Morte di una stella. A Lugano, il 17 luglio 2021. Cause del decesso non rivelate.
Pubblicavo in questo Magazine il 20 giugno 2019, Focus. Nel ’50 c’erano a Torino delle automobili col marchio Lancia e il figlio del grande Monsù Censin…alcuni tratti della storia di Gianni Lancia e della moglie Jacqueline Sassard.
Nel giugno 2014, a causa del limitato gradimento registrato nei Paesi europei dai modelli di origine Chrysler (Flavia, Thema, Voyager), nell’ottica della riorganizzazione del Gruppo FCA, la buonanima di Sergio Marchionne comunicò l’intenzione di ritirare dai mercati tutti i modelli Lancia, con la sola eccezione della piccola citycar Ypsilon. Che a metà 2021, divenuto un marchio di Stellantis, continua comunque, con l’unico vecchio modello Ypsilon, a distribuire una delle vetture più vendute in Italia. Marchio nato del 1906 a Torino per iniziativa di Vincenzo Lancia, un grande industriale, un innovatore, precocemente deceduto a 55 anni nel 1937, al momento del lancio della famosa Aprilia. E di Claudio Fogolin (San Vito al Tagliamento, 30 aprile 1872 – ivi, 27 aprile 1945), imprenditore, ciclista e pilota automobilistico, cofondatore della Lancia, dalla quale uscì nel 1918; infine Commissario Prefettizio della R.S.I., ucciso da partigiani comunisti. La vedova Adele, già sua segretaria, si occupò personalmente della gestione dell’azienda, sfidando la guerra e le bombe, aspettando che il figlio Gianni (1924-2014) crescesse.
Nel maggio 1955, quando finalmente la Lancia D50 di F1 era stata messa a punto – disegnata da Vittorio Jano e voluta dall’Ing. Gianni Lancia, dal ’49 AD, divenuto un grande appassionato delle corse – Alberto Ascari, top driver della Lancia, chiede all’amico Castellotti di provare la sua Ferrari 750 Sport e muore in un misterioso incidente a Monza. Gianni lascia l’azienda, i debiti, i contrasti familiari, d’impulso. Gran Signore, cede le 6 monoposto e tutti i ricambi ad Enzo Ferrari. Con quell’auto, ribattezzata Ferrari, Juan Manuel Fangio vincerà il Mondiale nel 1956.
L’ingegnere vola in Brasile, crea una fazenda nel Mato Grosso, alleva bestiame, per poi stabilirsi, in Costa Azzurra con la seconda moglie, l’attrice nizzarda Jacqueline Sassard. In quella regione brasiliana dell’interno, posto ancor oggi remoto, egli approda con le sue velleità sconfitte, ma con intatto vigore, e da quel momento (tranne una foto ‘rubata’ a Maranello, per comprare una Ferrari, e due parole con Enzo, forse nel 1968) è finora impossibile rintracciare nel web una sua foto, un’apparizione ad un evento imprenditoriale, sociale, tanto meno un’intervista, una confidenza. Nulla. Assolutamente nulla. Da allora, con enorme riserbo subalpino, egli scompare dai frequentati paddocks e dalle cronache industriali, mondane, sociali, italiane e straniere, rifiutando sempre di parlare della “sua” Lancia, l’amata che dovette abbandonare. E per la verità di qualsiasi altra cosa.
Rifiutando ogni contatto. Deceduto quasi novantenne il 30 giugno 2014, riposa nel cimitero di Fobello, luogo d’origine della famiglia Lancia, sin dal 1500.
Del 20 luglio corrente la notizia apparsa sul ‘Corriere del Ticino’:
‘Si è spenta Jacqueline Sassard Lancia. Attrice di fama internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta, si rivelò al grande pubblico con «Guendalina» di Alberto Lattuada’.
