Claudio Risé, professore universitario, psicoanalista e scrittore,nonché firma del quotidiano “La Verità”, l’impatto di questi due anni di Covid è stato devastante. Nemmeno il tempo di riprendere fiato, e arriva uno scontro bellico di così vaste proporzioni a mettere in apprensione il mondo. Lei ha insegnato per diversi anni a Scienze diplomatiche: Polemologia, lo studio della guerra. Pandemia, restrizioni e guerra che effetto avranno sulla crescita dei giovani?
“Le pandemie come le guerre sono esperienze forti, con importanti effetti formativi oppure danneggianti, a volte decisivi sulle generazioni che le sperimentano. Molto dipende dall’atteggiamento degli adulti: se siano consapevoli dell’importanza formativa del ruolo che sono chiamati a svolgere in queste situazioni, o se pensino soprattutto ai fatti loro”.
Lei che impressione ha?
“Che si occupino soprattutto di se stessi. Pensiamo a cosa è successo con il Covid, un’esperienza esistenziale totale, dove era possibile oltre che contrastare il virus contribuire allo sviluppo delle qualità umane e spirituali di un’intera generazione. Invece tutto è stato giocato sull’incremento della paura e la totale rimozione del coraggio per più di due anni, senza rinunciare a nulla che potesse aumentare il panico e la depressione. Con la massima attenzione invece al potere e allo spazio che poteva derivare ai politici dalla gestione della calamità. Il tutto aggravato dagli interventi sulle libertà, arrivando ad obbligare all’immobilità forzata e alla sospensione di ogni attività di movimento fisico e rapporto con la natura anche quando non ce n’era nessun bisogno; in un Paese poi come il nostro, ricco di risorse naturali”.
Ed ora con lo scoppio della guerra? Come fare di una guerra un fattore di crescita per la generazione che vi assiste?
“Perché una guerra abbia una funzione educativa è necessaria innanzitutto la massima limpidezza sulle ragioni per la quale è fatta. Ora da anni i tentativi americani e europei di avvicinarsi alla sfera di influenza che avevano riconosciuto alla Russia dopo gli accordi successivi alla caduta dell’URSS sono considerati pericolosi dagli stessi centri politici e di studio americani. Come mai non sono stati abbandonati?
È infatti per le pretese dell’Ucraina su territori abitati in gran parte da russi, e di entrare nella Nato che Putin ora ha iniziato l’invasione, a cui l’Occidente ha risposto con durissime sanzioni economiche, destabilizzando l’interscambio mondiale. Scriveva già nel 2020 Foreign Affairs, una delle più autorevoli riviste di studi internazionali (tra l’altro molto vicina al Dipartimento di Stato americano): “L’Occidente deve smettere ogni ulteriore allargamento della Nato e dell”UE nell’Europa dell’est”. Invece si è continuato nelle azioni che alla fine hanno provocato la reazione di Putin. Eppure anche un diplomatico americano sperimentato come Leslie Gelb aveva avvisato fin dal 2015: “E’ del tutto irrealistico pensare che l’Occidente ottenga dalla Russia le autolimitazioni che le chiede senza trattarla come una grande potenza che possiede reali e legittimi interessi”.
Nessuna sorpresa dunque, ma a quanto pare c’è molta determinazione nel rompere gli equilibri internazionali costruiti faticosamente nei decenni, rischiando un disastro mondiale… Non proprio un comportamento cristallino e un esempio educativo per le prossime generazioni”.
In passato ha scritto molto del maschio selvatico e della riconversione dei giovani alla natura. Che antidoti ci sono alla digitalizzazione delle esistenze della generazione Z?
“L’antidoto è il corpo, con lo spirito da cui è animato. Il tutto va portato nella natura il più possibile incontaminata, rappresentazione vivente dello spirito divino, per depurarci dalle tossine specifiche del processo di secolarizzazione degli ultimi secoli di materialismo scientista. Non è uno scambio sfavorevole: riprendersi un corpo e un’anima in cambio di un fastidiosissimo gadget”.