in Giordania (durante la prima guerra del Golfo) e in una mezza dozzina di altri Paesi. E’ stato vice rappresentante permanente alla FAO e ambasciatore in Armenia e nel Principato di Monaco. Ha già più volte collaborato con Barbadillo, ma in questa occasione gli chiediamo di rispondere a qualche domanda sull’attualità geopolitica e, in particolare, sugli eventi bellici in Ucraina.
Ambasciatore Lavezzo, come giudica la posizione italiana riguardo alla crisi russo-ucraina? Non crede che stiamo peccando, come minimo, di incoerenza, appoggiando l’invio di armi a Kiev e, allo stesso tempo, presentando un “piano di pace”, peraltro mai pubblicato?
“Qualche critica potrebbe in effetti essere avanzata. Prima del 24 febbraio, la preannunciata visita in Russia del nostro Presidente del Consiglio avrebbe potuto contribuire a disinnescare in qualche modo la crisi, grazie agli ottimi rapporti da sempre intercorsi fra Roma e Mosca. Draghi avrebbe forse ottenuto risultati più concludenti di quelli di Macron e Scholz, anche perché l’Italia, in quanto potenza di medio calibro, avrebbe potuto apparire agli occhi russi una mediatrice più credibile, come era del resto sembrato in occasione dell’incontro Lavrov-Di Maio del 17 febbraio.
Perduta quest’occasione, l’esplodere della crisi ha poi obbligato Roma a mostrarsi solidale – com’era giusto che fosse – con l’Ucraina aggredita e con gli alleati occidentali. Nondimeno, il nostro immediato allineamento alla decisione di inviare armi a Kiev (comunque avallato a grandissima maggioranza dal Parlamento) ci ha poi messo nelle condizioni di essere accusati di cobelligeranza da parte di Mosca: e purtroppo con qualche ragione”.
Non crede che, con l’invio di armi, sia stato violato l’art.11 della Costituzione?
“Questo no. L’art.11 parla di ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: mi sembra si tratti proprio dell’identikit dell’ ”operazione militare speciale” di Putin, alla quale dunque giustamente ci opponiamo. Parlo della situazione di fatto: riforniamo di armi un esercito che, pur resistendo legittimamente ad un’invasione, combatte comunque quello di un altro Paese; non può apparire strano che quest’ultimo ci consideri cobelligeranti”.
E riguardo al cosiddetto “piano di pace italiano”? Come possiamo porci come mediatori essendo, appunto, cobelligeranti con una delle due parti?
“In effetti, è difficile negare che nella posizione italiana ci sia qualche contraddizione. In ogni caso, il “piano” presentato il 17 maggio dal nostro Ministro degli Esteri al Segretario Generale dell’Onu non è mai stato diffuso nella sua interezza, neppure ai due contendenti; e lo stesso Di Maio ne ha poi parlato come di un documento allo stato embrionale. Al netto dei commenti sprezzanti di Medvedev e Lavrov e di quelli comunque non positivi del Ministro degli Esteri ucraino, si tratta, credo, di una “road map” suscettibile di fornire varie indicazioni utili, ma che non è stata adeguatamente promossa di fronte alla comunità internazionale. Probabilmente, la ragione di questa scelta di basso profilo è dovuta proprio all’oggettiva difficoltà di soddisfare le pretese delle parti in causa, soprattutto partendo da una posizione, come si diceva, di non reale neutralità”.
In ogni caso, come potrebbe rivelarsi utile il documento italiano, una volta che le parti abbiano preso in considerazione l’idea di sospendere le ostilità?