‘Si è spenta, all’età di 81 anni, Jacqueline Sassard Lancia. Ne ha dato l’annuncio la famiglia e in particolare il figlio Lorenzo sulle pagine del nostro giornale. Attrice di fama internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta, Jacqueline Sassard esordì sul grande schermo con una produzione anglo-francese rivelandosi poi al grande pubblico con Guendalina, film del 1957 diretto da Alberto Lattuada (… )I funerali si terranno a Lugano.’.
È come la fine della intrigante storia dell’erede di una grande tradizione industriale, un ingegnere ed un tecnico appassionato e capace, un inventore, che abbandona le ragioni della sua vita, le aspirazioni, a soli 30 anni, per una remota fazenda. E che poi trova (non sappiamo bene dove e quando) una donna affascinante, corteggiata, che a 28 anni decide, anche lei, di abbandonare il suo mondo, totalmente, per seguire quell’omone geniale, separato con prole, creatore di una delle auto più belle di tutti i tempi (la B24*), e poi dargli a sua volta un figlio, Lorenzo, condividerne per decenni, una sorta di convinto rifiuto d’ogni mondanità. Vivendo très discrètement, è stato scritto. Una scelta esistenziale esclusivamente rivolta al privato. Tale “fuga dal mondo” di Gianni Lancia venne condivisa, e non per una stagione, ma per la vita intera, da Jacqueline, che fece perdere le tracce di sé dopo l’ultima pellicola interpretata, Les Biches di Claude Chabrol.
Un film non banale, presentato il 22 marzo 1968, interpretato con Jean-Louis Trintignant e Stéphane Audran, già moglie di Trintignant, e quindi dello stesso Chabrol, in un triangolo molto francese… Un titolo dal regista o dal produttore furbescamente preso in prestito dall’argot per suscitare pruriginose pulsioni (almeno per quei tempi ormai remoti) ed ‘ovviamente’ non tradotto poi per gli schermi italiani. Claude Chabrol (Parigi, 1930-2010) – con Jean-Luc Godard e Jacques Rivette definito l’ultimo sopravvissuto della Nouvelle Vague – autore anche della sceneggiatura di Les Biches, con Paul Gégauff, volle ridicolizzare la borghesia, interpretandola essenzialmente con un armamentario lacano-maoista (si era ormai arrivati al ’68, al suo côté femminista, liberal, antipatriarcale…), dipingendola con tratti spietati, ricettacolo d’ogni vizio ed ipocrisia, farcito di metafore ‘fallocratiche’, ideologiche ed un po’ artificiose. È un torbido triangolo erotico-sentimentale, saffico, un po’ sadico, che ci lascia, definitivamente, il volto bello ed inquietante della Sassard, che, come il marito Gianni, riuscirà a sfuggire sempre gli obiettivi fotografici, a fare della propria vita un mistero. Su Les Biches (Le cerbiatte), ‘Orso d’Argento’ al Festival di Berlino, 1968, girato in gran parte a Saint-Tropez, con la scena iniziale al Pont des Arts di Parigi, molto è stato scritto, in chiave più o meno psicoanalitica.
Dirà Arnaud Le Guern, rammentando il cinema francese del tempo:
‘Toujours sur le fil des excès et de l’éclat, comme dans les films que vous signiez pour Chabrol, René Clément ou Barbet-Schroder. C’était écrit. C’était bien fait pour vous. C’était, surtout, la fin d’un monde de légèreté et de profondeur, de plaisirs et de mélancolie, d’alcools et de volutes. Il y avait Vadim et Ronet, Sagan et les frères Marquand, Brialy et Jean Yanne, Jacques Laurent et Jacqueline Sassard. Désormais, il y a des morts et des vivantes qui se sont faits la belle. Je me demande ce qu’est devenue Jacqueline Sassard. Elle ressemblait aux vacances et à miss K., la plus jolie fille de la fin du monde’.
