Dalle chat ai social, ormai la politica si fa così. L’ultima notizia che arriva da Napoli è scoraggiante: Fratelli d’Italia ha presentato dieci liste per le Municipalità, otto di queste sarebbero state respinte. Il centrodestra in città è all’anno zero, i militanti si rizelano e chiedono “lanciafiamme”. La questione, come molti invocano sia in pubblico che in privato, non può più essere considerata solo ed esclusivamente come un affare locale (anche se c’è sempre la via di salvataggio dei ricorsi).
Il caos
Prima le risse, vergognose, in una sede di partito che finiscono in pubblico. Poi la bocciatura, tremenda, delle liste. È tutto da rifare. Nella terza città d’Italia, nella capitale del Sud dove persino un uomo della statura di Giorgio Almirante si confrontò con le elezioni comunali riuscendo a sedere nella Sala dei Baroni.
Ronghi: “Otto liste respinte, complimenti per il bel risultato”
A sganciare la “bomba” che ha innescato l’ultimo dibattito è stato un post social di Salvatore Ronghi. Che ha chiesto scusa alla cittadinanza per tutto quanto sta accadendo nei “quartieri” destri della città.
“Un Parlamentare responsabile per le liste, due consiglieri regionali e un consigliere comunale non sono sufficienti a garantire la presentazione delle liste di Fratelli d’Italia nelle Municipalità di Napoli. Respinte, allo stato, otto su dieci, bel risultato, complimenti. Chiedo scusa, da uomo di Destra, a tutti coloro che avevano dato disponibilità alla candidatura e sono rimasti delusi dalla impreparazione di questi dirigenti”.
Parole nette e senza appello.
Laboccetta: “Dilettanti allo sbaraglio”
Tra gli altri, è intervenuto anche l’ex deputato Amedeo Laboccetta. Che non ha certo utilizzato parole dolci né ha voluto nascondere la drammatica situazione della politica in città. A Napoli, la disaffezione ormai è un problema trasversale. In una nota, Laboccetta ha dichiarato:
“Giro Napoli quartiere per quartiere. Incontro e parlo con il popolo vero. Delle prossime comunali nessuno vuol discutere. Il 70 per cento pensa ad altro. La vicenda riguarda solo alcuni apparati, i candidati, e qualche pseudo leader politico. La Politica da tempo a Napoli è andata in esilio”.
Quindi l’affondo:
“Se definisco la coalizione di centrodestra in città come un gruppo di dilettanti allo sbaraglio finisco per farle un complimento. Una tristezza infinita, per chi ha avuto l’onore, il privilegio ed il piacere di misurarsi nella storica Sala dei Baroni con i giganti della Politica. Grazie a Dio esiste una galassia di rifugi culturali. E da quelli è necessario ripartire”.
La retorica del ghetto assediato non basta più
Intanto s’alza qualche voce che tenta una giustificazione. I ricorsi saranno presentati e c’è fiducia sull’esito. Ma il problema è che, diciamocela tutta, un partito che abbia serie intenzioni di governare non si riduce a sgobbare di notte per presentare le liste e dovrebbe comunque avere un piano serio per far fronte a eventuali diserzioni dell’ultima ora. Ma a tutto c’è rimedio e, dal punto di vista della comunicazione, la retorica vagamente complottista, quella del ghetto assediato da ogni parte che nonostante tutto riesce a far qualcosa e che “gli errori ci stanno”, dovrebbe assolvere tutti. Certo, a patto di rinunciare – una volta e per sempre – alla storia di quello che è stata la destra a Napoli. Che non è stata solo megafoni, slogan e pauperismo, manifestazioni o motti audaci, fiamme, celtiche o anticaglie da collezione. Utili a fare il carico di “mi piace” sui social con la leva della nostalgia. Ma, incredibilmente, è stata (prima che altrove) idea di governo e di città.
Farsi del male da soli
La storia della destra napoletana (non per forza post-fascista) è alta e nobile. E, soprattutto, è una storia di governo. Con il Msi, Almirante si candida e viene eletto. Non per la casella di rappresentanza ma per dare corpo alla battaglia per l’elezione diretta del sindaco e, dunque, quella del presidenzialismo. C’è la storia della “destra di governo” teorizzata, tra i primi in città, da Antonio Mazzone. Prima ancora c’è l’esperienza di Achille Lauro, il cui racconto è stato colpevolmente lasciato agli avversari. Altro che città di sinistra, Napoli; Benedetto Croce comunista non lo è mai stato.
C’è una traccia profonda che la destra culturale pare aver dimenticato e quella politica non sembra all’altezza di raccogliere e sviluppare. Ma, probabilmente, è più facile rintanarsi nel luogo comune della “Stalingrado del Sud” (ma quando mai…) consolidando la primazia della sinistra.
Che gusto c’è a perdere così?
E proprio quando, con la fine dei dieci e passa anni dell’amministrazione de Magistris, si poteva riprendere in mano il filo di un discorso interrotto dalla improvvida candidatura folk di Alessandra Mussolini, ecco che accade praticamente di tutto. Solo che a Napoli, tra Maresca che mal sopporta i partiti di destra e i nervi ormai sconvolti, succede molto più rumorosamente che a Roma e Milano. O persino a Torino. Dove, guarda caso, i candidati sono tutti “civici”. Insomma, la destra che auto-boccia la sua classe dirigente. Dando ragione, implicitamente, a chi l’accusa di non avere personale politico all’altezza delle sfide di governo non solo sul piano locale ma anche su quello nazionale.
Si può perdere in tanti modi, è lecito e accade; ma non rinunciando a giocarsela, abbandonando a se stessa la città più importante del Mezzogiorno, delegittimando la propria storia e la propria credibilità come forza di governo. Ci sarebbe da misurarsi sulle sfide più importanti del futuro. Napoli è più di un laboratorio, è una metropoli che anticipa le dinamiche (e non solo politiche) dell’intero Paese. Tirarsi fuori dalla sfida non sembra una mossa azzeccata. A meno che non si ritenga che la politica possa farsi cavalcando gli algoritmi e postando compulsivamente le figurine social.