“Da quello che sappiamo, il “piano di pace” presentato da Di Maio al Segretario Generale Guterres consterebbe di quattro punti: cessate il fuoco; neutralità dell’Ucraina internazionalmente garantita; larga autonomia per i territori contesi nel quadro della sovranità ucraina; accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa. Dovrebbe anche essere costituito un “Gruppo Internazionale di Facilitazione” con poteri di monitoraggio del rispetto degli accordi e un ruolo attivo nella ricostruzione dell’Ucraina. Si tratta di proposte che, se appaiono oggi molto lontane dalla dura realtà del terreno (penso soprattutto a quella che prevede la conservazione della sovranità ucraina sui territori occupati da Mosca), possono costituire utili spunti di riflessione: una volta, naturalmente, che siano completati ed ufficializzati (il nostro Presidente del Consiglio, ad esempio, non ne ha mai fatto menzione)”.
Più in generale, come vede le possibilità del nostro Paese di influire davvero in questa crisi?
“Scarse, a causa dei pochi mezzi a nostra disposizione ma anche del forse eccessivo fervore atlantista mostrato nella prima fase della guerra, che sembra averci definitivamente alienato le simpatie della Federazione Russa, certo responsabile di gravissime violazioni del diritto internazionale ma senza il cui accordo non si arriverebbe mai ad una soluzione. Ma, ritengo, in ascesa dopo il recente incontro a Washington fra Biden e Draghi, durante il quale il nostro Presidente del Consiglio non si è limitato, come da più parti si temeva, ad assentire alle richieste dell’alleato americano, allineandosi invece in qualche modo alle posizioni francese e tedesca. Un’intesa fra i tre maggiori Paesi europei è assolutamente necessaria, a mio parere, al fine di portare avanti una credibile azione di mediazione tesa prima di tutto a sottrarre il popolo ucraino alle sue attuali sofferenze; e, in seguito, ad avviare le trattative per una sistemazione a più lungo termine”.
Passando al “milieu” nazionale, come giudica le confrontazioni verbali anche violente cui, riguardo alla guerra ucraina, assistiamo sui nostri media?
“Le giudico molto male. Il dibattito si è infatti fin dall’inizio diviso da noi in due campi contrapposti e incompatibili, in maniera che mi è sembrata analoga a quanto accaduto durante la pandemia da Covid-19. Purtroppo è rapidamente emerso, nel nostro mainstream politico e giornalistico, un tipo di narrazione radicalmente antirusso, che tende a togliere il diritto di parola a chiunque la pensi in modo differente o, comunque, esprima qualche preoccupazione per le conseguenze dell’azione occidentale volta ad armare Kiev. Questa stessa intervista potrebbe a buona ragione essere considerata troppo “fuori dal coro”; e, d’altra parte, mi è capitato recentemente di dover abbandonare una chat, pur di alto livello, in cui la completa libertà di espressione veniva assicurata soltanto a chi faceva mostra di essere totalmente allineato con il pensiero dominante”.
Peraltro, sembra oggi che l’opinione pubblica italiana stia cambiando posizione.
“Sì, gli ultimi sondaggi attribuiscono ormai un’ampia maggioranza a coloro che non desiderano proseguire nella politica di armamento delle forze armate ucraine. Considero questo sviluppo molto positivo: sebbene molti governanti occidentali la pensino in maniera opposta, la Russia è un Paese di importanza vitale per l’intero nostro continente, di cui costituisce parte integrante dal punto di vista culturale ed economico. Pertanto, nonostante le gravissime azioni dei suoi attuali governanti, l’Europa e l’Italia devono fare tutto quanto in loro potere per mantenerla, al pari dell’Ucraina, nel solco della “civile convivenza” internazionale. La telefonata odierna fra Draghi e Putin dovrebbe, spero, muoversi in questo senso”.
Bella analisi. Ma a qualcuno non sarà sembrato strano che il presidente ucraniano abbia lasciato la sua unità migliore – il Battaglione Azov – inutilmente chiuso nel cul-de-sac della acciaieria di Mariupol, per farlo bombardare, decimare e poi inevitabilmente catturare da Putin (che sta allestendo per i superstiti una sorta di nuovo Processo di Norimberga, ho letto), quando poteva essergli militarmente assai più utile altrove? Ah, sapere che cosa Putin avrà promesso in cambio all’arcinemico (ma solo nella logica corrente)…forse con il suggerimento o la benedizione di qualcuno…