(http://braconnages.blogspot.cm/2011)
Chi fu per la storia del cinema Jacqueline Sassard, nata a Nizza il 13 marzo 1940, poco prima dell’intervento italiano in guerra? Jacqueline Sassard la “nata di marzo”, è il titolo di un capitolo di Stefano Masi e Enrico Lancia, Stelle d’Italia (Roma, 1989):
‘Alla categoria delle francesine deliziose appartiene anche la nizzarda, ennesima fanciulla in fiore lanciata da Lattuada, come protagonista di Guendalina. Filiforme, soave, occhioni da cerbiatta, gambe lunghe, sorriso impertinente ed una cascata di capelli neri, la Sassard inaugura la serie delle ninfette nel cinema italiano. È un’ingenua, ma ha carattere ed anche una buona dose di fortuna. Diventa donna sposata in Nata di marzo (1958), una delle più raffinate commedie italiane degli anni Cinquanta, ma non perde quella sua aria di ragazzina impertinente che conserverà per moltissimi anni: in Nata di marzo è la classica ariete, svaporata e sentimentale, che disperde in mille rivoli la sua torrenziale energia’.
La Sassard è un’attrice, ci ricorda Wikipedia.it, attiva, principalmente in Italia, dalla seconda metà degli anni cinquanta alla fine dei ’60. Esordì nel cinema a sedici anni, rivelandosi al grande pubblico con Guendalina. A questo film fecero seguito numerose altre produzioni, da Je plaide non coupable, con regia di Edmond T. Gréville (1956), a Guendalina di Alberto Lattuada (1957), a I pirati della Malesia, regia di Umberto Lenzi (1964) e a Le voci bianche, regia di Pasquale Festa Campanile (1964), fino a Les Biches, regia di Claude Chabrol (1968).
Nota Giulia Fanara, docente alla Sapienza di Roma di Storia del Cinema, in Desideri sotto la pelle. Figure femminili nel cinema di Valerio Zurlini:
“Anche in Italia, intanto, sono arrivati i 45 giri, sta per arrivare il juke-box e i bar diventano un’altra cosa: Guendalina dell’omonimo film (1957) e i suoi amici ci passano i pomeriggi, e la spiaggia è ormai il luogo delle vacanze, delle canzoni e degli incontri. Zurlini avrebbe dato molto a questo suo ritratto di adolescente, che Ponti preferì invece affidare a Lattuada. Il ʻnoiʼ dei giovani si declina qui in un conflitto che non è solo generazionale, ma di classe, passando attraverso i corpi e il corpo, poi a lungo amato, di Jacqueline Sassard. Come le altre giovani straniere del cinema italiano del decennio a venire, Sassard vestirà ruoli inconsueti e ribelli in una modalità ritenuta meno offensiva rispetto a quelle norme patriarcali ormai troppo strette per le ragazze della ʻprima generazioneʼ, indicando piuttosto nuovi modelli di indipendenza e libertà per le giovani spettatrici”.
(http://www.arabeschi.it/23-desideri-sotto-la-pelle-figure-femminili-nel-cinema-di-valerio-zurlini).
In Guendalina, attraverso la messa in scena di un amore estivo di due giovani, era rappresentata la formazione sociale, economica e antropologica dell’Italia. Guendalina porta in sé i tratti della ragazzina viziata, sullo sfondo dei divari sociali del tempo: che canzona piccole sordomute (una sorella della Sassard lo è veramente), è invadente, petulante, alla continua ricerca di attenzioni. Ma quell’onnipresenza egocentrica è, tuttavia, il rovescio di una profonda solitudine. Forse quella stessa della sua interprete. Il film in origine doveva essere diretto dal ferrarese Valerio Zurlini (1926-1982), che ne aveva scritto il soggetto, ma che Ponti, il produttore, preferì affidare a Lattuada, suo amico personale:
‘Per Guendalina il problema era quello di trovare l’interprete ideale. Feci quindi tre-quattro mesi di provini. Quell’anno c’era una crisi gravissima, si producevano pochissimi film, e i teatri della Vasca Navale erano semideserti. Ogni tanto vi salivo io con una nuova ragazzina per fare il provino, e poi dicevamo: “Ma, sì, no, forse non è ancora quella ideale”, e continuavamo a cercare, finché ho trovato la Sassard tramite una fotografia che mi ha mostrato Emanuele Cassuto. Era la figlia di un funzionario francese che stava in Spagna. Era una ragazza non solo molto bella, ma dotata di un istinto straordinario e di uno spirito molto corrosivo, molto controcorrente per allora. Agiva per istinto, non aveva un retroterra, conquistava il mondo così, da sola’. (Alberto Lattuada, in: Franca Faldini e Goffredo Fofi, L’avventurosa storia del cinema italiano da Ladri di biciclette a La grande guerra, Bologna, Edizioni Cineteca di Bologna, 2011, p.321; Callisto Cosulich, I film di Alberto Lattuada, Roma, Gremese Editore, 1985, pp.69-70).
Scriveranno Enrico Lancia e Fabio Melelli, in Le Straniere del nostro Cinema (2005):
‘Viso impertinente, fisico da indossatrice, sguardo indagatore e aria da adolescente irresponsabile, è una delle splendide creature scoperte dal Alberto Lattuada. Nel film di Lattuada la Sassard – una vera rivelazione – è una ragazzina un po’ capricciosa e snob della buona borghesia milanese che, ovviamente, trascorre le vacanze estive in quel di Viareggio, flirtando con fare annoiato e supponente con un bel ragazzo di modeste condizioni (Raf Mattioli). Jacqueline Sassard s’impone come una delle giovani attrici più capaci, restando però imprigionata nel cliché della giovane vivace e puerile, comunque ammaliante e seducente, sempre dando conferma di un naturale talento. In Nata di marzo di Antonio Pietrangeli è la ragazzina viziata che fa perdere la testa al maturo Gabriele Ferzetti, mentre in Estate violenta di Valerio Zurlini è una delle ragazze che, in prossimità del 25 luglio 1943 affollano la spiaggia di Riccione disinteressandosi dei problemi della guerra…’.
Alberto Lattuada, noto interprete del neorealismo cinematografico italiano, fu un “libertino metodico” passato alla storia come il regista delle jeunes filles en fleurs:
‘Ma è proprio guardando all’evoluzione dei volti femminili del suo cinema, che ci si rende conto anche dei mutamenti della società italiana: dalla Magnani ne Il Bandito (1946), si passa per la Silvana Mangano in Anna (1950), si giunge alle bellezze acerbe delle varie Jacqueline Sassard in Guendalina (1957) e Catherine Spaak in Dolci inganni (1960), simboli di un universo femmineo giovane e scaltro alla Bond Girl, dinnanzi alle quali l’uomo non prova che smarrimento. Lattuada, il regista della bellezza, ha inconsapevolmente nascosto sotto l’erotismo del suo cinema una rilettura della nozione epsteiniana di fotogenia. Jean Epstein, teorico dell’impressionismo cinematografico, sosteneva che la macchina da presa era capace, col suo sguardo meccanico, di accrescere il valore morale degli oggetti e degli individui rappresentati: così, le ragazze en fleurs di Lattuada assurgono a simboli di ambiguità estetica ed etica, una volta filtrati dall’occhio del regista. È ciò che avviene con i corpi giovanili della Sassard, della Spaak, ma anche con la Moguy nel Don Giovanni in Sicilia’.
(Cfr. https://www.bonculture.it/vintage/alberto-lattuada-il-regista-delle-donne-katia-moguy).
Con smarrimento o meno, Valerio Zurlini, si era invaghito della giovanissina Sassard ed odierà Lattuada per avergliela ‘sottratta’, allorchè lei ‘viveva un momento difficile’, scriverà nel postumo Gli anni delle immagini perdute, ma qui il terreno diventerebbe congetturale e scivoloso, come del resto è un po’ la vita del tormentato e geniale regista, cristiano e marxista. Prima di morire di cirrosi epatica, a 55 anni, dopo stagioni dure, segnate dalle sigarette, dall’alcol, dall’ostracismo subìto, dal rimpianto per i film mai girati e, chissà, venne pure affermato, dall’amore ormai impossibile per l’adorata Jacqueline. Peraltro, Zurlini era un seduttore accanito ed avvezzo a condurre storie sentimentali ‘in parallelo’, come testimonierà Ilaria Occhini, che lo lasciò, previa scenataccia, come la stessa narra in La bellezza quotidiana. Una vita senza trucco (Rizzoli, 2016).
Zurlini dirigerà, comunque, Jacqueline Sassard (con un cast di gran livello, assieme a Jean-Luis Trintignan, Eleonora Rossi Drago, Lilla Brignone, Raf Mattioli, Enrico Maria Salerno, Bruno Carotenuto) nella memorabile, ricordata pellicola drammatica Estate violenta, del 1959. Una storia d’amore ambientata sulla costa adriatica negli anni della Seconda Guerra Mondiale.‘Estate violenta non è invecchiato, anzi’, ha notato Maurizio Cabona, sul ‘Giornale’ del 13 febbraio 2010, Nel libro di Zurlini carezze a Germi e cazzotti a Ponti, in occasione della nuova edizione del Diario del regista.
‘Quella vicenda, ambientata a Riccione nel luglio-settembre 1943, si rivela autobiografica fin nei dettagli. Ne emerge soprattutto la nobiltà di un animo (…). Alberto Lattuada, invece, non è citato, ma lo si riconosce nel passo dove Zurlini spiega perché la sua filmografia, di massima qualità fin dall’esordio con Le ragazze di San Frediano, fosse anche di minima quantità. Dovuta – scrive Zurlini – alla «diceria malevola di un mio intransigente perfezionismo, che si identificherebbe poi con una presunzione immotivata e odiosa. Il primo a soffiare pesantemente il venticello fu Carlo Ponti, per giustificarsi di aver rubato il progetto di un mio film (Guendalina, ndr.) con l’eleganza di un invitato a pranzo che intasca un paio di posate d’argento». Per Zurlini, Ponti voleva solo «tacitare, facendogli dirigere il mio soggetto che gli piaceva, un collega sleale col quale aveva un impegno molto più oneroso». Perciò «sparlò di me, delle mie indecisioni, della mia incapacità e la sua coda di paglia mi costò ben cinque anni di inattività»’.
Zurlini dimostra tutto il suo talento nel comporre le varie sequenze e nel far emergere i caratteri psicologici dei personaggi; disegna raffinate allegorie, dirige in sostanza un gran bel film, ‘un esempio di cinema tolstojano’, si scrisse, ‘fra magia del non-detto, avvolgente corposità di dolori e interrogazioni esistenziali, volti espressivi e sguardi intensi, realtà interiore che rispecchia quella politica’. Anche se i sentimenti appaiono, in verità, talora un po’ algidi, artificiosi. Il ruolo della Sassard è di comprimaria. Però, lì ebbe inizio la loro relazione sentimentale, o reiniziò, corrisposta dalla Sassard fino a che lei scoprì la “doppia vita” del suo Valerio. “Zurlini era di quelli che amano molto le donne”, sosterrà anche Claudia Cardinale…
Racconterà Valerio Zurlini, ma senza accenni alla “sua colpa”:
‘Il mio ritratto di Jacqueline Sassard sarà evidentemente un pochino parziale. Jacqueline è una donna straordinaria, proprio una donna straordinaria e con questo non arrivo a dire che sia un’attrice straordinaria. Forse non lo penso, forse non ha mai avuto l’occasione di esserlo. E’ una straordinaria attrice di commedie e lo ha dimostrato in due film, Nata di marzo e Arrivano i titani. Era arrivata al cinema per puro caso, anche se aveva intenzione di farlo. Diventò l’emblema di tutta una certa adolescenza con Guendalina, uno di quei simboli curiosi che io capisco poco, quei simboli in cui, a un certo punto, una intera generazione si riconosce. Era profondamente bella e poi portava, oltre che la bellezza, questa profonda simpatia mascherata da antipatia’ (in: Franca Faldini e Goffredo Fofi, L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1960-1969, Milano, 1981).
Ricordàti Guendalina e Estate Violenta di Zurlini, occorre tener presente che la filmografia italiana della Sassard annovera sia film cosiddetti d’autore che di genere (ad esempio i famigerati peplum ed in costume), perché Ponti, dopo averla messa sotto contratto, la “subaffittava” ad altre produzioni, pratica abbastanza comune. Un’eccezione a questo percorso obbligato è costituita da Le stagioni del nostro amore, una pellicola drammatica, in bianco e nero, come spesso lo erano ancora le produzioni europee, del 1966, diretta da Florestano Vancini, con sceneggiatura dello stesso Vancini e di Elio Bartolini. Interpreti: Enrico Maria Salerno, Anouk Aimée, Jacqueline Sassard, Gastone Moschin, Valeria Valeri, Checco Rissone, Gian Maria Volontè:
I film di Vancini coniugano in modo efficace l’impegno civile (ovviamente a sinistra, condizione per poter lavorare) e l’interesse per episodi significativi della storia politica italiana con le vicende sentimentali dei personaggi che nella realtà storica sono calati. Le stagioni del nostro amore, in special modo le sequenze d’amore interpretate da Enrico Maria Salerno e dalla Sassard, fu letteralmente massacrato dall’ancor severa censura ministeriale. La Sassard si conferma interprete di buon livello, seppur talora poco espressiva. In Nata di Marzo di Antonio Pietrangeli (1959), l’attrice aveva già precocemente confermato le sue doti interpretative e la sua sensibilità psicologica, sostenuta da una recitazione piacevole e sciolta.
Un altro film, questa volta inglese, in modo notevole caratterizzerà la carriera della Sassard
quale protagonista: Accident (1967). Ratificandone le doti interpretative. Diretto da Joseph Losey
(1909-1984), controverso regista statunitense esiliatosi in Gran Bretagna all’epoca del ‘maccartismo’, autore di opere famose: Blind Date (1959), Eva (1962), The Servant (1963), Accident (1967), The Assassination of Trotsky (1972), Life of Galileo (1975), Mr. Klein (1976), Don Giovanni (1979). Accident offre un quadro impietoso della borghesia – che comprende marxisticamente l’aristocrazia residuale – come nei films di Chabrol, in cui orrore e morte si annidano nella rispettabilità della norma (come se ciò non fosse, in fondo, tipico di ogni classe dirigente, sempre ed ovunque). La pellicola, elaborata sulla base di una sceneggiatura di Harold Pinter, ha nel cast, con Jacqueline Sassard, Dirk Bogarde, Stanley Baker, Michael York. Accident è l’adattamento cinematografico di una novella di Nicholas Mosley. Quell’anno vinse il ‘Grand Prix Spécial du Jury’ a Cannes. È il secondo dei tre film del sodalizio di Losey con lo scrittore e drammaturgo Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura 2005, dopo Il servo e prima di Messaggero d’amore. Fu girato nei dintorni di Oxford e, in particolare, al St. John College. La dimora di Syon House, del duca di Northumberland, a Brentford, fu scelta come casa di famiglia di William. Qui, nella aristocratica Great Hall, ha luogo una selvaggia partita, in un gioco simile al rugby, in cui trova una esplosione ritualizzata la violenza repressa della upper class britannica. Nella pellicola, derivato dai noir americani, l’espediente dell’apparizione repentina di un personaggio, di un evento (Accident) che all’improvviso entra nella vita di altri ed a quel punto tutto cambia. Qui è Anna, Sassard, a scompigliare i rituali dell’ambiente accademico e di un universo indirizzato a riprodurre quasi meccanicamente la propria sopravvivenza.
Si producevano ancora in quel tempo, mentre maturavano profondi cambi nelle mentalità, le belle autovetture Lancia di Borgo San Paolo, che comunicavano a noi torinesi una sensazione illusoria di continuità (e questo persin oltre la nuova crisi che produsse la cessione dell’indebitata azienda da Pesenti alla Fiat, nel 1969), anche se la famiglia era stata estromessa dalla gestione fin dal ’56. Jacqueline Sassard, dal canto suo, faceva perdere la testa a molti…
Ludovic Maubreuil, critico cinematografico francese, ha dato alle stampe nel 2019 Vingt égéries secrètes du cinéma, dedicando alla Sassard, La femme originelle, un bel profilo:
‘Avenante mais semblant toujours s’attendre au pire, d’une grande beauté classique allant de pair avec une intense tristesse, va au-devant des trahisons ou de l’amour fou avec le même élan vaguement inquiet. Elle n’aura d’ailleurs jamais fait que se confronter à ces deux drames, le délaissement et le piédestal(..) Jacqueline Sassard incarne ces femmes capables de mûrir jusqu’au malheur. Elle a disparu comme ses héroïnes bafouées, qui après l’affront n’ont plus eu d’autre choix que se renier pour ne pas mourir de chagrin. Ella a disparu comme ses mariées rutilantes, éminemment factices puisque fondues dans un bonheur annihilant. Le secret de cette muse énigmatique est alors peut-être celui-ci: derrière le sourire violemment juvénile et la tristesse des grands yeux sombres, l’exaltation du même silence, celui de ces femmes qui à force l’idolâtrie ou de négligence, ce qui revient bien au même, n’auront jamais vraiment été reconnues’.
La vicenda tra un uomo, Gianni Lancia, intelligente, appassionato, ambizioso ed un po’ visionario, che ha prodotto auto meravigliose e poi ha avuto, diciamo per sempre, una tra le donne più desiderate… Che si è celata al mondo, riuscendoci meglio dalla ‘divina’ Greta Garbo, attrice cosciente della sua fama e, insieme, di non avere un gran futuro sul set. O per evitare la sorte di Eleonora Rossi Drago, sua compagna d’interpretazione in Estate Violenta, che nei suoi ultimi film è costretta ad accettare dei ruoli secondari in copioni raffazzonati ed a 41 anni, nel 1966, deve assumere che la sua carriera nel cinema è ormai conclusa. La ‘commedia all’italiana’ transitava, infatti, dalla narrazione e descrizione di personaggi all’estetica sexy, esplicita; a quei film, morbosi e voyeuristici, che nei ’70 Tinto Brass, Salvatore Samperi e Festa Campanile un po’ simboleggeranno. Eleonora, donna di altera bellezza – con i suoi occhioni indimenticabili, premurosi, timorosi, colmi di desiderio, fra i più belli della storia del cinema, come Estate Violenta ha mostrato – invecchiando affrontò l’isolamento professionale e cadde in un profondo stato depressivo, con tentato suicidio.
Quella della Sassard, ora deceduta, ed usando alla memoria il rispetto ed il riserbo da lei e famiglia scelti, pare, in fondo, una storia in formato minore, ma non dissimile da quella di tutte le attrici che lasciarono presto il mondo della celluloide (celando, altresì, i segni del tempo che passa e su tutto lascia impietoso i suoi segni) per matrimoni prestigiosi, o per sentimenti sinceri e profondi, quando il matrimonio non aveva ancor perso la sua centralità nell’universo femminile. R.I.P.
NOTA
* Lancia Aurelia B24, del 1954-’55, legato industriale di Gianni Lancia
Non lo sapevo che fosse morta, io la ricordo ancora nella parte della protagonista sbarazzina e ribelle di Nata di Marzo assieme a un grande Gabriele Ferzetti